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I DOSSIER DE:
“CALCIO“CALCIO
&&
POLITICA”POLITICA”
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CALCIO E POLITICA/ Berlusconi compra, il
Milan vince e il Palazzo trema…
Giovedì 03 Febbraio 2011
Secondo Maroni "se il Milan vince Berlusconi perde". Esiste davvero un rapporto tra il
calcio e l'appeal politico del Premier? Il pallone che ottunde le menti ed esalta
l'irrazionalità del tifo è lo spot preferito da Berlusconi per rafforzare l'immagine di
"uomo che si è costruito da sè". Ha preso il Milan sull'orlo del fallimento, portandolo in
cima al mondo: sarà in grado di fare lo stesso con l'Italia? Chiaramente no, ma ciò che
conta è la verità percepita...
“Non ci saranno nuove elezioni, perché il governo durerà
il tempo della legislatura, cioè altri tre anni. Il Milan non
ha assolutamente preso i campioni perché pensavo al
voto”. Dopo gli acquisti di Ibrahimovic e Robinho con
queste parole Silvio Berlusconi tranquillizzava i tifosi
milanisti:non c’è alcuna sorta di legame tra calcio e
politica. Eppure è indubbio che le perplessità non sono
affatto poche.
Basti ricordare che durante questa stagione – che da un punto di vista politico è stata ed è tuttora
molto travagliata ed incerta per Berlusconi – il Milan ha acquistato fior fior di giocatori: non solo i
già citati Ibrahimovic e Robinho, ma anche Cassano, ed ora, durante il mercato di riparazione di
gennaio, anche Van Bommel, Emanuelson, Didac e Legrottaglie. Tanti acquisti, dunque, sebbene
tempo fa la dirigenza milanista avesse dichiarato espressamente di non navigare in acque tranquille.
Il dubbio, dunque, rimane. Ma è solo un dubbio o c’è di più? Analizziamo la vicenda sin da
principio. Fino ad arrivare alle ultime vicende che sembrerebbero legare calcio e politica, due facce
della stessa medaglia. Due interessi della stessa identica persona.
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CALCIO e POLITICA/ 1986 e 1994: i due
“avventi” di Silvio Berlusconi
Giovedì 03 Febbraio 2011
Il 1986 è l'anno dell'arrivo in elicottero, quando un allora sconosciuto ai più Silvio
Berlusconi decise che era il momento di fare calcio spettacolo. Nel 1994 si scende in
campo, ma il prato verde c'entra poco, perchè il futuro Premier ha deciso di dare una
svolta alla sua vita (giudiziaria e non...): Forza Italia trae la sua ispirazione proprio dal
calcio e proprio nell'anno del mondiale a stelle e strisce...
Primavera 1986: il Milan di Giussy Farina allenato
da Nils Liedholm è sull’orlo del fallimento, sportivo e
societario. Azioni sequestrate dalla magistratura, un
presidente in fuga e creditori inferociti alle porte di
Milanello. Un attimo prima che i libri contabili
vengano portati in tribunale, un allora sconosciuto ai
più Silvio Berlusconi, dopo mesi di tentennamenti e
trattative al ribasso, compra il club di via Turati per
cambiare la storia. Del calcio, certo, ma anche della sua vita e, soprattutto, della politica italiana.
Vediamo come. Maggio 1994: vinte le elezioni, quattro mesi dopo aver annunciato ufficialmente la
sua “discesa in campo”, Silvio Berlusconi varca le soglie di Palazzo Chigi. È da questo momento in
poi che in Italia si compie quella perfetta sintesi di interessi tra calcio e politica. Basti ricordare una
data su tutte: 18 maggio 1994. Quel giorno il Milan guidato da Fabio Capello vince ad Atene la
Coppa dei Campioni battendo per quattro a zero il Barcellona allenato da Johan Cruiff. Nella
stessa giornata Berlusconi, uscito vincente dalle elezioni del 27/28 marzo, presenta il suo governo al
Senato e ottiene la fiducia (anche se, come sappiamo, servì a poco: nel dicembre dello stesso anno
Umberto Bossi e la Lega fecero cadere il Governo. Gli stessi amici di oggi, ieri erano grandi
nemici).
Ma non è soltanto una questione di date. C’è di più. Innanzitutto sono molti a ritenere che ci sia il
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calcio all’origine della leadership politica di Silvio Berlusconi. Prendere una squadra sull’orlo
del fallimento e proiettarla in maniera stabile ai vertici del calcio mondiale è stato un passaggio
decisivo e fondamentale nella costruzione della sua immagine di leader vincente. “Quello che ho
fatto col calcio lo farò con la politica, far sognare”: questa la strategia più volte rivendicata dal
nostro Presidente del Consiglio. Un atteggiamento vincente sul campo che Berlusconi ha cercato di
proiettare in politica.
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CALCIO e POLITICA/ Grane giudiziarie
anche col Milan: Lentini e il falso in bilancio
Giovedì 03 Febbraio 2011
Il calcio, come tutti gli interessi berlusconiani, non è esente da atteggiamenti ambigui e
sopra le righe - per usare un eufemismo - che risolvono in maniera sbrigativa e illecita
piccoli e grandi intoppi lavorativi. Il caso Lentini creerà il presupposto per la
depenalizzazione del reato di falso in bilancio, che servirà a Berlusconi anche in ambiti
extra-sportivi. Ancora una volta calcio e politica vanno di pari passo...
Silvio Berlusconi comprende immediatamente il
potere del calcio in Italia: uno sport che trascina
menti e, per certi versi, le ottunde anche. E allora è
necessario vincere per far bene anche in politica o,
meglio, per ottenere quella credibilità necessaria per
governare. Non è un caso, allora, che Berlusconi salga
a Palazzo Chigi proprio nello stesso anno in cui il
Milan, come detto, vince la Coppa dei Campioni.
Eppure un anno dopo quella vittoria la magistratura capisce che qualcosa non andava nella
contabilità della squadra rosso-nera. Secondo i magistrati, infatti, i bilanci sarebbero stati
“fraudolentemente falsificati” negli anni 1993 e 1994. I fatti emersero in relazione all’acquisto dal
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L 'i n fi l t rat o " C a l c i o e P o l i t i c a ”
Torino del giocatore Gianluigi Lentini, per il quale si è parlato di un versamento “in nero” di una
decina di miliardi di lire. Per questi motivi Silvio Berlusconi è stato indagato per il reato di falso in
bilancio e il 28 maggio 1998 viene rinviato a giudizio presso il Tribunale di Milano. Come si è
concluso il processo?
Come sempre, quando l’imputato è il Cavaliere Silvio Berlusconi: il 4 luglio 2002 il processo si
conclude definitivamente con il proscioglimento di Berlusconi per intervenuta prescrizione del
reato. Si è accertato che il reato non è stato commesso? Assolutamente no. Non si è accertato
affatto. O meglio si è impedito che si potesse accertare. Capiamoci meglio. In quel periodo
Berlusconi era tornato al potere (Governo Berlusconi II) e questo gli permise, il 28 settembre 2001,
di approvare una legge che gli avrebbe permesso di dormire sonni tranquilli: depenalizzazione del
falso in bilancio. Ricordiamo velocemente in cosa consiste. Innanzitutto il falso in bilancio, da
reato di “pericolo” (per i soci, ma anche per il mercato, per i creditori, i fornitori e così via) diventa
reato di “danno” (per essere reato, deve danneggiare i soci. Domanda: come si possono danneggiare
i soci falsificando i bilanci e pagando in nero, se questo è finalizzato proprio a conquistare
illegalmente nuove fette di mercato?).
Un’assurdità dunque. Così commentò il giudice Davigo: “non esistono processi per falso in
bilancio scaturiti dalla denuncia del socio di maggioranza, che di solito è il mandante e il
beneficiario del reato”. In più le pene scendevano vertiginosamente (fino a tre anni, così da
impedire intercettazioni e custodia cautelare in carcere) così come i termini di prescrizione: il
termine massimo passava da quindici a sette anni e mezzo per le società quotate e addirittura a
quattro e mezzo per le non quotate.
Fino poi ad arrivare all’inverosimile con le “soglie quantitative” di contabilità occulta: chi tace del
bilancio fino all’1% del patrimonio netto non rischia assolutamente nulla. Risultato? Il Processo
Lentini si interrompe quando ancora il dibattimento è in pieno svolgimento ed una sentenza di
primo grado dunque era ben lungi dall’essere emanata. Il processo va ipso facto in fumo per la
prescrizione abbreviata per legge, perché nessuno dei soci – chiaramente – querela, perché gli
importi sono inferiori alle soglie di punibilità.
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CALCIO e POLITICA/ L’importanza degli
acquisti: cogli l’attimo
Giovedì 03 Febbraio 2011
Sembrerebbe impensabile che gli acquisti vengano decisi e ponderati tenendo conto
non della rosa calcistica, ma del clima politico che si respira. È vero, sembrerebbe
assurdo, ma alcune vicende di mercato creano forti dubbi: dal caso Kakà a Ronaldinho,
per finire con Ibra e Cassano, tutto sembra calcolato in base all'agenda e alle strategie
di Berlusconi.
Prendiamo il caso di Ricardo Kakà e analizziamolo
nei dettagli. Gennaio 2009. Il Manchester City era
quasi riuscito a convincerlo e ad acquistarlo, ma alla
fine “Riccardino” aveva detto no per amore del
Milan, respingendo – attenzione - sia le valigie
piene di sterline della Premier League, sia i progetti
di mercato dei dirigenti rossoneri. Già, perché il
Milan già allora avrebbe voluto mandarlo via,
accettando la maxi offerta di quasi 130 milioni di euro fatta dallo sceicco Al Mubarak. Fa niente
se vent’anni prima Berlusconi ripetesse, di fronte alle lusinghiere offerte della Sampdoria per
Franco Baresi, che “le bandiere non si vendono”.
Ma i tifosi non ragionano allo stesso modo dei dirigenti: tre giorni di fila sotto la casa milanese del
giocatore per protestare contro la cessione. E alla fine Kakà rimase. E Berlusconi? Nonostante,
come detto, la dirigenza avesse preferito intascare i quasi 130 milioni, il Presidente non perse
l’occasione davanti agli occhi dei tifosi e degli elettori.
“È stato lui che ha resistito – annunciò il Cavaliere il 19 gennaio al “Processo” di Aldo Biscardi - e
io sono veramente felice di averlo mantenuto in rossonero perché Kaká non è soltanto un grande
campione, ma anche un grande uomo che ha rinunciato all’offerta del Manchester City dicendo
che i soldi non sono tutto”. E, infatti, come volevasi dimostrare, il Presidente ottenne il risultato
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sperato: poco dopo sul sito ufficiale del club si leggeva: ”L’amore dei milanisti ha vinto alla
grande. Grazie Presidente! Grazie Kaká!”.
Ora attenzione. Arriviamo al 9 Giugno 2009. Un comunicato diramato dalla società del Milan in un
orario insolito (mezzanotte e mezza) annuncia che Kakà è un giocatore del Real. Perchè è stato
venduto sebbene lui avesse già dichiarato che avrebbe preferito restare a Milano? Lo svela lo stesso
Kakà: “mi ha chiamato la società e mi ha confermato la assoluta necessità di vendermi”, visto che
“il Milan sta attraversando una crisi senza precedenti“, ed è “la prima volta che hanno pensato di
vendere un giocatore”. Ma logicamente Berlusconi non vuole metterci la faccia e allora ecco un po’
di “balle” raccontate dal premier in merito a questa cessione:
“Non è deciso niente”. Falso, era già tutto deciso da una settimana, come poi confermò lo stesso
Perez, presidente del Real (in Brasile Kakà già firmava maglie madrilene);
“E’il giocatore che voleva andare via”. Falso, visto che il giocatore, come detto, aveva dichiarato di
voler rimanere;
“Fosse per me lo terrei”. E’ inutile spiegare, a questo punto, perché sia non solo falso, ma anche
contraddittorio.
Qualcuno, a questo punto, potrebbe chiedersi: cosa c’entra la politica? Tutto. Occhio alle date: nel
giugno 2009 Silvio Berlusconi è impegnato nelle europee, primo appuntamento dopo le politiche
che l’avevano riportato al Governo sconfiggendo Veltroni. Un’occasione importante per
testimoniare la tenuta di partito e Governo. Le elezioni sono fissate per il 6 e 7 giugno 2009. Il Pdl
ottiene il 35%. Due giorni dopo, 9 giugno, arriva l’ufficialità: Kakà è del Real Madrid.
Casualità? Pare proprio di no. Perché non cederlo prima ad una cifra più alta, se il motivo per cui
poi è stato ceduto è un motivo economico? Perché aspettare proprio l’indomani delle europee per
annunciare questo trasferimento? D’altronde lo stesso Berlusconi confessò la sua prospettiva sul
Milan quando si parlava a maggio di una possibile cessione del Milan: “Vendere il Milan mi
costerebbe in termini di popolarità”, disse il Presidente.
Ma allora ragioniamo anche su altri acquisti più recenti. Abbiamo accennato alle politiche: lo
scontro Berlusconi – Veltroni risale al 13 e 14 aprile 2009. C’è un legame – seppur indiretto – con
l’acquisto di Ronaldinho. Perché indiretto?
Perché ufficialmente il brasiliano arrivò al Milan solo a luglio, ma se ne cominciava a parlare
proprio a inizio anno, in piena campagna elettorale. Ricordiamo cosa disse, ad esempio, in quel
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periodo Ernesto Bronzetti, consulente di mercato per il club rossonero e agente Fifa: “Il Milan è
fidanzato col brasiliano, sono come due fidanzati in attesa di matrimonio”. E giù di lì attestati di
stima in campo, sugli spalti, sui siti internet per il Presidente Silvio Berlusconi.
Ed ecco le ultime vicende. Facciamo un piccolo confronto, seppure molto eloquente. Stagione
2009/2010. Il Milan non mette in porto nessun “colpaccio di mercato”. Anzi, l’unico grande
trasferimento è in uscita. Quello, di cui già abbiamo parlato, di Kakà. Passa un anno. Il Milan
decide di tornare sul mercato e lo fa in maniera devastante: Robinho, Ibrahimovic, poi Cassano, Van
Bommel, Emanuelson.
A questo punto ragioniamo sul clima politico di questi ultimi due anni. Per quanto riguarda il
periodo della stagione 2009/2010 il Pdl rimane indiscutibilmente primo partito italiano, mentre il
Governo continua con la sua attività quasi incontrastata per via di una maggioranza a dir poco
spropositata. Passa un anno e la musica cambia notevolmente: Fini si allontana da Silvio, nasce
Fli, emergono nuove inchieste. Berlusconi, in pratica, è con le spalle al muro. La sua unica
salvezza è investire nel calcio, in quello sport che tanto ottunde i cervelli, che poi possa spronare gli
“sfegatati” a votare in un modo invece che in un altro.
Potrebbero allora essere intesi come acquisti mirati a risollevare il morale di tutti quei milanisti che,
nel periodo passato, avevano manifestato il desiderio che Berlusconi abbandonasse la dirigenza
milanista (ricordiamo alcuni cori e striscioni degli Ultras del Milan a fine campionato: “Vendi Kakà
per risanare la società e non spendi più i tuoi milioni. Caro Berlusconi grazie di tutto e vai fuori
dai c…”; “Sono anni che compri bidoni e figurine. Quest’anno chi compri…le veline??”; “Ad
agosto fiducia incondizionata, tiriamo le somme di questa annata: mister e ragazzi promossi per
l’impegno, presidente bocciato assente ingiustificato!”).
Era doveroso riconquistare la loro fiducia proprio in un periodo caldo in campo politico: le elezioni
potrebbero essere vicine e Berlusconi non può rischiare di giocarsi qualche voto. Nel gioco del “do
ut des”, Berlusconi ha regalato Ibrahimovic & co., nella speranza che i milanisti, poi, non lo
tradiscano in ambito elettorale. Non sarebbe un caso allora che Antonio Cassano sia arrivato
proprio all’indomani del voto di fiducia che aveva consegnato al Governo una maggioranza
assolutamente traballante e aperta all’ignoto, con la Lega che spinge per le elezioni e con pochi
deputati invidiosi e inetti, banderuole che passano da una parte all’altra, ad avere in mano il futuro
di questa legislatura.
Un legame calcio-politica, dunque, c’è. Né questo può apparire secondario, se poi riflettiamo anche
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sui risultati politici a cui tendono. Ma allora fino a che punto possiamo considerare che sia stata una
battuta quanto detto da Berlusconi in seguito alla sconfitta nelle prime giornate di campionato
contro il Cesena (2 a 0)?: “Ieri sera il Milan ci ha dato dei dolori – disse durante la festa dei giovani
Pdl – ma non ha giocato male. Non c’erano 3 fuorigioco. Il problema è che spesso il Milan
incontra arbitri di sinistra”. Il dubbio – anche qui – resta.
**********
CALCIO E POLITICA/ Mister B. e il Milan:
quando Zac fu uno yo-yo per la politica del
capo…
Venerdì 11 Febbraio 2011
Sabato 5 Febbraio. Alberto Zaccheroni, fresco vincitore della Coppa D'Asia alla guida del
Giappone, rivela: "Da quando litigai con Berlusconi non ho più allenato una squadra di
serie A, se non subentrando ad altri allenatori." Prima vittima di quella macchina del
fango che in seguito colpì Sircana, Boffo, Fini... Il micro-cosmo calcistico berlusconiano è
sempre stato ad immagine e somiglianza del Premier, che troppo spesso ha cavalcato
l'onda sportiva per interessi politici.
Lo sport come arma di persuasione di massa.
Peculiarità dei regimi totalitari in passato, moda
diffusa nei tempi moderni grazie alla quale il potere
politico può aumentare o controllare il consenso
popolare. In Italia un saggio sulla materia non poteva
che arrivare da Silvio Berlusconi, a più riprese
intervenuto sulle questioni del Milan – del quale è
proprietario, ma non presidente – in momenti politici
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più rilevanti di quanto lascino trasparire le apparenze.
Emblematiche in tal senso furono le ripetute esternazioni tra il 1998 e il 2001, quando a
Montecitorio il Cavaliere era all’opposizione e sulla panchina rossonera sedeva Alberto
Zaccheroni. Premiato sabato 5 febbraio dal sindaco di Cesenatico, sua residenza, per la recente
vittoria in coppa d’Asia con il Giappone del quale è commissario tecnico, l’allenatore romagnolo –
fra le tante dichiarazioni – ha voluto lasciare un pensiero anche per l’attuale presidente del
Consiglio, del quale fu dipendente nel triennio sopracitato e dove conquistò il primo tentativo il
penultimo degli attuali diciassette scudetti rossoneri: «Da quando litigai con Berlusconi non ho
più allenato una squadra di serie A se non subentrando ad altri allenatori».
Vittima progenitrice della macchina del fango che in futuro colpirà, tra gli altri, Dino Boffo e
Gianfranco Fini, all’epoca dei fatti Zac divenne senza volerlo uno yo-yo nella mano del padrone,
che lo lanciava e riavvolgeva a sé in base alle convenienze politiche del momento.
Aprile ’98. L’Udinese di Zaccheroni è la squadra del momento: terza in campionato, schiera il
capocannoniere Bierhoff (27 gol, 2 in più di un Ronaldo allora ancora Fenomeno) e pratica un
gioco effervescente, figlio del suo allenatore, che applica un modulo mai adoperato prima in Italia:
il 3-4-3. Intento a giocare al gatto con il topo nei confronti del governo di centro-sinistra in materia
di bicamerale, B. deve anche assistere agli orrori rossoneri del Capello II, che s’inabissa con la
clamorosa sconfitta in finale di coppa Italia contro la Lazio.
«Quest'anno il Milan ha sempre giocato male. Lo vorrei diverso, con un gioco arioso come quello
dell' Udinese» confida ai suoi collaboratori all’indomani delle uova lanciate dai tifosi contro il
pullman della squadra prima di Milan-Parma, 11 maggio ’98. Traduzione del messaggio:
“ingaggiate quell’allenatore”. Detto fatto. Il 25 maggio Alberto Zaccheroni è ufficializzato nuovo
allenatore del Milan. La notizia, oltre a rigenerare gli animi dei tifosi, fa di B. un acuto osservatore
del presente e ne innalza il prestigio pubblico. Quanto basta per proclamare l’ultimatum, 27 maggio,
sulle sue irremovibili condizioni (cancellierato e doppio turno proporzionale) per la bicamerale e
mandare in fumo i disegni di D’Alema senza pagarne le conseguenze, bensì dopo aver incassato
l’assicurazione dal centro-sinistra che non gli sarebbero state toccate le televisioni.
Un anno dopo. 23 maggio 1999. Siamo a tre settimane dalle elezioni europee, Prodi è caduto
nell’ottobre precedente e al suo posto c’è D’Alema. Il Cavaliere è impegnato nella traversata del
deserto che dovrà riportarlo a Palazzo Chigi; per i sondaggi Forza Italia è in ascesa. Quel giorno, a
Perugia, al termine di una stagione che secondo i piani dirigenziali e tecnici doveva essere soltanto
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di transizione, il Milan di Zac conquista lo scudetto con un punto di vantaggio sulla più quotata
Lazio. A sera, Sua Onnipresenza attraverso l’amato tubo catodico si manifesta nelle case degli
italiani per assumersi i meriti della rimonta sulla Lazio, 7 vittorie in 7 partite, in particolare la
paternità di schierare Boban dietro le punte. La Storia vuole però che già il 10 gennaio dello stesso
anno, a Empoli, Zac avesse già sperimentato la variante tattica che contraddistinguerà l’ultima parte
del fortunato cammino del Milan. Un particolare che il tecnico non manca di far notare con serenità,
rivelando un’anima poco incline al compromesso e alla salvaguardia del quieto vivere.
Intanto il 13 giugno 1999 Forza Italia è il primo partito italiano alle europee. In un periodo dove il
calcio è attraversato dalle spregiudicatezze economiche di Tanzi, Cecchi Gori, Cragnotti – che
spendevano più di quanto avessero – B. – che di soldi veri ne avrebbe – gioca al risparmio e
riprende a muovere lo yo-yo a seconda della sua utilità. Ovviamente politica.
Dopo un tira e molla mediatico all’insegna di suggerimenti non accolti su come dovrebbe giocare il
Milan – linea a ‘quattro’, ignaro che con la vituperata difesa a ‘tre’ ha vinto uno scudetto – si arriva
al 9 marzo 2000. Mancano quaranta giorni alle elezioni regionali e il centro-sinistra annaspa: dopo
la caduta di Prodi, D’Alema ha già formato due governi differenti. A condire il menu, le
“rosseggianti” simpatie politiche di Zac: che ha perso il derby con l’Inter e si ritrova a leggere un
attestato di grande stima rilasciato dal suo datore di lavoro al settimanale Rigore: «Zaccheroni
potrebbe non essere il sarto adatto per la stoffa di qualità che ha sottomano».
Peccato che quel Milan, più che a un atelier di alta moda, assomigli tanto alla bancarella di un
mercato rionale: dopo lo scudetto, tranne Shevchenko e un giovanissimo Gattuso, son arrivati
mestieranti come Orlandini e Tonetto più giovani sconosciuti quali Graffiedi, Teodorani e Sadotti.
Gente che, tranne qualche sporadica apparizione del primo, vedrà l’erba di San Siro giusto dalla
tribuna…
Zac vive una quaresima di risultati fino a Pasqua: 2-1 alla Reggina (con le 3 punte e la difesa a 3)
sette giorni dopo la vittoria di B. alle regionali e le dimissioni del governo D’Alema. Tante belle
notizie rendono ebbro Sua Onnipresenza, che il 30 aprile dichiara: «Il tecnico non è mai stato in
dubbio. Abbiamo un progetto ben preciso. Lo porteremo avanti con lui». Ma due settimane dopo la
sbornia è già smaltita: «Voglio una vittoria senza sofferenza per i settantamila di San Siro: per
ritrovare il nostro bel gioco dobbiamo andare a Chi l'ha visto? Non è stata una stagione disastrosa,
ma avevamo ambizioni diverse dal terzo posto».
È il 13 maggio 2000. Ironia della sorte vuole che sia un anno esatto dalle elezioni politiche. Alle
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quali B. si ricandida e intraprende una drastica campagna elettorale: o con lui, o contro di lui.
Niente sconti, anche in campo calcistico. Come sopportare dunque un allenatore che fa di testa sua e
che, tra le altre, ha simpatie politiche tendenti a sinistra? Al consueto mercato estivo low-cost si
aggiunge una sconfitta agostana contro il Real Madrid (1-5) in un banale trofeo amichevole, che
aziona il count-down della permanenza di Zac al Milan.
La situazione precipiterà mesi successivi quando la squadra, in seguito a una sequela inenarrabile di
infortuni, uscirà dalla Champions League dopo l’1-1 con il Deportivo in casa. È il 13 marzo 2001.
Mancano due mesi precisi alle elezioni politiche. Serve trasmettere un messaggio agli elettori che
davanti a loro c’è un uomo forte, padrone del momento e del destino, pronto ad agire in prima
persona per far andar le cose nella direzione giusta. Così nel dopopartita B., latitante dalle questioni
rossonere nei mesi precedenti, gioca un’ultima volta con lo yo-yo.
«Non ho condiviso molte delle scelte tecniche che sono state fatte nel Milan negli ultimi due anni
ma ho lasciato fare a loro visto che avevano l’appoggio sia del pubblico che della stampa. Adesso
mi sembra che i risultati portano a dire che avevo ragione io. Adesso io penso che debba lasciare da
parte il riserbo. Guardo indietro nel passato: quando questa squadra vinceva era merito di qualcuno
e quando perdeva era colpa della società. Un discorso che non sta né in cielo né in terra. Da domani
comincerò ad occuparmene personalmente» esclama in diretta tivù ritornando Sua Onnipresenza e
fabbricandosi un magnifico spot elettorale sulla sua natura di “uomo del fare”, che al momento
opportuno interviene per riparare agli errori. Commessi da altri, ovviamente…
Peccato che nessuno gli chieda conto, visto che era il presidente, del suo operato (nullo) nell’ultimo
biennio rossonero. Il ghe pensi mì in salsa calcistica produce l’esonero di Zaccheroni e la sua
sostituzione con un fedelissimo del club, Cesare Maldini (Tassotti vice), in piena sintonia con le
direttive di Villa San Martino, che completa una mossa comunicativa a base di romanticismo
apparente e buoni sentimenti fittizi.
Due mesi dopo ci sono le elezioni politiche. B. vince e va a Palazzo Chigi.
Peccato però che prima che torni a vincere il Milan dovranno passare altri due anni…
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Calcio e politica: lo sport come arma di persuasione di massa

  • 1. L 'i n fi l t rat o " C a l c i o e P o l i t i c a ” I DOSSIER DE: “CALCIO“CALCIO && POLITICA”POLITICA” 1
  • 2. L 'i n fi l t rat o " C a l c i o e P o l i t i c a ” CALCIO E POLITICA/ Berlusconi compra, il Milan vince e il Palazzo trema… Giovedì 03 Febbraio 2011 Secondo Maroni "se il Milan vince Berlusconi perde". Esiste davvero un rapporto tra il calcio e l'appeal politico del Premier? Il pallone che ottunde le menti ed esalta l'irrazionalità del tifo è lo spot preferito da Berlusconi per rafforzare l'immagine di "uomo che si è costruito da sè". Ha preso il Milan sull'orlo del fallimento, portandolo in cima al mondo: sarà in grado di fare lo stesso con l'Italia? Chiaramente no, ma ciò che conta è la verità percepita... “Non ci saranno nuove elezioni, perché il governo durerà il tempo della legislatura, cioè altri tre anni. Il Milan non ha assolutamente preso i campioni perché pensavo al voto”. Dopo gli acquisti di Ibrahimovic e Robinho con queste parole Silvio Berlusconi tranquillizzava i tifosi milanisti:non c’è alcuna sorta di legame tra calcio e politica. Eppure è indubbio che le perplessità non sono affatto poche. Basti ricordare che durante questa stagione – che da un punto di vista politico è stata ed è tuttora molto travagliata ed incerta per Berlusconi – il Milan ha acquistato fior fior di giocatori: non solo i già citati Ibrahimovic e Robinho, ma anche Cassano, ed ora, durante il mercato di riparazione di gennaio, anche Van Bommel, Emanuelson, Didac e Legrottaglie. Tanti acquisti, dunque, sebbene tempo fa la dirigenza milanista avesse dichiarato espressamente di non navigare in acque tranquille. Il dubbio, dunque, rimane. Ma è solo un dubbio o c’è di più? Analizziamo la vicenda sin da principio. Fino ad arrivare alle ultime vicende che sembrerebbero legare calcio e politica, due facce della stessa medaglia. Due interessi della stessa identica persona. ********** 2
  • 3. L 'i n fi l t rat o " C a l c i o e P o l i t i c a ” CALCIO e POLITICA/ 1986 e 1994: i due “avventi” di Silvio Berlusconi Giovedì 03 Febbraio 2011 Il 1986 è l'anno dell'arrivo in elicottero, quando un allora sconosciuto ai più Silvio Berlusconi decise che era il momento di fare calcio spettacolo. Nel 1994 si scende in campo, ma il prato verde c'entra poco, perchè il futuro Premier ha deciso di dare una svolta alla sua vita (giudiziaria e non...): Forza Italia trae la sua ispirazione proprio dal calcio e proprio nell'anno del mondiale a stelle e strisce... Primavera 1986: il Milan di Giussy Farina allenato da Nils Liedholm è sull’orlo del fallimento, sportivo e societario. Azioni sequestrate dalla magistratura, un presidente in fuga e creditori inferociti alle porte di Milanello. Un attimo prima che i libri contabili vengano portati in tribunale, un allora sconosciuto ai più Silvio Berlusconi, dopo mesi di tentennamenti e trattative al ribasso, compra il club di via Turati per cambiare la storia. Del calcio, certo, ma anche della sua vita e, soprattutto, della politica italiana. Vediamo come. Maggio 1994: vinte le elezioni, quattro mesi dopo aver annunciato ufficialmente la sua “discesa in campo”, Silvio Berlusconi varca le soglie di Palazzo Chigi. È da questo momento in poi che in Italia si compie quella perfetta sintesi di interessi tra calcio e politica. Basti ricordare una data su tutte: 18 maggio 1994. Quel giorno il Milan guidato da Fabio Capello vince ad Atene la Coppa dei Campioni battendo per quattro a zero il Barcellona allenato da Johan Cruiff. Nella stessa giornata Berlusconi, uscito vincente dalle elezioni del 27/28 marzo, presenta il suo governo al Senato e ottiene la fiducia (anche se, come sappiamo, servì a poco: nel dicembre dello stesso anno Umberto Bossi e la Lega fecero cadere il Governo. Gli stessi amici di oggi, ieri erano grandi nemici). Ma non è soltanto una questione di date. C’è di più. Innanzitutto sono molti a ritenere che ci sia il 3
  • 4. L 'i n fi l t rat o " C a l c i o e P o l i t i c a ” calcio all’origine della leadership politica di Silvio Berlusconi. Prendere una squadra sull’orlo del fallimento e proiettarla in maniera stabile ai vertici del calcio mondiale è stato un passaggio decisivo e fondamentale nella costruzione della sua immagine di leader vincente. “Quello che ho fatto col calcio lo farò con la politica, far sognare”: questa la strategia più volte rivendicata dal nostro Presidente del Consiglio. Un atteggiamento vincente sul campo che Berlusconi ha cercato di proiettare in politica. ********** CALCIO e POLITICA/ Grane giudiziarie anche col Milan: Lentini e il falso in bilancio Giovedì 03 Febbraio 2011 Il calcio, come tutti gli interessi berlusconiani, non è esente da atteggiamenti ambigui e sopra le righe - per usare un eufemismo - che risolvono in maniera sbrigativa e illecita piccoli e grandi intoppi lavorativi. Il caso Lentini creerà il presupposto per la depenalizzazione del reato di falso in bilancio, che servirà a Berlusconi anche in ambiti extra-sportivi. Ancora una volta calcio e politica vanno di pari passo... Silvio Berlusconi comprende immediatamente il potere del calcio in Italia: uno sport che trascina menti e, per certi versi, le ottunde anche. E allora è necessario vincere per far bene anche in politica o, meglio, per ottenere quella credibilità necessaria per governare. Non è un caso, allora, che Berlusconi salga a Palazzo Chigi proprio nello stesso anno in cui il Milan, come detto, vince la Coppa dei Campioni. Eppure un anno dopo quella vittoria la magistratura capisce che qualcosa non andava nella contabilità della squadra rosso-nera. Secondo i magistrati, infatti, i bilanci sarebbero stati “fraudolentemente falsificati” negli anni 1993 e 1994. I fatti emersero in relazione all’acquisto dal 4
  • 5. L 'i n fi l t rat o " C a l c i o e P o l i t i c a ” Torino del giocatore Gianluigi Lentini, per il quale si è parlato di un versamento “in nero” di una decina di miliardi di lire. Per questi motivi Silvio Berlusconi è stato indagato per il reato di falso in bilancio e il 28 maggio 1998 viene rinviato a giudizio presso il Tribunale di Milano. Come si è concluso il processo? Come sempre, quando l’imputato è il Cavaliere Silvio Berlusconi: il 4 luglio 2002 il processo si conclude definitivamente con il proscioglimento di Berlusconi per intervenuta prescrizione del reato. Si è accertato che il reato non è stato commesso? Assolutamente no. Non si è accertato affatto. O meglio si è impedito che si potesse accertare. Capiamoci meglio. In quel periodo Berlusconi era tornato al potere (Governo Berlusconi II) e questo gli permise, il 28 settembre 2001, di approvare una legge che gli avrebbe permesso di dormire sonni tranquilli: depenalizzazione del falso in bilancio. Ricordiamo velocemente in cosa consiste. Innanzitutto il falso in bilancio, da reato di “pericolo” (per i soci, ma anche per il mercato, per i creditori, i fornitori e così via) diventa reato di “danno” (per essere reato, deve danneggiare i soci. Domanda: come si possono danneggiare i soci falsificando i bilanci e pagando in nero, se questo è finalizzato proprio a conquistare illegalmente nuove fette di mercato?). Un’assurdità dunque. Così commentò il giudice Davigo: “non esistono processi per falso in bilancio scaturiti dalla denuncia del socio di maggioranza, che di solito è il mandante e il beneficiario del reato”. In più le pene scendevano vertiginosamente (fino a tre anni, così da impedire intercettazioni e custodia cautelare in carcere) così come i termini di prescrizione: il termine massimo passava da quindici a sette anni e mezzo per le società quotate e addirittura a quattro e mezzo per le non quotate. Fino poi ad arrivare all’inverosimile con le “soglie quantitative” di contabilità occulta: chi tace del bilancio fino all’1% del patrimonio netto non rischia assolutamente nulla. Risultato? Il Processo Lentini si interrompe quando ancora il dibattimento è in pieno svolgimento ed una sentenza di primo grado dunque era ben lungi dall’essere emanata. Il processo va ipso facto in fumo per la prescrizione abbreviata per legge, perché nessuno dei soci – chiaramente – querela, perché gli importi sono inferiori alle soglie di punibilità. ********** 5
  • 6. L 'i n fi l t rat o " C a l c i o e P o l i t i c a ” CALCIO e POLITICA/ L’importanza degli acquisti: cogli l’attimo Giovedì 03 Febbraio 2011 Sembrerebbe impensabile che gli acquisti vengano decisi e ponderati tenendo conto non della rosa calcistica, ma del clima politico che si respira. È vero, sembrerebbe assurdo, ma alcune vicende di mercato creano forti dubbi: dal caso Kakà a Ronaldinho, per finire con Ibra e Cassano, tutto sembra calcolato in base all'agenda e alle strategie di Berlusconi. Prendiamo il caso di Ricardo Kakà e analizziamolo nei dettagli. Gennaio 2009. Il Manchester City era quasi riuscito a convincerlo e ad acquistarlo, ma alla fine “Riccardino” aveva detto no per amore del Milan, respingendo – attenzione - sia le valigie piene di sterline della Premier League, sia i progetti di mercato dei dirigenti rossoneri. Già, perché il Milan già allora avrebbe voluto mandarlo via, accettando la maxi offerta di quasi 130 milioni di euro fatta dallo sceicco Al Mubarak. Fa niente se vent’anni prima Berlusconi ripetesse, di fronte alle lusinghiere offerte della Sampdoria per Franco Baresi, che “le bandiere non si vendono”. Ma i tifosi non ragionano allo stesso modo dei dirigenti: tre giorni di fila sotto la casa milanese del giocatore per protestare contro la cessione. E alla fine Kakà rimase. E Berlusconi? Nonostante, come detto, la dirigenza avesse preferito intascare i quasi 130 milioni, il Presidente non perse l’occasione davanti agli occhi dei tifosi e degli elettori. “È stato lui che ha resistito – annunciò il Cavaliere il 19 gennaio al “Processo” di Aldo Biscardi - e io sono veramente felice di averlo mantenuto in rossonero perché Kaká non è soltanto un grande campione, ma anche un grande uomo che ha rinunciato all’offerta del Manchester City dicendo che i soldi non sono tutto”. E, infatti, come volevasi dimostrare, il Presidente ottenne il risultato 6
  • 7. L 'i n fi l t rat o " C a l c i o e P o l i t i c a ” sperato: poco dopo sul sito ufficiale del club si leggeva: ”L’amore dei milanisti ha vinto alla grande. Grazie Presidente! Grazie Kaká!”. Ora attenzione. Arriviamo al 9 Giugno 2009. Un comunicato diramato dalla società del Milan in un orario insolito (mezzanotte e mezza) annuncia che Kakà è un giocatore del Real. Perchè è stato venduto sebbene lui avesse già dichiarato che avrebbe preferito restare a Milano? Lo svela lo stesso Kakà: “mi ha chiamato la società e mi ha confermato la assoluta necessità di vendermi”, visto che “il Milan sta attraversando una crisi senza precedenti“, ed è “la prima volta che hanno pensato di vendere un giocatore”. Ma logicamente Berlusconi non vuole metterci la faccia e allora ecco un po’ di “balle” raccontate dal premier in merito a questa cessione: “Non è deciso niente”. Falso, era già tutto deciso da una settimana, come poi confermò lo stesso Perez, presidente del Real (in Brasile Kakà già firmava maglie madrilene); “E’il giocatore che voleva andare via”. Falso, visto che il giocatore, come detto, aveva dichiarato di voler rimanere; “Fosse per me lo terrei”. E’ inutile spiegare, a questo punto, perché sia non solo falso, ma anche contraddittorio. Qualcuno, a questo punto, potrebbe chiedersi: cosa c’entra la politica? Tutto. Occhio alle date: nel giugno 2009 Silvio Berlusconi è impegnato nelle europee, primo appuntamento dopo le politiche che l’avevano riportato al Governo sconfiggendo Veltroni. Un’occasione importante per testimoniare la tenuta di partito e Governo. Le elezioni sono fissate per il 6 e 7 giugno 2009. Il Pdl ottiene il 35%. Due giorni dopo, 9 giugno, arriva l’ufficialità: Kakà è del Real Madrid. Casualità? Pare proprio di no. Perché non cederlo prima ad una cifra più alta, se il motivo per cui poi è stato ceduto è un motivo economico? Perché aspettare proprio l’indomani delle europee per annunciare questo trasferimento? D’altronde lo stesso Berlusconi confessò la sua prospettiva sul Milan quando si parlava a maggio di una possibile cessione del Milan: “Vendere il Milan mi costerebbe in termini di popolarità”, disse il Presidente. Ma allora ragioniamo anche su altri acquisti più recenti. Abbiamo accennato alle politiche: lo scontro Berlusconi – Veltroni risale al 13 e 14 aprile 2009. C’è un legame – seppur indiretto – con l’acquisto di Ronaldinho. Perché indiretto? Perché ufficialmente il brasiliano arrivò al Milan solo a luglio, ma se ne cominciava a parlare proprio a inizio anno, in piena campagna elettorale. Ricordiamo cosa disse, ad esempio, in quel 7
  • 8. L 'i n fi l t rat o " C a l c i o e P o l i t i c a ” periodo Ernesto Bronzetti, consulente di mercato per il club rossonero e agente Fifa: “Il Milan è fidanzato col brasiliano, sono come due fidanzati in attesa di matrimonio”. E giù di lì attestati di stima in campo, sugli spalti, sui siti internet per il Presidente Silvio Berlusconi. Ed ecco le ultime vicende. Facciamo un piccolo confronto, seppure molto eloquente. Stagione 2009/2010. Il Milan non mette in porto nessun “colpaccio di mercato”. Anzi, l’unico grande trasferimento è in uscita. Quello, di cui già abbiamo parlato, di Kakà. Passa un anno. Il Milan decide di tornare sul mercato e lo fa in maniera devastante: Robinho, Ibrahimovic, poi Cassano, Van Bommel, Emanuelson. A questo punto ragioniamo sul clima politico di questi ultimi due anni. Per quanto riguarda il periodo della stagione 2009/2010 il Pdl rimane indiscutibilmente primo partito italiano, mentre il Governo continua con la sua attività quasi incontrastata per via di una maggioranza a dir poco spropositata. Passa un anno e la musica cambia notevolmente: Fini si allontana da Silvio, nasce Fli, emergono nuove inchieste. Berlusconi, in pratica, è con le spalle al muro. La sua unica salvezza è investire nel calcio, in quello sport che tanto ottunde i cervelli, che poi possa spronare gli “sfegatati” a votare in un modo invece che in un altro. Potrebbero allora essere intesi come acquisti mirati a risollevare il morale di tutti quei milanisti che, nel periodo passato, avevano manifestato il desiderio che Berlusconi abbandonasse la dirigenza milanista (ricordiamo alcuni cori e striscioni degli Ultras del Milan a fine campionato: “Vendi Kakà per risanare la società e non spendi più i tuoi milioni. Caro Berlusconi grazie di tutto e vai fuori dai c…”; “Sono anni che compri bidoni e figurine. Quest’anno chi compri…le veline??”; “Ad agosto fiducia incondizionata, tiriamo le somme di questa annata: mister e ragazzi promossi per l’impegno, presidente bocciato assente ingiustificato!”). Era doveroso riconquistare la loro fiducia proprio in un periodo caldo in campo politico: le elezioni potrebbero essere vicine e Berlusconi non può rischiare di giocarsi qualche voto. Nel gioco del “do ut des”, Berlusconi ha regalato Ibrahimovic & co., nella speranza che i milanisti, poi, non lo tradiscano in ambito elettorale. Non sarebbe un caso allora che Antonio Cassano sia arrivato proprio all’indomani del voto di fiducia che aveva consegnato al Governo una maggioranza assolutamente traballante e aperta all’ignoto, con la Lega che spinge per le elezioni e con pochi deputati invidiosi e inetti, banderuole che passano da una parte all’altra, ad avere in mano il futuro di questa legislatura. Un legame calcio-politica, dunque, c’è. Né questo può apparire secondario, se poi riflettiamo anche 8
  • 9. L 'i n fi l t rat o " C a l c i o e P o l i t i c a ” sui risultati politici a cui tendono. Ma allora fino a che punto possiamo considerare che sia stata una battuta quanto detto da Berlusconi in seguito alla sconfitta nelle prime giornate di campionato contro il Cesena (2 a 0)?: “Ieri sera il Milan ci ha dato dei dolori – disse durante la festa dei giovani Pdl – ma non ha giocato male. Non c’erano 3 fuorigioco. Il problema è che spesso il Milan incontra arbitri di sinistra”. Il dubbio – anche qui – resta. ********** CALCIO E POLITICA/ Mister B. e il Milan: quando Zac fu uno yo-yo per la politica del capo… Venerdì 11 Febbraio 2011 Sabato 5 Febbraio. Alberto Zaccheroni, fresco vincitore della Coppa D'Asia alla guida del Giappone, rivela: "Da quando litigai con Berlusconi non ho più allenato una squadra di serie A, se non subentrando ad altri allenatori." Prima vittima di quella macchina del fango che in seguito colpì Sircana, Boffo, Fini... Il micro-cosmo calcistico berlusconiano è sempre stato ad immagine e somiglianza del Premier, che troppo spesso ha cavalcato l'onda sportiva per interessi politici. Lo sport come arma di persuasione di massa. Peculiarità dei regimi totalitari in passato, moda diffusa nei tempi moderni grazie alla quale il potere politico può aumentare o controllare il consenso popolare. In Italia un saggio sulla materia non poteva che arrivare da Silvio Berlusconi, a più riprese intervenuto sulle questioni del Milan – del quale è proprietario, ma non presidente – in momenti politici 9
  • 10. L 'i n fi l t rat o " C a l c i o e P o l i t i c a ” più rilevanti di quanto lascino trasparire le apparenze. Emblematiche in tal senso furono le ripetute esternazioni tra il 1998 e il 2001, quando a Montecitorio il Cavaliere era all’opposizione e sulla panchina rossonera sedeva Alberto Zaccheroni. Premiato sabato 5 febbraio dal sindaco di Cesenatico, sua residenza, per la recente vittoria in coppa d’Asia con il Giappone del quale è commissario tecnico, l’allenatore romagnolo – fra le tante dichiarazioni – ha voluto lasciare un pensiero anche per l’attuale presidente del Consiglio, del quale fu dipendente nel triennio sopracitato e dove conquistò il primo tentativo il penultimo degli attuali diciassette scudetti rossoneri: «Da quando litigai con Berlusconi non ho più allenato una squadra di serie A se non subentrando ad altri allenatori». Vittima progenitrice della macchina del fango che in futuro colpirà, tra gli altri, Dino Boffo e Gianfranco Fini, all’epoca dei fatti Zac divenne senza volerlo uno yo-yo nella mano del padrone, che lo lanciava e riavvolgeva a sé in base alle convenienze politiche del momento. Aprile ’98. L’Udinese di Zaccheroni è la squadra del momento: terza in campionato, schiera il capocannoniere Bierhoff (27 gol, 2 in più di un Ronaldo allora ancora Fenomeno) e pratica un gioco effervescente, figlio del suo allenatore, che applica un modulo mai adoperato prima in Italia: il 3-4-3. Intento a giocare al gatto con il topo nei confronti del governo di centro-sinistra in materia di bicamerale, B. deve anche assistere agli orrori rossoneri del Capello II, che s’inabissa con la clamorosa sconfitta in finale di coppa Italia contro la Lazio. «Quest'anno il Milan ha sempre giocato male. Lo vorrei diverso, con un gioco arioso come quello dell' Udinese» confida ai suoi collaboratori all’indomani delle uova lanciate dai tifosi contro il pullman della squadra prima di Milan-Parma, 11 maggio ’98. Traduzione del messaggio: “ingaggiate quell’allenatore”. Detto fatto. Il 25 maggio Alberto Zaccheroni è ufficializzato nuovo allenatore del Milan. La notizia, oltre a rigenerare gli animi dei tifosi, fa di B. un acuto osservatore del presente e ne innalza il prestigio pubblico. Quanto basta per proclamare l’ultimatum, 27 maggio, sulle sue irremovibili condizioni (cancellierato e doppio turno proporzionale) per la bicamerale e mandare in fumo i disegni di D’Alema senza pagarne le conseguenze, bensì dopo aver incassato l’assicurazione dal centro-sinistra che non gli sarebbero state toccate le televisioni. Un anno dopo. 23 maggio 1999. Siamo a tre settimane dalle elezioni europee, Prodi è caduto nell’ottobre precedente e al suo posto c’è D’Alema. Il Cavaliere è impegnato nella traversata del deserto che dovrà riportarlo a Palazzo Chigi; per i sondaggi Forza Italia è in ascesa. Quel giorno, a Perugia, al termine di una stagione che secondo i piani dirigenziali e tecnici doveva essere soltanto 10
  • 11. L 'i n fi l t rat o " C a l c i o e P o l i t i c a ” di transizione, il Milan di Zac conquista lo scudetto con un punto di vantaggio sulla più quotata Lazio. A sera, Sua Onnipresenza attraverso l’amato tubo catodico si manifesta nelle case degli italiani per assumersi i meriti della rimonta sulla Lazio, 7 vittorie in 7 partite, in particolare la paternità di schierare Boban dietro le punte. La Storia vuole però che già il 10 gennaio dello stesso anno, a Empoli, Zac avesse già sperimentato la variante tattica che contraddistinguerà l’ultima parte del fortunato cammino del Milan. Un particolare che il tecnico non manca di far notare con serenità, rivelando un’anima poco incline al compromesso e alla salvaguardia del quieto vivere. Intanto il 13 giugno 1999 Forza Italia è il primo partito italiano alle europee. In un periodo dove il calcio è attraversato dalle spregiudicatezze economiche di Tanzi, Cecchi Gori, Cragnotti – che spendevano più di quanto avessero – B. – che di soldi veri ne avrebbe – gioca al risparmio e riprende a muovere lo yo-yo a seconda della sua utilità. Ovviamente politica. Dopo un tira e molla mediatico all’insegna di suggerimenti non accolti su come dovrebbe giocare il Milan – linea a ‘quattro’, ignaro che con la vituperata difesa a ‘tre’ ha vinto uno scudetto – si arriva al 9 marzo 2000. Mancano quaranta giorni alle elezioni regionali e il centro-sinistra annaspa: dopo la caduta di Prodi, D’Alema ha già formato due governi differenti. A condire il menu, le “rosseggianti” simpatie politiche di Zac: che ha perso il derby con l’Inter e si ritrova a leggere un attestato di grande stima rilasciato dal suo datore di lavoro al settimanale Rigore: «Zaccheroni potrebbe non essere il sarto adatto per la stoffa di qualità che ha sottomano». Peccato che quel Milan, più che a un atelier di alta moda, assomigli tanto alla bancarella di un mercato rionale: dopo lo scudetto, tranne Shevchenko e un giovanissimo Gattuso, son arrivati mestieranti come Orlandini e Tonetto più giovani sconosciuti quali Graffiedi, Teodorani e Sadotti. Gente che, tranne qualche sporadica apparizione del primo, vedrà l’erba di San Siro giusto dalla tribuna… Zac vive una quaresima di risultati fino a Pasqua: 2-1 alla Reggina (con le 3 punte e la difesa a 3) sette giorni dopo la vittoria di B. alle regionali e le dimissioni del governo D’Alema. Tante belle notizie rendono ebbro Sua Onnipresenza, che il 30 aprile dichiara: «Il tecnico non è mai stato in dubbio. Abbiamo un progetto ben preciso. Lo porteremo avanti con lui». Ma due settimane dopo la sbornia è già smaltita: «Voglio una vittoria senza sofferenza per i settantamila di San Siro: per ritrovare il nostro bel gioco dobbiamo andare a Chi l'ha visto? Non è stata una stagione disastrosa, ma avevamo ambizioni diverse dal terzo posto». È il 13 maggio 2000. Ironia della sorte vuole che sia un anno esatto dalle elezioni politiche. Alle 11
  • 12. L 'i n fi l t rat o " C a l c i o e P o l i t i c a ” quali B. si ricandida e intraprende una drastica campagna elettorale: o con lui, o contro di lui. Niente sconti, anche in campo calcistico. Come sopportare dunque un allenatore che fa di testa sua e che, tra le altre, ha simpatie politiche tendenti a sinistra? Al consueto mercato estivo low-cost si aggiunge una sconfitta agostana contro il Real Madrid (1-5) in un banale trofeo amichevole, che aziona il count-down della permanenza di Zac al Milan. La situazione precipiterà mesi successivi quando la squadra, in seguito a una sequela inenarrabile di infortuni, uscirà dalla Champions League dopo l’1-1 con il Deportivo in casa. È il 13 marzo 2001. Mancano due mesi precisi alle elezioni politiche. Serve trasmettere un messaggio agli elettori che davanti a loro c’è un uomo forte, padrone del momento e del destino, pronto ad agire in prima persona per far andar le cose nella direzione giusta. Così nel dopopartita B., latitante dalle questioni rossonere nei mesi precedenti, gioca un’ultima volta con lo yo-yo. «Non ho condiviso molte delle scelte tecniche che sono state fatte nel Milan negli ultimi due anni ma ho lasciato fare a loro visto che avevano l’appoggio sia del pubblico che della stampa. Adesso mi sembra che i risultati portano a dire che avevo ragione io. Adesso io penso che debba lasciare da parte il riserbo. Guardo indietro nel passato: quando questa squadra vinceva era merito di qualcuno e quando perdeva era colpa della società. Un discorso che non sta né in cielo né in terra. Da domani comincerò ad occuparmene personalmente» esclama in diretta tivù ritornando Sua Onnipresenza e fabbricandosi un magnifico spot elettorale sulla sua natura di “uomo del fare”, che al momento opportuno interviene per riparare agli errori. Commessi da altri, ovviamente… Peccato che nessuno gli chieda conto, visto che era il presidente, del suo operato (nullo) nell’ultimo biennio rossonero. Il ghe pensi mì in salsa calcistica produce l’esonero di Zaccheroni e la sua sostituzione con un fedelissimo del club, Cesare Maldini (Tassotti vice), in piena sintonia con le direttive di Villa San Martino, che completa una mossa comunicativa a base di romanticismo apparente e buoni sentimenti fittizi. Due mesi dopo ci sono le elezioni politiche. B. vince e va a Palazzo Chigi. Peccato però che prima che torni a vincere il Milan dovranno passare altri due anni… ********** Tutti i contenuti di questo sito sono pubblicati con licenza Creative Commons 3.0. Termini e condizioni di utilizzo 12
  • 13. L 'i n fi l t rat o " C a l c i o e P o l i t i c a ” I contenuti del dossier possono essere riprodotti, distribuiti, comunicati al pubblico, esposti al pubblico, rappresentati, eseguiti e recitati. Alle seguenti condizioni: - Attribuzione della paternità dell’opera con fonte e link diretto al sito - Non può essere usata quest’opera per fini commerciali. - Non può essere alterata o trasformata quest’opera, nè usata per crearne un’altra. Per info e contatti scrivi a: redazione@infiltrato.it Le foto presenti su Infiltrato.it sono state in larga parte prese da Internet e quindi valutate di pubblico dominio. Se i soggetti o gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, non avranno che da segnalarlo alla redazione ( redazione@infiltrato.it ) che provvederà prontamente alla rimozione delle immagini utilizzate. 13