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Roma. Terrorismo e minori. Una intervista
alla dottoressa Cecilia Polizzi, CRTG Working
Group - Working Group on Children Recruited
by Terrorist and Violent Extremist Groups
4 26 luglio 2021 5 Senza categoria 6 7 0
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Fino a prova contraria
Giancarlo Capozzoli
CP:
"Il
CRTG
Working
Group
-
Working
Group
on
Children
Recruited
by
Terrorist
and
Violent
Extremist
Groups
-
é
nato
dall
´esigenza
di
rispondere
al
sistema
di
abuso
e
violenza
esercitato
dalle
organizzazioni
terroristiche
contro
i
minori.
È
stato
istituito
proprio
per
fare
fronte
a
questo
tipo
di
fenomeno,
al
fine
di
prevenirlo
e
contrastarlo.
La
gravità
della
violenza
esercitata
sui
minori
da
parte
di
attori
terroristici
ha
delle
conseguenze
devastanti.
Nella
maggior
parte
dei
casi,
tanto
per
fare
un
esempio,
porta
ad
una
morte
prematura
del
minore
stesso,
oppure
è
causa
di
gravi
danni
al
minore,
compromettendo,
così,
lo
sviluppo
della
persona,
intellettuale
e
sociale,
e
lasciando,
inoltre,
quelli
che
sopravvivono,
con
gravi
traumi,
dovendo
sopportare
le
conseguenze
di
profonde
cicatrici
sia
fisiche
che
emotive.
Inoltre,
il
coinvolgimento
di
minori
con
organizzazioni
di
matrice
terroristica
comporta
una
stigmatizzazione
ed
un
alto
rischio,
per
il
minore,
di
diventare
vittima
di
una
violenza
ulteriore,
cosiddetta
secondaria,
da
parte
delle
forze
dell'ordine,
delle
forze
armate
o
dei
militari
e
anche
delle
comunità
in
seguito
ad
un'
arresto,
oppure
a
conseguenza
del
reintegramento
sociale.
Sebbene
esista
un
profondo
impegno,
condiviso
internazionalmente,
verso
la
protezione
del
minore
contro
gravi
forme
di
violenza,
la
protezione
di
coloro
colpiti
dallo
sfruttamento
terroristico
continua
a
presentare
importanti
latenze
e
richiede
pertanto
un
ulteriore
sviluppo
e
il
concretamento
di
sistemi
di
intervento,
urgenti
e
multilaterali,
a
livello
globale.
GC:
In
alcune
nostre
precedenti
conversazioni
mi
ha
detto
che
il
CRTG
Working
Group
é
originariamente
emerso
dal
un
Comitato
CoNGO
delle
Nazioni
Unite...
CP:
Esattamente.
Tra
il
2019
e
l
´inizio
del
2020,
il
CRTG
Working
Group
ha
supportato
il
lavoro
del
Comitato
attraverso
l
´identificazione
e
l
´analisi
di
lacune
conoscitive
nel
settore
della
criminalità,
della
prevenzione
del
terrorismo
e
della
giustizia
penale,
per
quanto
concerne
appunto
la
condizione
del
minore
nel
terrorismo.
Nel
2020,
il
CRTG
Working
Group
si
è
reso
independente
diventando
di
fatto
lunica
organizzazione
non-
profit
a
livello
globale,
con
un
focus
esclusivo
alla
protezione
del
diritto
dei
minori
vittime
dell
´uso
e
dello
sfruttamento
terroristico.
GC:
L
´obiettivo
che
il
CRTG
Working
Group
si
prefigge
è
la
protezione
del
minore
dal
traffico
terroristico...
CP:
E
di
ispirare
un
cambiamento
duraturo
e
positivo
nel
modo
in
cui
i
minori
vittime
di
coercizione,
violenza
e
sfruttamento
terroristico
vengono
trattati.
Proprio
per
questo,
il
CRTG
porta
avanti
ricerca
e
analisi
per
raccogliere
maggiori
informarzioni
sullo
sviluppo
di
programmi
di
prevenzione
e
risposta
alla
violenza
condotta
da
attori
terroristici
contro
i
minori,
sostiene
il
rispetto
della
dignità
e
dei
diritti
del
minore
nel
terrorismo,
instaura
sinergie
ed
offre
servizi
di
consulenza
per
fornire
ai
responsabili
politici,
professionisti,
e
società
civile
gli
strumenti
necessari
per
comprendere
e
rispondere
a
questo
problema.
GC:
Ultimamente,
la
questione
dello
sfruttamento
di
minori
da
parte
di
attori
terroristici
è
emersa
come
una
delle
principali
causali
della
violenza
estrema
a
cui
assistiamo
nel
mondo...
CP:
E'
una
violenza
che
tutti,
indistintamente,
subiamo
a
causa
del
terrorismo
ed
è
una
violenza
che
il
minore
in
primo
luogo
subisce
a
causa
del
terrorismo.
A
partire
dalla
percezione
di
questo
fenomeno
nella
sua
natura
transnazionale
e
globale,
ed
anche
in
considerazione
della
gravitá
della
minaccia
imposta
alla
sicurezza
del
minore
e
della
comunitá
internazionale,
il
CRTG
Working
Group
intende
che
integrare
il
coordinamento
tra
diversi
settori
sia
fondamentale.
In
ogni
aspetto
del
nostro
lavoro,
quindi
cerchiamo
di
includere
I/ONG,
istituzioni,
accademici,
operatori
umanitari,
comunità
locali
ed
esperti
internazionali
che
condividono
il
nostro
profondo
impegno
per
la
protezione
della
sicurezza
e
dell
´attribuzione
del
diritto
al
minore
nel
terrorismo.
GC:
Le
questioni
sono
evidentemente
connesse
al
problema
del
terrorismo
che
continua
a
costituire,
nel
panorama
contemporaneo,
una
delle
minacce
più
gravi
per
la
comunità
internazionale...
CP:
E'
chiaro
che
tra
le
tendenze
critiche
che
hanno
interessato,
e
continuano
a
rimodellare,
l'estremismo
violento
negli
ultimi
anni,
il
reclutamento
e
lo
sfruttamento
dei
minori
stia
emergendo
come
un
fattore
determinante.
Non
sarebbe
forse
esagerato
affermare
che
questo
fenomeno
rappresenta
una
componente
in
rapida
evoluzione
della
tattica
e
della
strategia
terroristica
e
che
imponga
un
pericolo
evidente,
presente
e
concreto
per
il
minore,
per
le
comunità
e
le
società
e
per
la
sicurezza
internazionale
stessa.
GC:
Lo
sviluppo
del
terrorismo
nel
corso
del
XX
e
del
XXI
secolo
è
caratterizzato
dal
crescente
coinvolgimento
dei
minori.
Come
se
lo
spiega?
CP:
Con
il
fatto
che
il
terrorismo
evolve
in
considerazione
delle
contromisure
applicate
di
controterrorismo.
Le
organizzazioni
terroristiche,
voglio
dire,
si
evolvono
in
modo
continuo
e
dinamico
ed
il
reclutamento
del
minore
fa
parte
della
stessa
traiettoria
di
sviluppo.
All'indomani
dell'11
settembre
(9/11),
ad
esempio,
le
misure
antiterroristiche
hanno
notevolmente
ridotto
la
probabilità
di
successo
operativo
del
terrorismo
e
per
evitare
il
rilevamento,
i
gruppi
terroristici
sono
diventati
meno
gerarchici
e
più
decentralizzati.
GC:
Il
coinvolgimento
del
minore
nel
terrorismo,
vuole
dire,
emerge
come
un
cambio
di
strategia
e
di
tattica...
CP:
Infatti,
e
lo
stesso
discorso
riguarda
le
donne.
I
minori
sono
comunemente
associati
all'innocenza
e
si
presume
che
siano
–
intrinsecamente
-
non
violenti.
Come
ha
affermato
un
combattente
talebano
durante
la
loro
ascesa
nella
guerra
civile
afghana,
"I
bambini
sono
innocenti,
quindi
sono
i
migliori
strumenti
contro
le
forze
oscure".
Inoltre,
la
malleabilità
del
minore
all'indottrinamento
li
rende
bersagli
particolarmente
vulnerabili,
per
essere
costretti
od
indotti
con
altri
mezzi
a
partecipare
ad
operazioni
terroristiche
quando
il
reclutamento
di
adulti
non
sembra
fornire
alcun
vantaggio
comparativo
oppure
è
semplicemente
carente.
Ancora
più
importante,
lo
sfruttamento
dei
bambini
nel
terrorismo
riflette
la
necessità
di
garantire
la
sopravvivenza
di
un'organizzazione.
L'esposizione
prolungata
e
la
partecipazione
ad
atti
violenti
porta
a
una
profonda
desensibilizzazione
e
normalizzazione
alla
violenza
terroristica
e
instilla
nei
bambini
un
profondo
attaccamento
ideologico
al
credo
dello
jihadismo
salafista,
ad
esempio,
garantendone
così
la
propagazione
e
la
perpetuazione,
a
livello
intergenerazionale.
Il
focus
sistematico
delle
organizzazioni
terroristiche
sui
minori
ha
portato
il
loro
sfruttamento
a
diventare
una
questione
urgente
ed
una
minaccia
alla
pace
e
alla
sicurezza
internazionale.
GC:
Nessun
minore,
indipendentemente
dalla
sua
età,
sesso,
nazionalità
o
status
sociale,
è
indennizzato
o
protetto
contro
il
rischio
di
diventare
il
target
di
gruppi
terroristici
e
estremisti
violenti...
Giusto?
CP:
Sì,
tuttavia
nell'ambito
contemporaneo
della
sicurezza
globale,
sia
i
conflitti
armati
che
la
demografia,
sono
da
considerare
come
una
serie
di
dimensioni
preesistenti
ed
agenti
abilitanti
del
fenomeno.
Gli
Stati
fragili
e
quelli
colpiti
da
conflitti
armati
sono
altamente
inclini
al
terrorismo.
Lotte
intestine,
violenza
prolungata
e
caos
abissale
debilitano
le
istituzioni
governative,
esacerbano
le
fragilità
preesistenti
e
creano
un
vuoto
di
potere
che
le
organizzazioni
estremiste
violente
sfruttano
per
stabilire
safe
havens,
attirare
pools
di
reclute
nell'orbita
della
jihad
globale
ed
implementare
la
propria
agenda.
GC:
Possiamo
quindi
affermare
che
i
bambini
coinvolti
in
un
conflitto
armato
o
i
bambini
in
prossimità
geografica
di
un
conflitto
armato
presentano
un
grado
più
elevato
di
rischio
ed
esposizione
al
reclutamento
da
parte
di
gruppi
terroristi?
CP:
Assolutamente.
Inoltre,
oltre
al
conflitto
armato,
poiché
ora
ci
troviamo
nel
mezzo
della
più
grande
generazione
di
giovani
nella
storia
umana,
la
demografia
costituisce
un
fattore
supplementare
che
influisce
sul
tasso
di
reclutamento
e
utilizzo
del
minore.
Pensi
che
nel
2005,
quasi
il
50%
della
popolazione
nei
paesi
in
via
di
sviluppo
aveva
meno
di
quindici
anni,
rappresentando
il
90%
della
gioventù
mondiale.
Attualmente,
in
un
paese
come
la
Somalia,
ad
esempio,
i
bambini
e
i
giovani
continuano
a
rappresentare
il
50,8
%
della
popolazione
totale.
Lo
stesso
dato
vale
per
la
Syria
dove,
prima
dello
scoppio
della
guerra
civile,
l'età
media
della
popolazione
era
di
24,4
anni,
con
quasi
il
40%
sotto
i
14
anni.
Il
verificarsi
simultaneo
di
questi
elementi,
del
conflitto
armato
e
del
nesso
terroristico
e
della
demografia
infantile,
lascia
che
queste
categorie
costituiscano
un
enorme
bacino
di
sfruttamento
in
ranghi
terroristici,
lavoro
per
l'economia
illegale
e
anche
forme
contemporanee
di
schiavitù,
traffico
di
esseri
umani
e
altre
forme
di
organizzazioni
criminali.
GC:
I
bambini
sono
tra
le
categorie
più
vulnerabili
a
livello
sociale.
Nella
letteratura
moderna,
il
concetto
di
vulnerabilità
infantile
è
frequentemente
associato
allo
sviluppo
del
bambino...
CP:
E'
inteso
come
il
risultato
dell'interazione
di
una
serie
di
fattori
individuali
ed
ambientali
derivanti
da
capacità
cognitive,
emotive
e
fisiche,
status
socio-
economico
o
risposte
a
fattori
di
stress,
compresa
l'esposizione
alla
violenza.
Le
neuroscienze,
le
discipline
psicosociali
ed
in
effetti
tutte
le
discipline
che
studiano
la
funzione
cerebrale,
ci
insegano
ulteriormente
sulla
nostra
comprensione
collettiva
della
vulnerabilità
del
minore
e
del
suo
bisogno
di
sviluppo.
Il
punto
di
partenza
è
riconoscere
che
i
bambini
e
i
giovani
hanno
abilità
rudimentali
di
cognizione
fattuale
o
processi
mentali
come
l'apprendimento,
l'uso
e
la
comprensione
del
linguaggio,
la
memoria,
il
pensiero
e
la
percezione,
ma
anche
cognizione
morale
e
capacità
conativa,
regolando
il
controllo
degli
impulsi.
GC:
È
ormai
generalmente
accettato
che
i
bambini
piccoli
pensano
a
questioni
morali,
sociali
e
alle
relazioni
umane
in
modi
che
differiscono
qualitativamente
dai
modi
in
cui
pensano
i
bambini
più
grandi
o
gli
adulti…
CP:
Se
consideriamo
la
piena
formazione
della
capacità
psicologica
e
cognitiva
da
raggiungere
all'età
di
diciotto
anni,
si
può
notare
che
le
organizzazioni
terroristiche
non
stabiliscano
né
rispettino
un'età
minima
per
il
reclutamento
di
minori.
Abbiamo
visto
un
bambino
di
4
anni,
mentre
faceva
esplodere
esplosivi
in
un'auto
uccidendo
tre
prigionieri.
Abbiamo
assistito
a
rapimenti
di
massa
di
bambini
e
bambine
di
7
anni,
e
siamo
anche
consapevoli
dell'alto
numero
di
bambini
nati
in
un
contesto
di
conflitto
armato
con
un'organizzazione
terroristica
attiva
ed
operativa
sul
territorio.
GC:
Quando
si
parla
di
minori,
parliamo
di
grazia,
di
vulnerabilità,
di
un'ampia
gamma
di
discipline
e
fa
parte
delle
principali
costruzioni
sociali
riguardanti
l'infanzia.
CP:
Il
concetto
dell
´innocenza
infantile
si
trova
giá
nel
Nuovo
Testamento,
dove
parole
come
"migliore",
"fresco"
e
"bianco
”,
denotano
qualità
di
purezza.
Un
forte
avallo
si
trova
negli
scritti
del
diciottesimo
e
diciannovesimo
secolo,
non
ultimo
in
Rousseau,
che
annuncia
il
suo
manifesto
personale
all'inizio
di
Émile
affermando
che
il
bambino
è
in
"uno
stato
di
natura"
e,
data
l'assenza
di
circostanze
avverse,
ciò
sarebbe
sufficiente
per
sviluppare
quelle
che
Postman
chiama
"le
virtù
infantili
della
spontaneità,
purezza,
forza
e
gioia,
tutte
cose
che
sono
state
viste
come
caratteristiche
da
coltivare
e
celebrare.”
Ai
minori
sono
quindi
attribuite
connotazioni
positive,
attributi
di
innocenza,
vulnerabilità
ma
anche
bisogno
di
protezione,
cura,
nutrimento.
Sono
percepiti
come
una
forza
positive
nel
mondo,
che
attraverso
un
periodo
di
socializzazione
ed
educazione
diventa
cruciale
per
la
sopravvivenza
della
specie.
GC:
Quale
tipo
di
relazione
esiste
tra
il
concetto
dell
´innocenza
infantile
e
lo
sfruttamento
da
parte
di
gruppi
terroristici?
CP:
Il
terrorismo
nasce
dalla
condizione
stessa
dell'esistenza
umana.
E
poiché
dobbiamo
considerare
i
terroristi
nella
loro
qualità
di
essere
umano,
nonostante
quanto
disumanamente
li
possiamo
percepire,
dobbiamo
anche
presumere
che
condividano
le
nostre
costruzioni
sociali
e
la
percezione
dei
bambini
come
puri,
innocenti,
bisognosi
di
protezione.
GC:
A
partire
dalla
sua
esperienza
diretta,
quali
sono
le
diverse
forme
di
coercizione
o
influenza
associate
ai
metodi
di
reclutamento?
CP:
Il
reclutamento
del
minore
da
parte
di
attori
terroristici
non
avviene
quindi
a
dispetto
della
loro
vulnerabilità
o
età,
ma
proprio
a
causa
di
essa.
Un
bambino
non
ha
la
capacità
fisica
o
cognitiva
per
difendersi
dal
reclutamento
in
un'organizzazione
terroristica
o
attirato
ad
unirsi
ad
un'organizzazione
terroristica.
In
particolar
modo,
il
reclutamento
forzato
continua
a
rimanere
prevalente
con
i
gruppi
terroristici
che
spesso
impiegano
minacce,
comprese
minacce
a
familiari,
parenti,
anziani,
ma
anche
rapimenti
o
altre
forme
di
coercizione.
Dal
2014,
Boko
Haram
ha
impiegato
rapimenti
di
massa
in
Nigeria
e
nella
regione
del
Lake
Chad.
Il
famigerato
rapimento
di
276
studentesse
a
Chibok
nell'aprile
2014
che
ha
suscitato
l'indignazione
internazionale
e
la
campagna
sui
social
media
“Bring
Back
Our
Girls”,
è
stato
echeggiata
dal
rapimento
di
otto
ragazze
di
età
compresa
tra
8-
15
anni
da
un
villaggio
in
Nigeria
Borno
State,
dal
rapimento
di
trentatré
donne
e
sei
bambini
dal
villaggio
di
Nguelewa,
nella
regione
di
Diffa
ed
ancora
dal
rapimento
di
110
ragazze
da
una
scuola
di
Dapchi
nel
marzo
2018.
I
nostri
dati
mostrano
anche
che
tra
il
2014
e
il
2016,
in
un
periodo
di
due
anni,
Boko
Haram
ha
rapito
10.000
ragazzi
per
operazioni
militari
e
di
combattimento.
GC:
In
Somalia,
invece?
CP:
Ci
sono
stati
episodi
di
reclutamento
forzato
da
parte
di
Al-
Shabaab
che
sono
stati
segnalati
già
nel
2009.
Il
30%
dei
combattenti
di
Al-
Shabaab
è
stato
reclutato
con
la
forza
con
la
maggior
parte
delle
stime
che
scendono
nella
fascia
bassa,
intorno
al
13%.
Tuttavia,
l'uso
da
parte
di
Al-
Shabaab
del
reclutamento
forzato,
della
detenzione,
dell'intimidazione
e
del
rapimento
è
cambiato
negli
ultimi
anni,
diventando
molto
più
comune
dalla
fine
del
2017
e
il
2020,
periodo
in
cui
la
Somalia
ha
avuto
il
più
alto
numero
di
bambini
soldato
a
livello
globale.
GC:
Mentre
l'ISIS
occupava
territori
in
Siria
e
Iraq,
i
suoi
membri
hanno
rapito
migliaia
di
bambini
da
orfanotrofi,
scuole
e
persino
dalle
case
delle
loro
famiglie...
CP:
Secondo
quanto
riferito,
i
bambini
di
età
inferiore
ai
14
anni
costituivano
oltre
un
terzo
dei
6.800
Yazidi
che
l'ISIL
ha
rapito
a
Sinjar
(2014).
Altri
800-
900
bambini
sono
stati
rapiti
da
Mosul
per
indottrinamento
religioso
e
addestramento
militare.
GC:
Pur
riconoscendo,
chiaramente
da
quanto
è
emerso
finora,
che
nessun
processo
di
reclutamento
dei
bambini
può
essere
considerato
veramente
volontario,
a
causa
dello
sviluppo
delle
capacità
cognitive
del
bambino
e
delle
diverse
forme
di
coercizione,
esercizio
di
influenza
e
persuasione
associate
ai
metodi
di
reclutamento,
possiamo
affermare
che
alcuni
contesti
e
driver
-
altrimenti
definiti
"push
and
pull
factors"-
come
mi
ha
accennato
in
altre
discussioni,
spiegano
il
coinvolgimento
volontario
dei
bambini
con
un'organizzazione
terroristica?
CP:
In
via
preliminare,
è
importante
sottolineare
che
nessuno
dei
potenziali
drivers
–
utilizzati
in
relazione
all'estremismo
violento
–
o
dei
percorsi
–
utilizzati
nel
contesto
della
radicalizzazione
individuale
alla
violenza
estremista
dovrebbe
essere
considerato
isolatamente
perché
generalmente
una
moltitudine
di
fattori
è
implicata.
Inoltre,
anche
queste
potenziali
vie
di
estremismo
violento
devono
essere
contestualizzate,
rispetto
a
questioni
non
solo
locali,
ma
anche
nazionali
e
internazionali.
A
partire
da
questa
considerazione
ci
sono
due
categorie
principali
di
fattori
conducenti.
Per
“push
factors”
si
intendono
le
condizioni
che
favoriscono
l'estremismo
violento
e
il
contesto
strutturale
da
cui
emerge.
Compresi
la
mancanza
di
opportunità
socio-
economiche,
l'emarginazione
e
la
discriminazione,
il
malgoverno,
le
violazioni
dei
diritti
umani
e
dello
Stato
di
diritto,
i
conflitti
prolungati
o
irrisolti,
e
la
radicalizzazione
nelle
carceri.
GC:
Per
"pull
factors"
invece?
CP:
Sono
intesi
come
le
motivazioni
e
quei
processi
individuali,
che
svolgono
un
ruolo
chiave
nel
trasformare
grievances
in
atti
di
violenza
estrema
ed
includono
motivazioni
individuali;
rimostranze
collettive
e
vittimizzazione
derivanti
dall
´oppressione
–
percepita
o
attuale
-
intervento
straniero,
distorsione
e
abuso
di
credenze,
ideologie
politiche
e
differenze
etniche
e
culturali;
e
leadership
e
reti
sociali.
In
altre
parole,
push
factor
si
riferisce
a
quei
fattori
che
sono
strutturali
della
società,
mentre
i
"pull
factors"
sono
aspetti
psicologici
che
possono
rendere
un
individuo
più
suscettibile
ad
intraprendere
comportamenti
correlati
o
facenti
parte
dell
´
estremismo
violento
o
maturare
il
desiderio
di
aderire
a
un'organizzazione
terroristica.
GC:
Per
quanto
riguarda
la
questione
della
radicalizzaizone,
volevo
sapere
il
suo
punto
di
vista...
CP:
Ci
sono
due
diversi
scenari
di
cui
tenere
conto.
Il
primo
riguarda
il
reclutamento
di
bambini
da
parte
di
gruppi
terroristici
a
livello
locale,
che
può
avvenire
sia
volontariamente
che
forzatamente,
e
comprende
un
processo
di
indottrinamento
allo
jihadismo
salafista,
ed
il
secondo
che
riguarda
il
reclutamento
attraverso
la
comunicazione
e
la
tecnologia
online.
Rispetto
al
primo,
i
gruppi
terroristici
attuano
una
strategia
sistematica
per
reclutare
e
radicalizzare
i
bambini
combinando
l'indottrinamento
ai
precetti
ideologici
con
l'addestramento
militare
e
la
desensibilizzazione
alla
violenza.
Si
potrebbe
quindi
parlare
di
un
sistema
ibrido
in
cui
l'indottrinamento
a
un'adesione
senza
compromessi
all'ideologia
salafi-
jihadista,
fondata
sulla
premessa
che
i
non
credenti
dovrebbero
essere
perseguitati,
si
integra
con
una
prolungata
esposizione
ed
anche
partecipazione
ad
atti
di
violenza.
GC:
Con
quali
conseguenze?
CP:
I
bambini
arrivano
a
considerano
la
violenza
non
solo
come
normale
ma
anche
come
qualcosa
di
desiderabile.
Soprattutto
se
si
considera
la
promessa
di
acquisizione
di
status
attuata
da
parte
del
gruppo
per
la
perpetrazione
di
tali
atti.
Ciò
avviene
in
concomitanza
con
processi
di
socializzazione
all'interno
del
gruppo
che
portano
i
bambini
a
sviluppare
un
profondo
attaccamento
ideologico
al
credo
dello
jihadismo
salafista,
garantendone
così
la
propagazione
e
la
sopravvivenza
a
lungo
termine.
GC:
Rispetto
alla
radicalizzazione
online,
invece?
CP:
I
gruppi
terroristici
diffondono
ampiamente
la
propria
propaganda
online
attraverso
giochi,
riviste,
editoriali,
volantini
e
utilizzano
proattivamente
le
piattaforme
di
social
media
come
strumento
di
reclutamento.
Il
gruppo
ha
infatti
dimostrato
una
capacità
senza
precedenti
di
attrarre
flussi
di
reclute
promuovendo
le
sue
presunte
conquiste,
dipingendo
il
califfato
come
uno
stato
ideale
e
utopico
alternativo
all'Occidente
e
sfruttando
la
narrativa
che
il
dovere
di
ogni
musulmano
è
in
effetti
di
sostenerli.
In
conclusione,
credo
sia
importante
qui
fare
una
distinzione
tra
il
reclutamento
a
livello
locale
e
globale
perché
che
la
maggioranza
dei
minori,
a
livello
locale,
che
arrivano
a
coinvolgersi
con
gruppi
terroristici
non
lo
fanno
per
un
attaccamento
o
una
fascinazione
per
il
salafismo-
jihadista
a
priori,
che
d
´altro
canto
rappresenta
un
elemento
critico
alla
base
della
radicalizzazione
online,
ma
questo
è
ciò
con
cui
restano
a
conseguenza
del
loro
sfruttamento.
Cecilia Polizzi è un avvocato di diritto internazionale, esperta di livello
dirigenziale e docente con una esperienza professionale ed accademica
decennale nella tutela dei diritti umani, giustizia penale e minorile ed altre
branche del diritto, incluse questioni connesse alla sicurezza internazionale e
all'antiterrorismo. La sua carriera è stata dedicata alla protezione dei minori
contro gravi forme di violenza, comprese le uccisioni extragiudiziali, la forza
non necessaria, l'arresto e la detenzione arbitrari e lo sfruttamento da parte di
gruppi estremisti violenti e terroristici, nonché alla pianificazione e attuazione
di strategie che promuovono l'istruzione, lo sviluppo, partecipazione e
rappresentanza nei processi politici. Dal 2018, ha fondato e diretto il CRTG
Working Group, unica I/ONG a livello mondiale con un focus esclusivo sulla
protezione dei minori dallo sfruttamento da parte di organizzazioni estremiste
violente. In questo contesto, supervisiona una serie di programmi per fornire
ai decisori politici, professionisti ed operatori gli strumenti necessari per
comprendere e rispondere alla violenza contro i minori in questo ambito e
coordina, tra altre attività, un portfolio che identifica e affronta le questioni
sistemiche che guidano il coinvolgimento dei giovani nell'estremismo violento.
CP: "Il CRTG Working Group - Working Group on Children Recruited by
Terrorist and Violent Extremist Groups - é nato dall´esigenza di rispondere al
sistema di abuso e violenza esercitato dalle organizzazioni terroristiche contro
i minori. È stato istituito proprio per fare fronte a questo tipo di fenomeno, al
fine di prevenirlo e contrastarlo. La gravità della violenza esercitata sui minori
da parte di attori terroristici ha delle conseguenze devastanti. Nella maggior
parte dei casi, tanto per fare un esempio, porta ad una morte prematura del
minore stesso, oppure è causa di gravi danni al minore, compromettendo,
così, lo sviluppo della persona, intellettuale e sociale, e lasciando, inoltre,
quelli che sopravvivono, con gravi traumi, dovendo sopportare le
conseguenze di profonde cicatrici sia fisiche che emotive. Inoltre, il
coinvolgimento di minori con organizzazioni di matrice terroristica comporta
una stigmatizzazione ed un alto rischio, per il minore, di diventare vittima di
una violenza ulteriore, cosiddetta secondaria, da parte delle forze dell'ordine,
delle forze armate o dei militari e anche delle comunità in seguito ad un'
arresto, oppure a conseguenza del reintegramento sociale. Sebbene esista
un profondo impegno, condiviso internazionalmente, verso la protezione del
minore contro gravi forme di violenza, la protezione di coloro colpiti dallo
sfruttamento terroristico continua a presentare importanti latenze e richiede
pertanto un ulteriore sviluppo e il concretamento di sistemi di intervento,
urgenti e multilaterali, a livello globale.
GC: In alcune nostre precedenti conversazioni mi ha detto che il CRTG
Working Group é originariamente emerso dal un Comitato CoNGO delle
Nazioni Unite...
CP: Esattamente. Tra il 2019 e l´inizio del 2020, il CRTG Working Group ha
supportato il lavoro del Comitato attraverso l´identificazione e l´analisi di
lacune conoscitive nel settore della criminalità, della prevenzione del
terrorismo e della giustizia penale, per quanto concerne appunto la
condizione del minore nel terrorismo. Nel 2020, il CRTG Working Group si è
reso indipendente diventando di fatto l'unica organizzazione non-profit a
livello globale, con un focus esclusivo alla protezione del diritto dei minori
vittime dell´uso e dello sfruttamento terroristico.
GC: L´obiettivo che il CRTG Working Group si prefigge è la protezione
del minore dal traffico terroristico...
CP: ...e di ispirare un cambiamento duraturo e positivo nel modo in cui i
minori vittime di coercizione, violenza e sfruttamento terroristico vengono
trattati. Proprio per questo, il CRTG porta avanti ricerca e analisi per
raccogliere maggiori informazioni sullo sviluppo di programmi di prevenzione
e risposta alla violenza condotta da attori terroristici contro i minori, sostiene il
rispetto della dignità e dei diritti del minore nel terrorismo, instaura sinergie ed
offre servizi di consulenza per fornire ai responsabili politici, professionisti, e
società civile gli strumenti necessari per comprendere e rispondere a questo
problema.
GC: Ultimamente, la questione dello sfruttamento di minori da parte di
attori terroristici è emersa come una delle principali causali della
violenza estrema a cui assistiamo nel mondo...
CP: E' una violenza che tutti, indistintamente, subiamo a causa del terrorismo
ed è una violenza che il minore in primo luogo subisce a causa del terrorismo.
A partire dalla percezione di questo fenomeno nella sua natura transnazionale
e globale, ed anche in considerazione della gravitá della minaccia imposta
alla sicurezza del minore e della comunitá internazionale, il CRTG Working
Group intende che integrare il coordinamento tra diversi settori sia
fondamentale. In ogni aspetto del nostro lavoro, quindi cerchiamo di includere
I/ONG, istituzioni, accademici, operatori umanitari, comunità locali ed esperti
internazionali che condividono il nostro profondo impegno per la protezione
della sicurezza e dell´attribuzione del diritto al minore nel terrorismo.
GC: Le questioni sono evidentemente connesse al problema del
terrorismo che continua a costituire, nel panorama contemporaneo, una
delle minacce più gravi per la comunità internazionale...
CP: E' chiaro che tra le tendenze critiche che hanno interessato, e continuano
a rimodellare, l'estremismo violento negli ultimi anni, il reclutamento e lo
sfruttamento dei minori stia emergendo come un fattore determinante. Non
sarebbe forse esagerato affermare che questo fenomeno rappresenta una
componente in rapida evoluzione della tattica e della strategia terroristica e
che imponga un pericolo evidente, presente e concreto per il minore, per le
comunità e le società e per la sicurezza internazionale stessa.
GC: Lo sviluppo del terrorismo nel corso del XX e del XXI secolo è
caratterizzato dal crescente coinvolgimento dei minori. Come si spiega
questo fenomeno?
CP: Con il fatto che il terrorismo evolve in considerazione delle contromisure
applicate di contro-terrorismo. Le organizzazioni terroristiche, voglio dire, si
evolvono in modo continuo e dinamico ed il reclutamento del minore fa parte
della stessa traiettoria di sviluppo. All'indomani dell'11 settembre (9/11), ad
esempio, le misure antiterroristiche hanno notevolmente ridotto la probabilità
di successo operativo del terrorismo e per evitare il rilevamento, i gruppi
terroristici sono diventati meno gerarchici e più decentralizzati.
GC: Il coinvolgimento del minore nel terrorismo, vuole dire, emerge
come un cambio di strategia e di tattica...
CP: Infatti, ed è lo stesso discorso che riguarda le donne. I minori sono
comunemente associati all'innocenza e si presume che siano –
intrinsecamente - non violenti. Come ha affermato un combattente talebano
durante la loro ascesa nella guerra civile afghana, "I bambini sono innocenti,
quindi sono i migliori strumenti contro le forze oscure". Inoltre, la malleabilità
del minore all'indottrinamento li rende bersagli particolarmente vulnerabili, per
essere costretti od indotti con altri mezzi a partecipare ad operazioni
terroristiche quando il reclutamento di adulti non sembra fornire alcun
vantaggio comparativo oppure è semplicemente carente. Ancora più
importante, lo sfruttamento dei bambini nel terrorismo riflette la necessità di
garantire la sopravvivenza di un'organizzazione. L'esposizione prolungata e la
partecipazione ad atti violenti porta a una profonda desensibilizzazione e
normalizzazione alla violenza terroristica e instilla nei bambini un profondo
attaccamento ideologico al credo dello jihadismo salafista, ad esempio,
garantendone così la propagazione e la perpetuazione, a livello
intergenerazionale. Il focus sistematico delle organizzazioni terroristiche sui
minori ha portato il loro sfruttamento a diventare una questione urgente ed
una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.
GC: Nessun minore, indipendentemente dalla sua età, sesso, nazionalità
o status sociale, è indennizzato o protetto contro il rischio di diventare il
target di gruppi terroristici e estremisti violenti... Giusto?
CP: Sì, tuttavia nell'ambito contemporaneo della sicurezza globale, sia i
conflitti armati che la demografia, sono da considerare come una serie di
dimensioni preesistenti ed agenti abilitanti del fenomeno. Gli Stati fragili e
quelli colpiti da conflitti armati sono altamente inclini al terrorismo. Lotte
intestine, violenza prolungata e caos abissale debilitano le istituzioni
governative, esacerbano le fragilità preesistenti e creano un vuoto di potere
che le organizzazioni estremiste violente sfruttano per stabilire safe havens,
attirare pools di reclute nell'orbita della jihad globale ed implementare la
propria agenda.
GC: E' chiaro che i bambini coinvolti in un conflitto armato o i bambini
in prossimità geografica di un conflitto armato presentano un grado più
elevato di rischio ed esposizione al reclutamento da parte di gruppi
terroristi...
CP: Assolutamente. Inoltre, oltre al conflitto armato, poiché ora ci troviamo nel
mezzo della più grande generazione di giovani nella storia umana, la
demografia costituisce un fattore supplementare che influisce sul tasso di
reclutamento e utilizzo del minore. Pensi che nel 2005, quasi il 50% della
popolazione nei paesi in via di sviluppo aveva meno di quindici anni,
rappresentando il 90% della gioventù mondiale. Attualmente, in un paese
come la Somalia, ad esempio, i bambini e i giovani continuano a
rappresentare il 50,8 % della popolazione totale. Lo stesso dato vale per la
Syria dove, prima dello scoppio della guerra civile, l'età media della
popolazione era di 24,4 anni, con quasi il 40% sotto i 14 anni. Il verificarsi
simultaneo di questi elementi, del conflitto armato e del nesso terroristico e
della demografia infantile, lascia che queste categorie costituiscano un
enorme bacino di sfruttamento in ranghi terroristici, lavoro per l'economia
illegale e anche forme contemporanee di schiavitù, traffico di esseri umani e
altre forme di organizzazioni criminali.
GC: I bambini sono tra le categorie più vulnerabili a livello sociale. Nella
letteratura moderna, il concetto di vulnerabilità infantile è
frequentemente associato allo sviluppo del bambino...
CP: E' inteso come il risultato dell'interazione di una serie di fattori individuali
ed ambientali derivanti da capacità cognitive, emotive e fisiche, status socio-
economico o risposte a fattori di stress, compresa l'esposizione alla violenza.
Le neuroscienze, le discipline psicosociali ed in effetti tutte le discipline che
studiano la funzione cerebrale, ci insegnano ulteriormente sulla nostra
comprensione collettiva della vulnerabilità del minore e del suo bisogno di
sviluppo. Il punto di partenza è riconoscere che i bambini e i giovani hanno
abilità rudimentali di cognizione fattuale o processi mentali come
l'apprendimento, l'uso e la comprensione del linguaggio, la memoria, il
pensiero e la percezione, ma anche cognizione morale e capacità conativa,
regolando il controllo degli impulsi.
GC: È ormai generalmente accettato che i bambini piccoli pensano a
questioni morali, sociali e alle relazioni umane in modi che differiscono
qualitativamente dai modi in cui pensano i bambini più grandi o gli
adulti…
CP: Se consideriamo la piena formazione della capacità psicologica e
cognitiva da raggiungere all'età di diciotto anni, si può notare che le
organizzazioni terroristiche non stabiliscano né rispettino un'età minima per il
reclutamento di minori. Abbiamo visto un bambino di 4 anni, mentre faceva
esplodere esplosivi in ​​un'auto uccidendo tre prigionieri. Abbiamo assistito a
rapimenti di massa di bambini e bambine di 7 anni, e siamo anche
consapevoli dell'alto numero di bambini nati in un contesto di conflitto armato
con un'organizzazione terroristica attiva ed operativa sul territorio.
GC: Quando si parla di minori, parliamo di grazia, di vulnerabilità, di
un'ampia gamma di discipline e fa parte delle principali costruzioni
sociali che riguardano l'infanzia.
CP: Il concetto dell´innocenza infantile si trova giá nel Nuovo Testamento,
dove parole come "migliore", "fresco" e "bianco ”, denotano qualità di
purezza. Un forte avallo si trova negli scritti del diciottesimo e diciannovesimo
secolo, non ultimo in Rousseau, che annuncia il suo manifesto personale
all'inizio di Émile affermando che il bambino è in "uno stato di natura" e, data
l'assenza di circostanze avverse, ciò sarebbe sufficiente per sviluppare quelle
che Postman chiama "le virtù infantili della spontaneità, purezza, forza e gioia,
tutte cose che sono state viste come caratteristiche da coltivare e celebrare.”
Ai minori sono quindi attribuite connotazioni positive, attributi di innocenza,
vulnerabilità ma anche bisogno di protezione, cura, nutrimento. Sono percepiti
come una forza positive nel mondo, che attraverso un periodo di
socializzazione ed educazione diventa cruciale per la sopravvivenza della
specie.
GC: Quale tipo di relazione esiste tra il concetto dell´innocenza infantile
e lo sfruttamento da parte di gruppi terroristici?
CP: Il terrorismo nasce dalla condizione stessa dell'esistenza umana. E
poiché dobbiamo considerare i terroristi nella loro qualità di essere umano,
nonostante quanto disumanamente li possiamo percepire, dobbiamo anche
presumere che condividano le nostre costruzioni sociali e la percezione dei
bambini come puri, innocenti, bisognosi di protezione.
GC: A partire dalla sua esperienza diretta, quali sono le diverse forme di
coercizione o influenza associate ai metodi di reclutamento?
CP: Il reclutamento del minore da parte di attori terroristici non avviene quindi
a dispetto della loro vulnerabilità o età, ma proprio a causa di essa. Un
bambino non ha la capacità fisica o cognitiva per difendersi dal reclutamento
in un'organizzazione terroristica o attirato ad unirsi ad un'organizzazione
terroristica. In particolar modo, il reclutamento forzato continua a rimanere
prevalente con i gruppi terroristici che spesso impiegano minacce, comprese
minacce a familiari, parenti, anziani, ma anche rapimenti o altre forme di
coercizione. Dal 2014, Boko Haram ha impiegato rapimenti di massa in
Nigeria e nella regione del Lake Chad. Il famigerato rapimento di 276
studentesse a Chibok nell'aprile 2014 che ha suscitato l'indignazione
internazionale e la campagna sui social media “Bring Back Our Girls”, è stato
echeggiata dal rapimento di otto ragazze di età compresa tra 8-15 anni da un
villaggio in Nigeria Borno State, dal rapimento di trentatré donne e sei
bambini dal villaggio di Nguelewa, nella regione di Diffa ed ancora dal
rapimento di 110 ragazze da una scuola di Dapchi nel marzo 2018. I nostri
dati mostrano anche che tra il 2014 e il 2016, in un periodo di due anni, Boko
Haram ha rapito 10.000 ragazzi per operazioni militari e di combattimento.
GC: In Somalia, invece?
CP: Ci sono stati episodi di reclutamento forzato da parte di Al-Shabaab che
sono stati segnalati già nel 2009. Il 30% dei combattenti di Al-Shabaab è stato
reclutato con la forza con la maggior parte delle stime che scendono nella
fascia bassa, intorno al 13%. Tuttavia, l'uso da parte di Al-Shabaab del
reclutamento forzato, della detenzione, dell'intimidazione e del rapimento è
cambiato negli ultimi anni, diventando molto più comune dalla fine del 2017 e
il 2020, periodo in cui la Somalia ha avuto il più alto numero di bambini
soldato a livello globale.
GC: Mentre l'ISIS occupava territori in Siria e Iraq, i suoi membri hanno
rapito migliaia di bambini da orfanotrofi, scuole e persino dalle case
delle loro famiglie...
CP: Secondo quanto riferito, i bambini di età inferiore ai 14 anni costituivano
oltre un terzo dei 6.800 Yazidi che l'ISIL ha rapito a Sinjar (2014). Altri 800-
900 bambini sono stati rapiti da Mosul per indottrinamento religioso e
addestramento militare.
GC: Pur riconoscendo, chiaramente da quanto è emerso finora, che
nessun processo di reclutamento dei bambini può essere considerato
veramente volontario, a causa dello sviluppo delle capacità cognitive
del bambino e delle diverse forme di coercizione, esercizio di influenza e
persuasione associate ai metodi di reclutamento, possiamo affermare
che alcuni contesti e driver -altrimenti definiti "push and pull factors"-
come mi ha accennato in altre discussioni, spiegano il coinvolgimento
volontario dei bambini con un'organizzazione terroristica?
CP: In via preliminare, è importante sottolineare che nessuno dei potenziali
drivers – utilizzati in relazione all'estremismo violento – o dei percorsi –
utilizzati nel contesto della radicalizzazione individuale alla violenza
estremista dovrebbe essere considerato isolatamente perché generalmente
una moltitudine di fattori è implicata. Inoltre, anche queste potenziali vie di
estremismo violento devono essere contestualizzate, rispetto a questioni non
solo locali, ma anche nazionali e internazionali. A partire da questa
considerazione ci sono due categorie principali di fattori conducenti. Per
“push factors” si intendono le condizioni che favoriscono l'estremismo violento
e il contesto strutturale da cui emerge. Compresi la mancanza di opportunità
socio-economiche, l'emarginazione e la discriminazione, il malgoverno, le
violazioni dei diritti umani e dello Stato di diritto, i conflitti prolungati o irrisolti,
e la radicalizzazione nelle carceri.
GC: Per "pull factors" invece?
CP: Sono intesi come le motivazioni e quei processi individuali, che svolgono
un ruolo chiave nel trasformare grievances in atti di violenza estrema ed
includono motivazioni individuali; rimostranze collettive e vittimizzazione
derivanti dall´oppressione – percepita o attuale - intervento straniero,
distorsione e abuso di credenze, ideologie politiche e differenze etniche e
culturali; e leadership e reti sociali. In altre parole, push factor si riferisce a
quei fattori che sono strutturali della società, mentre i pull factors sono aspetti
psicologici che possono rendere un individuo più suscettibile ad intraprendere
comportamenti correlati o facenti parte dell´ estremismo violento o maturare il
desiderio di aderire a un'organizzazione terroristica.
GC: Per quanto riguarda la questione della radicalizzazione, volevo
sapere il suo punto di vista...
CP: Ci sono due diversi scenari di cui tenere conto. Il primo riguarda il
reclutamento di bambini da parte di gruppi terroristici a livello locale, che può
avvenire sia volontariamente che forzatamente, e comprende un processo di
indottrinamento allo jihadismo salafista, ed il secondo che riguarda il
reclutamento attraverso la comunicazione e la tecnologia online. Rispetto al
primo, i gruppi terroristici attuano una strategia sistematica per reclutare e
radicalizzare i bambini combinando l'indottrinamento ai precetti ideologici con
l'addestramento militare e la desensibilizzazione alla violenza. Si potrebbe
quindi parlare di un sistema ibrido in cui l'indottrinamento a un'adesione
senza compromessi all'ideologia salafi-jihadista, fondata sulla premessa che i
non credenti dovrebbero essere perseguitati, si integra con una prolungata
esposizione ed anche partecipazione ad atti di violenza.
GC: Con quali conseguenze?
CP: I bambini arrivano a considerano la violenza non solo come normale ma
anche come qualcosa di desiderabile. Soprattutto se si considera la
promessa di acquisizione di status attuata da parte del gruppo per la
perpetrazione di tali atti. Ciò avviene in concomitanza con processi di
socializzazione all'interno del gruppo che portano i bambini a sviluppare un
profondo attaccamento ideologico al credo dello jihadismo salafista,
garantendone così la propagazione e la sopravvivenza a lungo termine.
GC: Rispetto alla radicalizzazione online, invece?
CP: I gruppi terroristici diffondono ampiamente la propria propaganda online
attraverso giochi, riviste, editoriali, volantini e utilizzano proattivamente le
piattaforme di social media come strumento di reclutamento. Il gruppo ha
infatti dimostrato una capacità senza precedenti di attrarre flussi di reclute
promuovendo le sue presunte conquiste, dipingendo il califfato come uno
stato ideale e utopico alternativo all'Occidente e sfruttando la narrativa che il
dovere di ogni musulmano è in effetti di sostenerli.
In conclusione, credo sia importante qui fare una distinzione tra il
reclutamento a livello locale e globale perché che la maggioranza dei minori,
a livello locale, che arrivano a coinvolgersi con gruppi terroristici non lo fanno
per un attaccamento o una fascinazione per il salafismo-jihadista a priori, che
d´altro canto rappresenta un elemento critico alla base della radicalizzazione
online, ma questo è ciò con cui restano a conseguenza del loro sfruttamento.
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  • 1. Roma. Terrorismo e minori. Una intervista alla dottoressa Cecilia Polizzi, CRTG Working Group - Working Group on Children Recruited by Terrorist and Violent Extremist Groups 4 26 luglio 2021 5 Senza categoria 6 7 0 NESSUN COMMENTO 8 LASCIA UN COMMENTO Devi essere registrato per postare un commento. Fino a prova contraria Giancarlo Capozzoli CP: "Il CRTG Working Group - Working Group on Children Recruited by Terrorist and Violent Extremist Groups - é nato dall ´esigenza di rispondere al sistema di abuso e violenza esercitato dalle organizzazioni terroristiche contro i minori. È stato istituito proprio per fare fronte a questo tipo di fenomeno, al fine di prevenirlo e contrastarlo. La gravità della violenza esercitata sui minori da parte di attori terroristici ha delle conseguenze devastanti. Nella maggior parte dei casi, tanto per fare un esempio, porta ad una morte prematura del minore stesso, oppure è causa di gravi danni al minore, compromettendo, così, lo sviluppo della persona, intellettuale e sociale, e lasciando, inoltre, quelli che sopravvivono, con gravi traumi, dovendo sopportare le conseguenze di profonde cicatrici sia fisiche che emotive. Inoltre, il coinvolgimento di minori con organizzazioni di matrice terroristica comporta una stigmatizzazione ed un alto rischio, per il minore, di diventare vittima di una violenza ulteriore, cosiddetta secondaria, da parte delle forze dell'ordine, delle forze armate o dei militari e anche delle comunità in seguito ad un' arresto, oppure a conseguenza del reintegramento sociale. Sebbene esista un profondo impegno, condiviso internazionalmente, verso la protezione del minore contro gravi forme di violenza, la protezione di coloro colpiti dallo sfruttamento terroristico continua a presentare importanti latenze e richiede pertanto un ulteriore sviluppo e il concretamento di sistemi di intervento, urgenti e multilaterali, a livello globale. GC: In alcune nostre precedenti conversazioni mi ha detto che il CRTG Working Group é originariamente emerso dal un Comitato CoNGO delle Nazioni Unite... CP: Esattamente. Tra il 2019 e l ´inizio del 2020, il CRTG Working Group ha supportato il lavoro del Comitato attraverso l ´identificazione e l ´analisi di lacune conoscitive nel settore della criminalità, della prevenzione del terrorismo e della giustizia penale, per quanto concerne appunto la condizione del minore nel terrorismo. Nel 2020, il CRTG Working Group si è reso independente diventando di fatto lunica organizzazione non- profit a livello globale, con un focus esclusivo alla protezione del diritto dei minori vittime dell ´uso e dello sfruttamento terroristico. GC: L ´obiettivo che il CRTG Working Group si prefigge è la protezione del minore dal traffico terroristico... CP: E di ispirare un cambiamento duraturo e positivo nel modo in cui i minori vittime di coercizione, violenza e sfruttamento terroristico vengono trattati. Proprio per questo, il CRTG porta avanti ricerca e analisi per raccogliere maggiori informarzioni sullo sviluppo di programmi di prevenzione e risposta alla violenza condotta da attori terroristici contro i minori, sostiene il rispetto della dignità e dei diritti del minore nel terrorismo, instaura sinergie ed offre servizi di consulenza per fornire ai responsabili politici, professionisti, e società civile gli strumenti necessari per comprendere e rispondere a questo problema. GC: Ultimamente, la questione dello sfruttamento di minori da parte di attori terroristici è emersa come una delle principali causali della violenza estrema a cui assistiamo nel mondo... CP: E' una violenza che tutti, indistintamente, subiamo a causa del terrorismo ed è una violenza che il minore in primo luogo subisce a causa del terrorismo. A partire dalla percezione di questo fenomeno nella sua natura transnazionale e globale, ed anche in considerazione della gravitá della minaccia imposta alla sicurezza del minore e della comunitá internazionale, il CRTG Working Group intende che integrare il coordinamento tra diversi settori sia fondamentale. In ogni aspetto del nostro lavoro, quindi cerchiamo di includere I/ONG, istituzioni, accademici, operatori umanitari, comunità locali ed esperti internazionali che condividono il nostro profondo impegno per la protezione della sicurezza e dell ´attribuzione del diritto al minore nel terrorismo. GC: Le questioni sono evidentemente connesse al problema del terrorismo che continua a costituire, nel panorama contemporaneo, una delle minacce più gravi per la comunità internazionale... CP: E' chiaro che tra le tendenze critiche che hanno interessato, e continuano a rimodellare, l'estremismo violento negli ultimi anni, il reclutamento e lo sfruttamento dei minori stia emergendo come un fattore determinante. Non sarebbe forse esagerato affermare che questo fenomeno rappresenta una componente in rapida evoluzione della tattica e della strategia terroristica e che imponga un pericolo evidente, presente e concreto per il minore, per le comunità e le società e per la sicurezza internazionale stessa. GC: Lo sviluppo del terrorismo nel corso del XX e del XXI secolo è caratterizzato dal crescente coinvolgimento dei minori. Come se lo spiega? CP: Con il fatto che il terrorismo evolve in considerazione delle contromisure applicate di controterrorismo. Le organizzazioni terroristiche, voglio dire, si evolvono in modo continuo e dinamico ed il reclutamento del minore fa parte della stessa traiettoria di sviluppo. All'indomani dell'11 settembre (9/11), ad esempio, le misure antiterroristiche hanno notevolmente ridotto la probabilità di successo operativo del terrorismo e per evitare il rilevamento, i gruppi terroristici sono diventati meno gerarchici e più decentralizzati. GC: Il coinvolgimento del minore nel terrorismo, vuole dire, emerge come un cambio di strategia e di tattica... CP: Infatti, e lo stesso discorso riguarda le donne. I minori sono comunemente associati all'innocenza e si presume che siano – intrinsecamente - non violenti. Come ha affermato un combattente talebano durante la loro ascesa nella guerra civile afghana, "I bambini sono innocenti, quindi sono i migliori strumenti contro le forze oscure". Inoltre, la malleabilità del minore all'indottrinamento li rende bersagli particolarmente vulnerabili, per essere costretti od indotti con altri mezzi a partecipare ad operazioni terroristiche quando il reclutamento di adulti non sembra fornire alcun vantaggio comparativo oppure è semplicemente carente. Ancora più importante, lo sfruttamento dei bambini nel terrorismo riflette la necessità di garantire la sopravvivenza di un'organizzazione. L'esposizione prolungata e la partecipazione ad atti violenti porta a una profonda desensibilizzazione e normalizzazione alla violenza terroristica e instilla nei bambini un profondo attaccamento ideologico al credo dello jihadismo salafista, ad esempio, garantendone così la propagazione e la perpetuazione, a livello intergenerazionale. Il focus sistematico delle organizzazioni terroristiche sui minori ha portato il loro sfruttamento a diventare una questione urgente ed una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. GC: Nessun minore, indipendentemente dalla sua età, sesso, nazionalità o status sociale, è indennizzato o protetto contro il rischio di diventare il target di gruppi terroristici e estremisti violenti... Giusto? CP: Sì, tuttavia nell'ambito contemporaneo della sicurezza globale, sia i conflitti armati che la demografia, sono da considerare come una serie di dimensioni preesistenti ed agenti abilitanti del fenomeno. Gli Stati fragili e quelli colpiti da conflitti armati sono altamente inclini al terrorismo. Lotte intestine, violenza prolungata e caos abissale debilitano le istituzioni governative, esacerbano le fragilità preesistenti e creano un vuoto di potere che le organizzazioni estremiste violente sfruttano per stabilire safe havens, attirare pools di reclute nell'orbita della jihad globale ed implementare la propria agenda. GC: Possiamo quindi affermare che i bambini coinvolti in un conflitto armato o i bambini in prossimità geografica di un conflitto armato presentano un grado più elevato di rischio ed esposizione al reclutamento da parte di gruppi terroristi? CP: Assolutamente. Inoltre, oltre al conflitto armato, poiché ora ci troviamo nel mezzo della più grande generazione di giovani nella storia umana, la demografia costituisce un fattore supplementare che influisce sul tasso di reclutamento e utilizzo del minore. Pensi che nel 2005, quasi il 50% della popolazione nei paesi in via di sviluppo aveva meno di quindici anni, rappresentando il 90% della gioventù mondiale. Attualmente, in un paese come la Somalia, ad esempio, i bambini e i giovani continuano a rappresentare il 50,8 % della popolazione totale. Lo stesso dato vale per la Syria dove, prima dello scoppio della guerra civile, l'età media della popolazione era di 24,4 anni, con quasi il 40% sotto i 14 anni. Il verificarsi simultaneo di questi elementi, del conflitto armato e del nesso terroristico e della demografia infantile, lascia che queste categorie costituiscano un enorme bacino di sfruttamento in ranghi terroristici, lavoro per l'economia illegale e anche forme contemporanee di schiavitù, traffico di esseri umani e altre forme di organizzazioni criminali. GC: I bambini sono tra le categorie più vulnerabili a livello sociale. Nella letteratura moderna, il concetto di vulnerabilità infantile è frequentemente associato allo sviluppo del bambino... CP: E' inteso come il risultato dell'interazione di una serie di fattori individuali ed ambientali derivanti da capacità cognitive, emotive e fisiche, status socio- economico o risposte a fattori di stress, compresa l'esposizione alla violenza. Le neuroscienze, le discipline psicosociali ed in effetti tutte le discipline che studiano la funzione cerebrale, ci insegano ulteriormente sulla nostra comprensione collettiva della vulnerabilità del minore e del suo bisogno di sviluppo. Il punto di partenza è riconoscere che i bambini e i giovani hanno abilità rudimentali di cognizione fattuale o processi mentali come l'apprendimento, l'uso e la comprensione del linguaggio, la memoria, il pensiero e la percezione, ma anche cognizione morale e capacità conativa, regolando il controllo degli impulsi. GC: È ormai generalmente accettato che i bambini piccoli pensano a questioni morali, sociali e alle relazioni umane in modi che differiscono qualitativamente dai modi in cui pensano i bambini più grandi o gli adulti… CP: Se consideriamo la piena formazione della capacità psicologica e cognitiva da raggiungere all'età di diciotto anni, si può notare che le organizzazioni terroristiche non stabiliscano né rispettino un'età minima per il reclutamento di minori. Abbiamo visto un bambino di 4 anni, mentre faceva esplodere esplosivi in un'auto uccidendo tre prigionieri. Abbiamo assistito a rapimenti di massa di bambini e bambine di 7 anni, e siamo anche consapevoli dell'alto numero di bambini nati in un contesto di conflitto armato con un'organizzazione terroristica attiva ed operativa sul territorio. GC: Quando si parla di minori, parliamo di grazia, di vulnerabilità, di un'ampia gamma di discipline e fa parte delle principali costruzioni sociali riguardanti l'infanzia. CP: Il concetto dell ´innocenza infantile si trova giá nel Nuovo Testamento, dove parole come "migliore", "fresco" e "bianco ”, denotano qualità di purezza. Un forte avallo si trova negli scritti del diciottesimo e diciannovesimo secolo, non ultimo in Rousseau, che annuncia il suo manifesto personale all'inizio di Émile affermando che il bambino è in "uno stato di natura" e, data l'assenza di circostanze avverse, ciò sarebbe sufficiente per sviluppare quelle che Postman chiama "le virtù infantili della spontaneità, purezza, forza e gioia, tutte cose che sono state viste come caratteristiche da coltivare e celebrare.” Ai minori sono quindi attribuite connotazioni positive, attributi di innocenza, vulnerabilità ma anche bisogno di protezione, cura, nutrimento. Sono percepiti come una forza positive nel mondo, che attraverso un periodo di socializzazione ed educazione diventa cruciale per la sopravvivenza della specie. GC: Quale tipo di relazione esiste tra il concetto dell ´innocenza infantile e lo sfruttamento da parte di gruppi terroristici? CP: Il terrorismo nasce dalla condizione stessa dell'esistenza umana. E poiché dobbiamo considerare i terroristi nella loro qualità di essere umano, nonostante quanto disumanamente li possiamo percepire, dobbiamo anche presumere che condividano le nostre costruzioni sociali e la percezione dei bambini come puri, innocenti, bisognosi di protezione. GC: A partire dalla sua esperienza diretta, quali sono le diverse forme di coercizione o influenza associate ai metodi di reclutamento? CP: Il reclutamento del minore da parte di attori terroristici non avviene quindi a dispetto della loro vulnerabilità o età, ma proprio a causa di essa. Un bambino non ha la capacità fisica o cognitiva per difendersi dal reclutamento in un'organizzazione terroristica o attirato ad unirsi ad un'organizzazione terroristica. In particolar modo, il reclutamento forzato continua a rimanere prevalente con i gruppi terroristici che spesso impiegano minacce, comprese minacce a familiari, parenti, anziani, ma anche rapimenti o altre forme di coercizione. Dal 2014, Boko Haram ha impiegato rapimenti di massa in Nigeria e nella regione del Lake Chad. Il famigerato rapimento di 276 studentesse a Chibok nell'aprile 2014 che ha suscitato l'indignazione internazionale e la campagna sui social media “Bring Back Our Girls”, è stato echeggiata dal rapimento di otto ragazze di età compresa tra 8- 15 anni da un villaggio in Nigeria Borno State, dal rapimento di trentatré donne e sei bambini dal villaggio di Nguelewa, nella regione di Diffa ed ancora dal rapimento di 110 ragazze da una scuola di Dapchi nel marzo 2018. I nostri dati mostrano anche che tra il 2014 e il 2016, in un periodo di due anni, Boko Haram ha rapito 10.000 ragazzi per operazioni militari e di combattimento. GC: In Somalia, invece? CP: Ci sono stati episodi di reclutamento forzato da parte di Al- Shabaab che sono stati segnalati già nel 2009. Il 30% dei combattenti di Al- Shabaab è stato reclutato con la forza con la maggior parte delle stime che scendono nella fascia bassa, intorno al 13%. Tuttavia, l'uso da parte di Al- Shabaab del reclutamento forzato, della detenzione, dell'intimidazione e del rapimento è cambiato negli ultimi anni, diventando molto più comune dalla fine del 2017 e il 2020, periodo in cui la Somalia ha avuto il più alto numero di bambini soldato a livello globale. GC: Mentre l'ISIS occupava territori in Siria e Iraq, i suoi membri hanno rapito migliaia di bambini da orfanotrofi, scuole e persino dalle case delle loro famiglie... CP: Secondo quanto riferito, i bambini di età inferiore ai 14 anni costituivano oltre un terzo dei 6.800 Yazidi che l'ISIL ha rapito a Sinjar (2014). Altri 800- 900 bambini sono stati rapiti da Mosul per indottrinamento religioso e addestramento militare. GC: Pur riconoscendo, chiaramente da quanto è emerso finora, che nessun processo di reclutamento dei bambini può essere considerato veramente volontario, a causa dello sviluppo delle capacità cognitive del bambino e delle diverse forme di coercizione, esercizio di influenza e persuasione associate ai metodi di reclutamento, possiamo affermare che alcuni contesti e driver - altrimenti definiti "push and pull factors"- come mi ha accennato in altre discussioni, spiegano il coinvolgimento volontario dei bambini con un'organizzazione terroristica? CP: In via preliminare, è importante sottolineare che nessuno dei potenziali drivers – utilizzati in relazione all'estremismo violento – o dei percorsi – utilizzati nel contesto della radicalizzazione individuale alla violenza estremista dovrebbe essere considerato isolatamente perché generalmente una moltitudine di fattori è implicata. Inoltre, anche queste potenziali vie di estremismo violento devono essere contestualizzate, rispetto a questioni non solo locali, ma anche nazionali e internazionali. A partire da questa considerazione ci sono due categorie principali di fattori conducenti. Per “push factors” si intendono le condizioni che favoriscono l'estremismo violento e il contesto strutturale da cui emerge. Compresi la mancanza di opportunità socio- economiche, l'emarginazione e la discriminazione, il malgoverno, le violazioni dei diritti umani e dello Stato di diritto, i conflitti prolungati o irrisolti, e la radicalizzazione nelle carceri. GC: Per "pull factors" invece? CP: Sono intesi come le motivazioni e quei processi individuali, che svolgono un ruolo chiave nel trasformare grievances in atti di violenza estrema ed includono motivazioni individuali; rimostranze collettive e vittimizzazione derivanti dall ´oppressione – percepita o attuale - intervento straniero, distorsione e abuso di credenze, ideologie politiche e differenze etniche e culturali; e leadership e reti sociali. In altre parole, push factor si riferisce a quei fattori che sono strutturali della società, mentre i "pull factors" sono aspetti psicologici che possono rendere un individuo più suscettibile ad intraprendere comportamenti correlati o facenti parte dell ´ estremismo violento o maturare il desiderio di aderire a un'organizzazione terroristica. GC: Per quanto riguarda la questione della radicalizzaizone, volevo sapere il suo punto di vista... CP: Ci sono due diversi scenari di cui tenere conto. Il primo riguarda il reclutamento di bambini da parte di gruppi terroristici a livello locale, che può avvenire sia volontariamente che forzatamente, e comprende un processo di indottrinamento allo jihadismo salafista, ed il secondo che riguarda il reclutamento attraverso la comunicazione e la tecnologia online. Rispetto al primo, i gruppi terroristici attuano una strategia sistematica per reclutare e radicalizzare i bambini combinando l'indottrinamento ai precetti ideologici con l'addestramento militare e la desensibilizzazione alla violenza. Si potrebbe quindi parlare di un sistema ibrido in cui l'indottrinamento a un'adesione senza compromessi all'ideologia salafi- jihadista, fondata sulla premessa che i non credenti dovrebbero essere perseguitati, si integra con una prolungata esposizione ed anche partecipazione ad atti di violenza. GC: Con quali conseguenze? CP: I bambini arrivano a considerano la violenza non solo come normale ma anche come qualcosa di desiderabile. Soprattutto se si considera la promessa di acquisizione di status attuata da parte del gruppo per la perpetrazione di tali atti. Ciò avviene in concomitanza con processi di socializzazione all'interno del gruppo che portano i bambini a sviluppare un profondo attaccamento ideologico al credo dello jihadismo salafista, garantendone così la propagazione e la sopravvivenza a lungo termine. GC: Rispetto alla radicalizzazione online, invece? CP: I gruppi terroristici diffondono ampiamente la propria propaganda online attraverso giochi, riviste, editoriali, volantini e utilizzano proattivamente le piattaforme di social media come strumento di reclutamento. Il gruppo ha infatti dimostrato una capacità senza precedenti di attrarre flussi di reclute promuovendo le sue presunte conquiste, dipingendo il califfato come uno stato ideale e utopico alternativo all'Occidente e sfruttando la narrativa che il dovere di ogni musulmano è in effetti di sostenerli. In conclusione, credo sia importante qui fare una distinzione tra il reclutamento a livello locale e globale perché che la maggioranza dei minori, a livello locale, che arrivano a coinvolgersi con gruppi terroristici non lo fanno per un attaccamento o una fascinazione per il salafismo- jihadista a priori, che d ´altro canto rappresenta un elemento critico alla base della radicalizzazione online, ma questo è ciò con cui restano a conseguenza del loro sfruttamento. Cecilia Polizzi è un avvocato di diritto internazionale, esperta di livello dirigenziale e docente con una esperienza professionale ed accademica decennale nella tutela dei diritti umani, giustizia penale e minorile ed altre branche del diritto, incluse questioni connesse alla sicurezza internazionale e all'antiterrorismo. La sua carriera è stata dedicata alla protezione dei minori contro gravi forme di violenza, comprese le uccisioni extragiudiziali, la forza non necessaria, l'arresto e la detenzione arbitrari e lo sfruttamento da parte di gruppi estremisti violenti e terroristici, nonché alla pianificazione e attuazione di strategie che promuovono l'istruzione, lo sviluppo, partecipazione e rappresentanza nei processi politici. Dal 2018, ha fondato e diretto il CRTG Working Group, unica I/ONG a livello mondiale con un focus esclusivo sulla protezione dei minori dallo sfruttamento da parte di organizzazioni estremiste violente. In questo contesto, supervisiona una serie di programmi per fornire ai decisori politici, professionisti ed operatori gli strumenti necessari per comprendere e rispondere alla violenza contro i minori in questo ambito e coordina, tra altre attività, un portfolio che identifica e affronta le questioni sistemiche che guidano il coinvolgimento dei giovani nell'estremismo violento. CP: "Il CRTG Working Group - Working Group on Children Recruited by Terrorist and Violent Extremist Groups - é nato dall´esigenza di rispondere al sistema di abuso e violenza esercitato dalle organizzazioni terroristiche contro i minori. È stato istituito proprio per fare fronte a questo tipo di fenomeno, al fine di prevenirlo e contrastarlo. La gravità della violenza esercitata sui minori da parte di attori terroristici ha delle conseguenze devastanti. Nella maggior parte dei casi, tanto per fare un esempio, porta ad una morte prematura del minore stesso, oppure è causa di gravi danni al minore, compromettendo, così, lo sviluppo della persona, intellettuale e sociale, e lasciando, inoltre, quelli che sopravvivono, con gravi traumi, dovendo sopportare le conseguenze di profonde cicatrici sia fisiche che emotive. Inoltre, il coinvolgimento di minori con organizzazioni di matrice terroristica comporta una stigmatizzazione ed un alto rischio, per il minore, di diventare vittima di una violenza ulteriore, cosiddetta secondaria, da parte delle forze dell'ordine, delle forze armate o dei militari e anche delle comunità in seguito ad un' arresto, oppure a conseguenza del reintegramento sociale. Sebbene esista un profondo impegno, condiviso internazionalmente, verso la protezione del minore contro gravi forme di violenza, la protezione di coloro colpiti dallo sfruttamento terroristico continua a presentare importanti latenze e richiede pertanto un ulteriore sviluppo e il concretamento di sistemi di intervento, urgenti e multilaterali, a livello globale. GC: In alcune nostre precedenti conversazioni mi ha detto che il CRTG Working Group é originariamente emerso dal un Comitato CoNGO delle Nazioni Unite... CP: Esattamente. Tra il 2019 e l´inizio del 2020, il CRTG Working Group ha supportato il lavoro del Comitato attraverso l´identificazione e l´analisi di lacune conoscitive nel settore della criminalità, della prevenzione del terrorismo e della giustizia penale, per quanto concerne appunto la condizione del minore nel terrorismo. Nel 2020, il CRTG Working Group si è reso indipendente diventando di fatto l'unica organizzazione non-profit a livello globale, con un focus esclusivo alla protezione del diritto dei minori vittime dell´uso e dello sfruttamento terroristico. GC: L´obiettivo che il CRTG Working Group si prefigge è la protezione del minore dal traffico terroristico... CP: ...e di ispirare un cambiamento duraturo e positivo nel modo in cui i minori vittime di coercizione, violenza e sfruttamento terroristico vengono trattati. Proprio per questo, il CRTG porta avanti ricerca e analisi per raccogliere maggiori informazioni sullo sviluppo di programmi di prevenzione e risposta alla violenza condotta da attori terroristici contro i minori, sostiene il rispetto della dignità e dei diritti del minore nel terrorismo, instaura sinergie ed offre servizi di consulenza per fornire ai responsabili politici, professionisti, e società civile gli strumenti necessari per comprendere e rispondere a questo problema. GC: Ultimamente, la questione dello sfruttamento di minori da parte di attori terroristici è emersa come una delle principali causali della violenza estrema a cui assistiamo nel mondo... CP: E' una violenza che tutti, indistintamente, subiamo a causa del terrorismo ed è una violenza che il minore in primo luogo subisce a causa del terrorismo. A partire dalla percezione di questo fenomeno nella sua natura transnazionale e globale, ed anche in considerazione della gravitá della minaccia imposta alla sicurezza del minore e della comunitá internazionale, il CRTG Working Group intende che integrare il coordinamento tra diversi settori sia fondamentale. In ogni aspetto del nostro lavoro, quindi cerchiamo di includere I/ONG, istituzioni, accademici, operatori umanitari, comunità locali ed esperti internazionali che condividono il nostro profondo impegno per la protezione della sicurezza e dell´attribuzione del diritto al minore nel terrorismo. GC: Le questioni sono evidentemente connesse al problema del terrorismo che continua a costituire, nel panorama contemporaneo, una delle minacce più gravi per la comunità internazionale... CP: E' chiaro che tra le tendenze critiche che hanno interessato, e continuano a rimodellare, l'estremismo violento negli ultimi anni, il reclutamento e lo sfruttamento dei minori stia emergendo come un fattore determinante. Non sarebbe forse esagerato affermare che questo fenomeno rappresenta una componente in rapida evoluzione della tattica e della strategia terroristica e che imponga un pericolo evidente, presente e concreto per il minore, per le comunità e le società e per la sicurezza internazionale stessa. GC: Lo sviluppo del terrorismo nel corso del XX e del XXI secolo è caratterizzato dal crescente coinvolgimento dei minori. Come si spiega questo fenomeno? CP: Con il fatto che il terrorismo evolve in considerazione delle contromisure applicate di contro-terrorismo. Le organizzazioni terroristiche, voglio dire, si evolvono in modo continuo e dinamico ed il reclutamento del minore fa parte della stessa traiettoria di sviluppo. All'indomani dell'11 settembre (9/11), ad esempio, le misure antiterroristiche hanno notevolmente ridotto la probabilità di successo operativo del terrorismo e per evitare il rilevamento, i gruppi terroristici sono diventati meno gerarchici e più decentralizzati. GC: Il coinvolgimento del minore nel terrorismo, vuole dire, emerge come un cambio di strategia e di tattica... CP: Infatti, ed è lo stesso discorso che riguarda le donne. I minori sono comunemente associati all'innocenza e si presume che siano – intrinsecamente - non violenti. Come ha affermato un combattente talebano durante la loro ascesa nella guerra civile afghana, "I bambini sono innocenti, quindi sono i migliori strumenti contro le forze oscure". Inoltre, la malleabilità del minore all'indottrinamento li rende bersagli particolarmente vulnerabili, per essere costretti od indotti con altri mezzi a partecipare ad operazioni terroristiche quando il reclutamento di adulti non sembra fornire alcun vantaggio comparativo oppure è semplicemente carente. Ancora più importante, lo sfruttamento dei bambini nel terrorismo riflette la necessità di garantire la sopravvivenza di un'organizzazione. L'esposizione prolungata e la partecipazione ad atti violenti porta a una profonda desensibilizzazione e normalizzazione alla violenza terroristica e instilla nei bambini un profondo attaccamento ideologico al credo dello jihadismo salafista, ad esempio, garantendone così la propagazione e la perpetuazione, a livello intergenerazionale. Il focus sistematico delle organizzazioni terroristiche sui minori ha portato il loro sfruttamento a diventare una questione urgente ed una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. GC: Nessun minore, indipendentemente dalla sua età, sesso, nazionalità o status sociale, è indennizzato o protetto contro il rischio di diventare il target di gruppi terroristici e estremisti violenti... Giusto? CP: Sì, tuttavia nell'ambito contemporaneo della sicurezza globale, sia i conflitti armati che la demografia, sono da considerare come una serie di dimensioni preesistenti ed agenti abilitanti del fenomeno. Gli Stati fragili e quelli colpiti da conflitti armati sono altamente inclini al terrorismo. Lotte intestine, violenza prolungata e caos abissale debilitano le istituzioni governative, esacerbano le fragilità preesistenti e creano un vuoto di potere che le organizzazioni estremiste violente sfruttano per stabilire safe havens, attirare pools di reclute nell'orbita della jihad globale ed implementare la propria agenda. GC: E' chiaro che i bambini coinvolti in un conflitto armato o i bambini in prossimità geografica di un conflitto armato presentano un grado più elevato di rischio ed esposizione al reclutamento da parte di gruppi terroristi... CP: Assolutamente. Inoltre, oltre al conflitto armato, poiché ora ci troviamo nel mezzo della più grande generazione di giovani nella storia umana, la demografia costituisce un fattore supplementare che influisce sul tasso di reclutamento e utilizzo del minore. Pensi che nel 2005, quasi il 50% della popolazione nei paesi in via di sviluppo aveva meno di quindici anni, rappresentando il 90% della gioventù mondiale. Attualmente, in un paese come la Somalia, ad esempio, i bambini e i giovani continuano a rappresentare il 50,8 % della popolazione totale. Lo stesso dato vale per la Syria dove, prima dello scoppio della guerra civile, l'età media della popolazione era di 24,4 anni, con quasi il 40% sotto i 14 anni. Il verificarsi simultaneo di questi elementi, del conflitto armato e del nesso terroristico e della demografia infantile, lascia che queste categorie costituiscano un enorme bacino di sfruttamento in ranghi terroristici, lavoro per l'economia illegale e anche forme contemporanee di schiavitù, traffico di esseri umani e altre forme di organizzazioni criminali. GC: I bambini sono tra le categorie più vulnerabili a livello sociale. Nella letteratura moderna, il concetto di vulnerabilità infantile è frequentemente associato allo sviluppo del bambino... CP: E' inteso come il risultato dell'interazione di una serie di fattori individuali ed ambientali derivanti da capacità cognitive, emotive e fisiche, status socio- economico o risposte a fattori di stress, compresa l'esposizione alla violenza. Le neuroscienze, le discipline psicosociali ed in effetti tutte le discipline che studiano la funzione cerebrale, ci insegnano ulteriormente sulla nostra comprensione collettiva della vulnerabilità del minore e del suo bisogno di sviluppo. Il punto di partenza è riconoscere che i bambini e i giovani hanno abilità rudimentali di cognizione fattuale o processi mentali come l'apprendimento, l'uso e la comprensione del linguaggio, la memoria, il pensiero e la percezione, ma anche cognizione morale e capacità conativa, regolando il controllo degli impulsi. GC: È ormai generalmente accettato che i bambini piccoli pensano a questioni morali, sociali e alle relazioni umane in modi che differiscono qualitativamente dai modi in cui pensano i bambini più grandi o gli adulti… CP: Se consideriamo la piena formazione della capacità psicologica e cognitiva da raggiungere all'età di diciotto anni, si può notare che le organizzazioni terroristiche non stabiliscano né rispettino un'età minima per il reclutamento di minori. Abbiamo visto un bambino di 4 anni, mentre faceva esplodere esplosivi in ​​un'auto uccidendo tre prigionieri. Abbiamo assistito a rapimenti di massa di bambini e bambine di 7 anni, e siamo anche consapevoli dell'alto numero di bambini nati in un contesto di conflitto armato con un'organizzazione terroristica attiva ed operativa sul territorio. GC: Quando si parla di minori, parliamo di grazia, di vulnerabilità, di un'ampia gamma di discipline e fa parte delle principali costruzioni sociali che riguardano l'infanzia. CP: Il concetto dell´innocenza infantile si trova giá nel Nuovo Testamento, dove parole come "migliore", "fresco" e "bianco ”, denotano qualità di purezza. Un forte avallo si trova negli scritti del diciottesimo e diciannovesimo secolo, non ultimo in Rousseau, che annuncia il suo manifesto personale all'inizio di Émile affermando che il bambino è in "uno stato di natura" e, data l'assenza di circostanze avverse, ciò sarebbe sufficiente per sviluppare quelle che Postman chiama "le virtù infantili della spontaneità, purezza, forza e gioia, tutte cose che sono state viste come caratteristiche da coltivare e celebrare.” Ai minori sono quindi attribuite connotazioni positive, attributi di innocenza, vulnerabilità ma anche bisogno di protezione, cura, nutrimento. Sono percepiti come una forza positive nel mondo, che attraverso un periodo di socializzazione ed educazione diventa cruciale per la sopravvivenza della specie. GC: Quale tipo di relazione esiste tra il concetto dell´innocenza infantile e lo sfruttamento da parte di gruppi terroristici? CP: Il terrorismo nasce dalla condizione stessa dell'esistenza umana. E poiché dobbiamo considerare i terroristi nella loro qualità di essere umano, nonostante quanto disumanamente li possiamo percepire, dobbiamo anche presumere che condividano le nostre costruzioni sociali e la percezione dei bambini come puri, innocenti, bisognosi di protezione. GC: A partire dalla sua esperienza diretta, quali sono le diverse forme di coercizione o influenza associate ai metodi di reclutamento? CP: Il reclutamento del minore da parte di attori terroristici non avviene quindi a dispetto della loro vulnerabilità o età, ma proprio a causa di essa. Un bambino non ha la capacità fisica o cognitiva per difendersi dal reclutamento in un'organizzazione terroristica o attirato ad unirsi ad un'organizzazione terroristica. In particolar modo, il reclutamento forzato continua a rimanere prevalente con i gruppi terroristici che spesso impiegano minacce, comprese minacce a familiari, parenti, anziani, ma anche rapimenti o altre forme di coercizione. Dal 2014, Boko Haram ha impiegato rapimenti di massa in Nigeria e nella regione del Lake Chad. Il famigerato rapimento di 276 studentesse a Chibok nell'aprile 2014 che ha suscitato l'indignazione internazionale e la campagna sui social media “Bring Back Our Girls”, è stato echeggiata dal rapimento di otto ragazze di età compresa tra 8-15 anni da un villaggio in Nigeria Borno State, dal rapimento di trentatré donne e sei bambini dal villaggio di Nguelewa, nella regione di Diffa ed ancora dal rapimento di 110 ragazze da una scuola di Dapchi nel marzo 2018. I nostri dati mostrano anche che tra il 2014 e il 2016, in un periodo di due anni, Boko Haram ha rapito 10.000 ragazzi per operazioni militari e di combattimento. GC: In Somalia, invece? CP: Ci sono stati episodi di reclutamento forzato da parte di Al-Shabaab che sono stati segnalati già nel 2009. Il 30% dei combattenti di Al-Shabaab è stato reclutato con la forza con la maggior parte delle stime che scendono nella fascia bassa, intorno al 13%. Tuttavia, l'uso da parte di Al-Shabaab del reclutamento forzato, della detenzione, dell'intimidazione e del rapimento è cambiato negli ultimi anni, diventando molto più comune dalla fine del 2017 e il 2020, periodo in cui la Somalia ha avuto il più alto numero di bambini soldato a livello globale. GC: Mentre l'ISIS occupava territori in Siria e Iraq, i suoi membri hanno rapito migliaia di bambini da orfanotrofi, scuole e persino dalle case delle loro famiglie... CP: Secondo quanto riferito, i bambini di età inferiore ai 14 anni costituivano oltre un terzo dei 6.800 Yazidi che l'ISIL ha rapito a Sinjar (2014). Altri 800- 900 bambini sono stati rapiti da Mosul per indottrinamento religioso e addestramento militare. GC: Pur riconoscendo, chiaramente da quanto è emerso finora, che nessun processo di reclutamento dei bambini può essere considerato veramente volontario, a causa dello sviluppo delle capacità cognitive del bambino e delle diverse forme di coercizione, esercizio di influenza e persuasione associate ai metodi di reclutamento, possiamo affermare che alcuni contesti e driver -altrimenti definiti "push and pull factors"- come mi ha accennato in altre discussioni, spiegano il coinvolgimento volontario dei bambini con un'organizzazione terroristica? CP: In via preliminare, è importante sottolineare che nessuno dei potenziali drivers – utilizzati in relazione all'estremismo violento – o dei percorsi – utilizzati nel contesto della radicalizzazione individuale alla violenza estremista dovrebbe essere considerato isolatamente perché generalmente una moltitudine di fattori è implicata. Inoltre, anche queste potenziali vie di estremismo violento devono essere contestualizzate, rispetto a questioni non solo locali, ma anche nazionali e internazionali. A partire da questa considerazione ci sono due categorie principali di fattori conducenti. Per “push factors” si intendono le condizioni che favoriscono l'estremismo violento e il contesto strutturale da cui emerge. Compresi la mancanza di opportunità socio-economiche, l'emarginazione e la discriminazione, il malgoverno, le violazioni dei diritti umani e dello Stato di diritto, i conflitti prolungati o irrisolti, e la radicalizzazione nelle carceri. GC: Per "pull factors" invece? CP: Sono intesi come le motivazioni e quei processi individuali, che svolgono un ruolo chiave nel trasformare grievances in atti di violenza estrema ed includono motivazioni individuali; rimostranze collettive e vittimizzazione derivanti dall´oppressione – percepita o attuale - intervento straniero, distorsione e abuso di credenze, ideologie politiche e differenze etniche e culturali; e leadership e reti sociali. In altre parole, push factor si riferisce a quei fattori che sono strutturali della società, mentre i pull factors sono aspetti psicologici che possono rendere un individuo più suscettibile ad intraprendere comportamenti correlati o facenti parte dell´ estremismo violento o maturare il desiderio di aderire a un'organizzazione terroristica. GC: Per quanto riguarda la questione della radicalizzazione, volevo sapere il suo punto di vista... CP: Ci sono due diversi scenari di cui tenere conto. Il primo riguarda il reclutamento di bambini da parte di gruppi terroristici a livello locale, che può avvenire sia volontariamente che forzatamente, e comprende un processo di indottrinamento allo jihadismo salafista, ed il secondo che riguarda il reclutamento attraverso la comunicazione e la tecnologia online. Rispetto al primo, i gruppi terroristici attuano una strategia sistematica per reclutare e radicalizzare i bambini combinando l'indottrinamento ai precetti ideologici con l'addestramento militare e la desensibilizzazione alla violenza. Si potrebbe quindi parlare di un sistema ibrido in cui l'indottrinamento a un'adesione senza compromessi all'ideologia salafi-jihadista, fondata sulla premessa che i non credenti dovrebbero essere perseguitati, si integra con una prolungata esposizione ed anche partecipazione ad atti di violenza. GC: Con quali conseguenze? CP: I bambini arrivano a considerano la violenza non solo come normale ma anche come qualcosa di desiderabile. Soprattutto se si considera la promessa di acquisizione di status attuata da parte del gruppo per la perpetrazione di tali atti. Ciò avviene in concomitanza con processi di socializzazione all'interno del gruppo che portano i bambini a sviluppare un profondo attaccamento ideologico al credo dello jihadismo salafista, garantendone così la propagazione e la sopravvivenza a lungo termine. GC: Rispetto alla radicalizzazione online, invece? CP: I gruppi terroristici diffondono ampiamente la propria propaganda online attraverso giochi, riviste, editoriali, volantini e utilizzano proattivamente le piattaforme di social media come strumento di reclutamento. Il gruppo ha infatti dimostrato una capacità senza precedenti di attrarre flussi di reclute promuovendo le sue presunte conquiste, dipingendo il califfato come uno stato ideale e utopico alternativo all'Occidente e sfruttando la narrativa che il dovere di ogni musulmano è in effetti di sostenerli. In conclusione, credo sia importante qui fare una distinzione tra il reclutamento a livello locale e globale perché che la maggioranza dei minori, a livello locale, che arrivano a coinvolgersi con gruppi terroristici non lo fanno per un attaccamento o una fascinazione per il salafismo-jihadista a priori, che d´altro canto rappresenta un elemento critico alla base della radicalizzazione online, ma questo è ciò con cui restano a conseguenza del loro sfruttamento. Condividi: © 1999-2021 GEDI Gruppo Editoriale S.p.A. - Partita IVA 0090681006 - Pubblicità - Servizio clienti - Chi siamo Tutti i blog Seguici su 0 1 3 26 lug CHI SONO 8 CERCA NEL BLOG Cerca s ARTICOLI RECENTI Roma. Terrorismo e minori. Una intervista alla dottoressa Cecilia Polizzi, CRTG Working Group - Working Group on Children Recruited by Terrorist and Violent Extremist Groups Roma. L’Infragard-FBI e il Terrorismo-Cyber di Prossima Generazione. Roma. Terrorismo, radicalizzazione, psy-ops, sicurezza, intelligence. 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