Sentenza rigetto TAR Lazio su ricorso scioglimento Comune di Sedriano
1. N. 00165/2015 REG.PROV.COLL.
N. 12922/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 12922 del 2013, integrato da motivi
aggiunti, proposto da:
Silvia Stella Fagnani, Massimiliana Marazzini, Adelio Achille Pivetta, Gennaro
Rusciano, Silvia Rita Camilla Scolastico, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti
Giovanni Bormioli, Mariano Protto e Giovanni Corbyons, con domicilio eletto
presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via Cicerone, 44;
contro
- Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Interno, U.T.G. -
Prefettura di Milano, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale
dello Stato, presso cui domicilia in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
- Comune di Sedriano;
- Presidente della Repubblica;
per l'annullamento, previa sospensione,
- del decreto del Presidente della Repubblica 21 ottobre 2013, pubblicato in
G.U. n. 256, serie generale del 31 ottobre 2013, avente ad oggetto scioglimento
ex art. 143 del d.lgs. 267/2000 del Consiglio Comunale di Sedriano e nomina
di una commissione straordinaria di gestione,
2. nonchè di ogni atto preparatorio e presupposto, conseguente e connesso e,
segnatamente:
- della proposta (non comunicata ai ricorrenti) del Ministro dell'Interno e
dell'allegata relazione 11 ottobre 2013;
- della deliberazione (non comunicata ai ricorrenti) del Consiglio dei Ministri
15 ottobre 2013;
- della relazione prefettizia (parzialmente comunicata ai ricorrenti) 24 luglio
2013;
- di ogni altro atto richiamato dagli atti suindicati.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei
Ministri, del Ministero dell'Interno e dell’U.T.G. - Prefettura di Milano, con la
relativa documentazione;
Vista l’ordinanza collegiale istruttoria di questa Sezione n. 580 del 16.1.2014;
Vista l’ordinanza istruttoria del Consigliere delegato n. 6369/2014 del 1.4.2014;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 5 novembre 2014 il dott. Ivo Correale e uditi
per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso a questo Tribunale, notificato il 18 dicembre 2013 e depositato il
successivo 20 dicembre, i ricorrenti in epigrafe chiedevano l’annullamento,
previa sospensione, del decreto del Presidente della Repubblica con cui era
stato disposto lo scioglimento del Consiglio comunale di Sedriano, di cui erano
tutti consiglieri.
3. I ricorrenti, in sintesi, lamentavano quanto segue.
“1) Violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990”.
I ricorrenti non erano stati avvisati dell’avvio del procedimento né l’omissione
risultava giustificata da ragioni di urgenza in relazione alla durata della
procedura.
“2) Violazione dell’art. 143.4 D.lgs. n. 267/2000”.
Il procedimento in esame prevede come presupposto essenziale la proposta del
Ministro dell’Interno al Presidente della Repubblica, proposta che, a sua volta,
deve trovare il suo presupposto nella delibera del Consiglio dei Ministri. Nel
caso di specie la proposta ministeriale era invece anteriore alla delibera del
Consiglio dei Ministri.
“3) Violazione dell’art. 143 D.lgs. n. 267/2000 e dell’art. 3.3. l. n. 241/1990.
Difetto del presupposto legittimante. Difetto di istruttoria di motivazione.
Eccesso di potere per travisamento dei fatti
3.1) Presupposti per l’esercizio del potere di scioglimento”.
I ricorrenti evidenziavano la significativa evoluzione, in senso garantistico, del
contenuto dell’art. 143 TUEL, a partire dal testo originario, passando per l’art.
15 bis l n. 55/1990 introdotto dal d.l. n. 164/1991 e fino all’art. 2.30 l. n.
94/2009.
I presupposti per pervenire allo scioglimento dovevano ora fondarsi su
“elementi concreti, univoci e rilevanti” sì da dare luogo ad anomalie che devono
essere indicate in modo analitico nella proposta ministeriale di scioglimento. Le
associazioni a delinquere cui si riferisce il collegamento/condizionamento deve
essere solo di tipo “mafioso o similare” ai sensi dell’art. 416 bis, comma 3, c.p..
Il riscontrato condizionamento deve esplicarsi nell’alterazione del procedimento
di formazione della volontà degli organi elettivi, distinguendo questi ultimi
dagli organi della struttura amministrativa comunale, verso i quali può
4. contenersi l’intervento repressivo.
Tra i collegamenti/condizionamenti e gli effetti perturbatori sull’ordine legale e
sulla sicurezza pubblica deve poi dimostrarsi un nesso di causalità di stringente
consequenzialità, che non può limitarsi a singoli episodi di illegittimità degli
atti amministrativi ma deve attestare una compromissione irreversibile della
vita istituzionale dell’ente, una costante violazione delle regole e dei principi
dell’ordinamento nonché una situazione di precaria funzionalità dell’ente
stesso, senza che possa avere rilievo in sé il mero rapporto di parentela e il
sostegno politico-elettorale di organizzazioni mafiose delle quali sia dimostrata
l’esistenza.
“3.2) Le dedotte illegittimità” .
In relazione alla specifica situazione del Comune di Sedriano, i ricorrenti
rilevavano che la relazione prefettizia allegata a quella ministeriale era
incompleta e secretata nonché priva di allegati, con conseguente violazione
dell’art. 3 l. n. 241/90 e dell’art. 143.9 perché non risultava che il Consiglio dei
Ministri aveva disposto di mantenere la riservatezza in questione.
I ricorrenti, inoltre, contestavano integralmente le circostanze esposte nelle
relazioni in questione, che risultavano prive di riferimenti contestuali (tempo,
luogo, soggetto, oggetto, modalità di svolgimento, specifici effetti). I fatti erano
esposti in maniera generica, non circostanziata e apodittica, per cui non si
potevano evincere gli elementi concreti, univoci e rilevanti necessari secondo
quanto sopra precisato, e lo scioglimento risultava fondato su valutazioni
giuridiche dei fatti e non sui fatti stessi.
Indimostrato era anche il grave pregiudizio per l’ordine e la sicurezza pubblica,
per cui ne derivava difetto di istruttoria e travisamento dei fatti.
“4) Violazione sotto altro profilo dell’art. 143 D.lgs. n. 267/2000. Difetto del
presupposto legittimante e in particolare della rilevanza delle circostanze
5. addotte. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione,
travisamento dei fatti”.
A fondamento dello scioglimento risultava posto un procedimento penale
avviato presso il Tribunale di Milano che aveva coinvolto il Sindaco, le cui
indagini avrebbero messo in evidenza collegamenti, anche parentali,
frequentazioni, intese, accordi elettorali, condizionamenti diretti e indiretti
riferibili ad esponenti di un’organizzazione criminale ma a fronte di ciò
risultavano indicate solo illegittimità amministrative, ingerenze degli organi
politici sull’operato degli uffici, violazione delle procedure di evidenza
pubblica e di selezione del personale dirigente e delle norme sulla riscossione
dei crediti, senza alcuna individuazione però del rapporto di stringente
consequenzialità e congruità causale e finalistica tra le ritenute “infiltrazioni” e
l’azione amministrativa, tale da compromettere la vita istituzionale dell’ente.
Non risultavano provati l’ingerenza degli organi politici su quelli burocratici,
trattamenti di favore verso (non precisate) imprese negli appalti, avendo
l’amministrazione rispettato le norme sulla procedura negoziata ex artt. 112-125
D.lgs. n. 163/06. Il conferimento di incarichi dirigenziali era stato effettuato
dalla precedente amministrazione e i contratti a termini di natura fiduciaria, ex
art. 110 TUEL, non richiedevano procedure selettive. Gli affidamenti di lavori
erano stati effettuati a favore di imprese dotate di certificazione “antimafia” e il
mancato pagamento di tributi comunali da parte di un’impresa era imputabile
alla precedente amministrazione, fermo restando che quella disciolta si era
invece attivata, dopo molti anni, per il recupero concedendo le opportune
dilazioni.
“5. Violazione dell’art. 143.5 D.lgs. n. 267/2000”.
Le eventuali illegittimità amministrative erano di esclusiva responsabilità degli
Uffici amministrativi del Comune e il Ministero dell’Interno doveva prendere in
6. considerazione i provvedimenti di cui all’art. 143.5 TUEL e non lo
scioglimento degli organi elettivi.
Si costituiva in giudizio l’Amministrazione in epigrafe, chiedendo la reiezione
del ricorso.
All’esito della camera di consiglio del 15 gennaio 2014, questa Sezione, con la
prima ordinanza in epigrafe, riteneva che le questioni prospettate dalla parte
ricorrente fossero da esaminare nella più approfondita sede di trattazione del
merito e conseguentemente fissava l'udienza pubblica di discussione, ordinando
all’Amministrazione di depositare in giudizio copia degli atti impugnati non
noti ai ricorrenti.
Con istanza istruttoria del 17 marzo 2014, i ricorrenti reiteravano la richiesta
istruttoria, anche alla luce di nota dell’Amministrazione del 20 febbraio 2014
con cui si sollevavano questioni relative alle modalità di adeguamento
dell’ordine di cui alla richiamata ordinanza collegiale.
Su delega presidenziale, quindi, il Consigliere delegato provvedeva con la
seconda ordinanza in epigrafe, reiterando l’ordine istruttorio e disponendo per
le cautele di cui all’art. 42, comma 8, l. n. 124/2007, fermo restando l’art. 262
c.p.
L’Amministrazione provvedeva in tal senso e parte ricorrente proponeva rituali
“motivi aggiunti” avverso i medesimi provvedimenti già impugnati con il
ricorso introduttivo.
Sostenendo che era stato comunque possibile soltanto un esame incompleto e
sommario dell’ingente mole di atti, depositata senza un indice e per i quali non
era stato possibile estrarre copia, i ricorrenti, lamentando genericamente la
sostanziale violazione del diritto di difesa, deducevano ulteriormente, in sintesi,
quanto segue.
“6. Violazione dell’art. 143 D.lgs. n. 267/2000 sotto diversi profili, anche con
7. riferimento all’art. 20 l. n. 121/1981. Travisamento dei fatti e
contraddittorietà”.
Non risultava l’acquisizione del parere del Comitato provinciale per l’ordine e
la sicurezza pubblica nonostante nella relazione ministeriale si affermava che
tale organo era stato “sentito”. A quanto risultava, il Prefetto aveva fondato la
sua proposta non sul parere dell’organo collegiale ma su pareri individuali e
risultava un verbale non del Comitato in questione ma di una informale e
atipica “riunione tecnica” di coordinamento delle forze di polizia, cui non
avevano partecipato alcuni membri previsti dall’art. 20 l. n. 121/81, tra cui il
Sindaco del capoluogo di provincia, il Presidente della Provincia, il
Comandante provinciale della guardia forestale; risultava poi presente il
Procuratore Generale presso la Corte d’Appello la cui presenza non risultava
prevista dalla norma.
Il parere del Comitato, inoltre, doveva seguire l’acquisizione della relazione
della Commissione d’indagine nominata dal Prefetto mentre, nel caso di specie,
tale ultimo Organo aveva acquisito il parere (come detto, non collegiale) in data
17 luglio 2013, prima del termine dei lavori della Commissione in questione e
non corrispondeva alla realtà quanto affermato dal Prefetto il 24 luglio 2013,
secondo cui la Commissione avrebbe depositato la sua relazione il 16 luglio
2013.
Sul punto – pur ritenendola non necessaria – i ricorrenti chiedevano
autorizzazione alla proposizione di querela di falso avverso la relazione
prefettizia del 24 luglio 2013 per la parte in questione, adducendo a prova il
verbale della riunione tecnica del 17 luglio 2013.
“6) Violazione dell’art. 3 l. n. 241/1990”.
La proposta prefettizia di scioglimento, a seguito dell’ordinanza istruttoria del
16 gennaio 2014, era stata depositata con continui e ripetuti “omissis” che non
8. consentivano di valutare l’”iter” logico seguito dal Prefetto per formulare la sua
proposta.
“7) Riproposizione, con integrazioni e precisazioni, dei motivi di ricorso n. 3 e
n.4. Violazione dell’art. 143 D.lgs. n. 267/2000. Difetto del presupposto
legittimante e in particolare della rilevanza delle circostanze addotte. Eccesso
di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti”.
L’esame della relazione aveva confermato le doglianze di cui al terzo e quarto
motivo di ricorso.
In particolare, la Commissione di indagine non aveva accertato la presenza
nella zona di Sedriano di una struttura “locale” dell’organizzazione mafiosa e
non si erano individuati episodi di intimidazione, escludendo così la definizione
di cui all’art. 416 bis, comma 3, c.p.
Era stata configurata dalla Commissione una mera situazione di “potenziale
rischio di infiltrazione mafiosa” e non di infiltrazione in atto, ai sensi dell’art.
143 TUEL, con esclusione quindi dei necessari elementi concreti, univoci e
rilevanti previsti ai fini dello scioglimento dell’ente.
Risultavano, poi, solo precedenti penali risalenti ed estranei alla criminalità
mafiosa a carico di dipendenti del Comune e di soggetti che avevano avuto
rapporti con il Comune; non sussistevano illegittimità nella gestione degli
appalti, rilevate tali solo per forzature di interpretazioni giuridiche; non poteva
rilevare il ritenuto trattamento di favore per alcuni soggetti in relazione al
pagamento di debiti pregressi dato che la prassi agevolatrice era in realtà
applicata ad un ben più ampio numero di privati e la rateizzazione del debito era
stata disposta dall’Ufficio Ragioneria nell’ambito della prassi stessa; il d.p.r. n.
602/1973 consente la rateazione fino a 72 rate (elevabili a 120 per congiuntura
sfavorevole) mente nel caso di specie si era ritenuta “di favore” quella per 60
rate; non vi poteva essere stato effetto ostativo all’assegnazione preferenziale di
9. appalti per esecuzione di misura cautelare nei confronti del Sindaco in quanto
risultava trascorso quasi un anno tra la richiesta al GIP e l’ordinanza di
custodia, atti ritenuti illegittimi erano da ascrivere alla precedente
amministrazione comunale; la gestione – ritenuta illegittima dalla Commissione
– di alcuni appalti era in realtà episodica e simile a quanto accade nell’intero
territorio nazionale, fermo restando che le prestazioni risultavano eseguite e
risultava rispettata la normativa “antimafia”.
Non vi era dunque “dissesto amministrativo” e precaria funzionalità dell’ente
comunale a presupposto dello scioglimento, tenendo anche conto che gli appalti
contestati, tranne in caso di urgenza, erano stati affidati “al massimo ribasso”,
che i bilanci dell’ente stesso erano conformi al TUEL, con costanti avanzi, e
non risultavano irregolarità di gestione o debiti fuori bilancio.
In prossimità della pubblica udienza, le parti costituite depositavano memorie a
sostegno delle rispettive tesi difensive. In particolare la difesa erariale, pur
confutando nel merito le tesi dei ricorrenti, chiedeva preliminarmente il rinvio
dell’udienza per non essere stato osservato il termine di sessanta giorni di cui
all’art. 71, comma 5, cpa tra la notificazione dei motivi aggiunti e l’udienza di
merito..
In data 5 novembre 2014 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio, preliminarmente, ritiene di precisare di non avere accolto la
domanda di rinvio dell’udienza di merito formulata nella sua memoria dalla
difesa erariale, in quanto il presente procedimento soggiace al “dimezzamento”
dei termini di cui all’art. 119, comma 1, lett. e), e comma 2, c.p.a., per cui i
motivi aggiunti di parte ricorrente devono considerarsi tempestivi.
Passando all’esame del merito dell’impugnativa, il Collegio rileva che il
gravame non può trovare accoglimento.
10. Per quel che riguarda le censure del ricorso introduttivo, il Collegio – in
relazione al primo motivo - richiama la recente giurisprudenza (anche di questo
Tribunale), da cui non si rinvengono ragioni per discostarsi, secondo la quale il
provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale per “condizionamento”
e “infiltrazione” della criminalità organizzata, di cui all’art. 143 TUEL, non
deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del
procedimento, in considerazione delle esigenze di celerità del procedimento
stesso e della difficile ipotizzabilità di un apporto sostanziale valido della
collaborazione procedimentale così preclusa, considerata anche la formale
riservatezza degli elementi documentali e prettamente indiziari su cui si basa
necessariamente il peculiare procedimento in questione (TAR Lazio, Sez. I,
6.5.13, n. 4440; v. anche: Cons. Stato, Sez. VI, 28.10.09, n. 6657).
Né può valere in senso contrario l’osservazione dei ricorrenti in ordine ai non
brevi tempi di definizione del procedimento, attesa la complessità dell’attività
istruttoria in questi casi e le già richiamate esigenze di riservatezza, a tutela
entrambe dell’interesse generale dell’intera collettività (Cons. Stato, Sez. III,
14.2.14, n. 727).
Per quel che riguarda il secondo motivo di ricorso, il Collegio nuovamente
richiama la giurisprudenza sul punto, che ritiene di condividere, secondo la
quale, ai sensi dell'art. 143 cit., è la proposta del Ministro dell'Interno di
scioglimento di un Consiglio comunale che costituisce il ruolo centrale del
nucleo espressivo della determinazione tecnica sottostante allo scioglimento
stesso e tale proposta, pertanto, non è vincolata alle eventuali, difformi
valutazioni risultanti dalla relazione prefettizia, atteso che è nella facoltà del
Ministro orientare autonomamente il proprio convincimento in ordine alle
conseguenze da trarre dagli elementi trasmessi con la detta relazione e
coerentemente con essi (Cons. Stato, Sez. III, 12.1.13, n. 126 e TAR Lazio, Sez.
11. I, 1.2.12, n. 1119).
Come già sostenuto da questa Sezione, infatti, con le affermazioni – condivise
dal Collegio – che si riportano: “Recita il comma 4 dell'art. 143 del d. lgs.
267/2000 che ‘Lo scioglimento di cui al comma 1 è disposto con decreto del
Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, previa
deliberazione del Consiglio dei ministri.’.La norma permette una sola
interpretazione, ovvero che il decreto presidenziale deve essere adottato – come
avvenuto nella fattispecie – su proposta del Ministro dell'interno, condivisa ed
approvata dal Consiglio dei ministri. Non occorre spendere molte parole per
motivare che la conclusione di cui sopra è obbligata, considerando la
specificità del ruolo e delle funzioni che ognuna delle menzionate Autorità è
chiamata a svolgere nel vigente ordinamento e nel procedimento in esame. Può
solo aggiungersi che l'interpretazione propugnata dai ricorrenti (ovvero che la
deliberazione del Consiglio dei ministri debba precedere la proposta del
Ministero dell'interno) cozza anche con il comma 3 dell'art. 143 in parola, che,
come è connaturale in relazione alle funzioni pubbliche di cui si discute,
individua il Ministro dell'interno - e non il Consiglio dei ministri - quale
autorità destinataria della relazione prefettizia ‘nella quale si dà conto della
eventuale sussistenza degli elementi di cui al comma 1’ per disporre lo
scioglimento.”
Non si ravvede pertanto il vizio di illegittimità lamentato dai ricorrenti.
Per quel che riguarda il terzo e quarto motivo di ricorso, il Collegio rileva che
gli stessi si raccordano necessariamente con la più vasta esposizione,
susseguente alla visione dei documenti depositati in giudizio da parte dei
ricorrenti, di cui ai motivi aggiunti, per cui, sul punto, si dà luogo ad una
trattazione sostanzialmente congiunta.
Il Collegio – in ipotesi - condivide senz’altro le notazioni di ordine generale dei
12. ricorrenti, secondo le quali il presupposto dello scioglimento del Consiglio
comunale ex art. 143 TUEL non è più (alla luce della normativa vigente)
rappresentato da un mero quadro indiziario fondato su "semplici elementi", in
base ai quali sia solo plausibile il potenziale collegamento o l'influenza dei
sodalizi criminali verso gli amministratori comunali, con condizionamento delle
loro scelte e ricaduta sul buon andamento ed imparzialità dell'azione
amministrativa, sul regolare funzionamento dei servizi e sulle stesse condizioni
di sicurezza pubblica, dovendo detti elementi caratterizzarsi per: a)concretezza,
essere cioè assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà
storica; b) univocità, che sta a significare la loro direzione agli scopi che la
misura di rigore è intesa a prevenire; c) rilevanza, che si caratterizza per
l'idoneità all'effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni
dell'ente locale (Cons. Stato, Sez. III, n. 126/13 cit.).
Il Collegio però – in tesi – rileva che tali profili di “concretezza”, “univocità” e
“rilevanza”, nell’ambito del quadro di alta discrezionalità in materia
riconoscibile all’Amministrazione preposta, sono tutti sussistenti nel caso di
specie, contrariamente a quanto osservato dai ricorrenti in particolar modo nei
motivi aggiunti.
Prima di iniziare l’esame di detti “elementi”, rinvenibili nella relazione
prefettizia e nei lavori della Commissione di indagine all’uopo nominata
depositati integralmente in giudizio, il Collegio ritiene di precisare i parametri,
anch’essi individuati dalla giurisprudenza ormai definita sul punto, che devono
orientare in sede giurisdizionale l’esame dal parte del giudice (di legittimità)
adito in ordine ai presupposti di verifica del rispetto dell’art. 143 cit.
Ebbene, si evidenzia che in linea di principio, ai sensi del richiamato art. 143
TUEL, è legittimo lo scioglimento di un Consiglio comunale nel caso in cui sia
l’andamento generale della vita amministrativa di un ente locale a subire
13. influenze da un ipotizzato condizionamento “mafioso”, potendo l’indagine
riguardare non solo scelte strettamente “di governo” in materia di
programmazione e pianificazione ma anche specifiche attività di gestione, che
si qualificano in realtà per essere di sostanziale interesse per le consorterie
criminali, in relazione proprio alla maggiore e più repentina disponibilità ivi
offerta di risorse pubbliche (TAR Lazio, Sez. I, 18.6.12, n. 5606).
Così pure, in tema di scioglimento ex art. 143 cit., gli ”elementi” addotti a
riprova di collusioni, collegamenti e condizionamenti con (e da) la criminalità
organizzata devono essere considerati non isolatamente ma nel loro insieme,
dato che solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza
dell’addebito di collusione con tale criminalità mosso al Consiglio comunale in
un determinato contesto ed a prescindere da responsabilità dei singoli su
specifici fatti (Cons. Stato, Sez. III, 6.3.12, n. 1266).
Inoltre, il potere di scioglimento in questione, con conseguente affidamento
della gestione dell’ente a una Commissione straordinaria, ben può fondarsi
anche su circostanze che non denotino il volontario concorso degli
amministratori nei fatti in cui si concreta l’infiltrazione e il condizionamento
“mafioso”, risultando sufficiente che a tale fenomeno i titolari degli organi
dell’Ente non siano stati in grado di opporsi efficacemente in presenza di
sintomatiche disfunzione dell’”agire” del Comune delle quali si siano giovati
gli interessi della consorteria criminale organizzata e individuata (TAR Sicilia,
Pa, Sez. I, 10.3.08, n. 321).
Da ultimo, si evidenzia altresì, come già sopra accennato, che il potere di
scioglimento del Consiglio comunale ha una valenza, se non proprio “politica”,
quanto meno di “alta amministrazione” e implica, quindi, un elevatissimo tasso
di discrezionalità della p.a., sia nell’accertamento sia nella relativa valutazione
dei fatti e elementi acquisiti al procedimento, che si sottrae a un sindacato di
14. merito dal parte del giudice amministrativo, che non può che limitarsi alla
verifica della ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio, della
veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una
giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole nei
sensi sopra richiamati (Cons. Stato, Sez. VI, 21.12.10, n. 9323).
Premesso quanto sopra in senso generale, quindi, il Collegio può passare ad
esaminare le risultanze istruttorie specifiche in relazione alle deduzioni dei
ricorrenti.
In primo luogo, in relazione alla generica contestazione di cui ai motivi
aggiunti, il Collegio non rileva alcuna lesione del diritto di difesa discendente
dalla mole di documentazione presentata, inevitabile per la complessità delle
indagini e della fase istruttoria, anche se priva di indice, non risultando imposti
limiti di tempo ai legali dei ricorrenti per il relativo esame dopo che, con
specifica ordinanza istruttoria in accoglimento della relativa istanza, era stato
disposto il deposito in atti di documentazione integrale. La mancata estrazione
di copia, poi, è conseguente alle esigenze e classificazione di riservatezza della
documentazione in atti, fermo restando che delle medesime modalità di esame
si è avvalso questo Collegio e che tale circostanza non ha impedito ai ricorrenti
di provvedere alla redazione di dettagliati motivi aggiunti e ulteriore memoria
di replica, fondati proprio sulla valutazione concreta degli elementi addotti.
Passando dunque all’esame delle risultanze istruttorie, nella relazione del
Ministro dell’Interno è posto in evidenza che, in collegamento ad indagini
penali sul Sindaco e all’adozione di misure cautelari nei suoi confronti il
26.9.2012, il Prefetto ordinava l’accesso presso il Comune con decreto del
3.4.2013. La commissione incaricata depositava le sue conclusioni e il Prefetto,
sentito il Comitato provinciale per l’ordine pubblico, redigeva la relazione
datata 24.7.2013 allegata alla proposta ministeriale e costituente parte
15. integrante, anche quale motivazione “per relationem”.
Da tale relazione si evinceva in sintesi, quanto segue:
- Continuità con precedente amministrazione del 2004;
- Sindaco e altri membri dell’amministrazione frequentavano soggetti
“controindicati” ;
- Intesa tra organo di vertice (sindaco) e alcuni amministratori pubblici con
consorteria criminale: un consigliere comunale era in stretta parentela con un
elemento di spicco della “ ‘ndrangheta” in favore del quale il sindaco
prometteva interessamento su investimenti e appalti, anche attraverso
l’intermediazione di un imprenditore locale;
- Generalizzata e illegittima ingerenza degli organi politici sull’operato di quelli
burocratici soprattutto in settori economici: ditte da invitare per un appalto su
verde pubblico indicate direttamente da un componente dell’organo esecutivo;
- Riorganizzazione uffici comunali nel 2009 e area tecnica divisa in due settori,
di cui uno assegnato a soggetti senza preventiva procedura selettiva ovvero
vicini ad ambienti controindicati;
- Agevolazioni non dovute e affidamenti di lavori pubblici in violazione della
normativa di settore a due società;
- Reteazioni illegittime per due imprese e, su indicazione del Sindaco, anche
restituzione;
- Affidamento di lavori di verde cittadino sia in economia sia in violazione di
norme perché priva di documentazione antimafia e dei requisiti richiesti;
carenza di motivazione del ricorso all’economia; assenza validazione progetto
esecutivo; assenza polizza assicurazione verso terzi e ditte invitate senza criteri
di trasparenza;
- Su lottizzazione omessa vigilanza perché una ditta aveva svolto lavori senza
titolo legittimante;
16. - Lavori di messa in sicurezza di un manufatto comunale affidati a impresa i cui
soci presentavano legami con criminalità;
- Generale contesto di illegalità e ricorso a perizie suppletive e varianti per gli
altri appalti.
Nello specifico, la Commissione di indagine ha premesso che il procedimento
prendeva avvio dalla valutazione della condotta del Sindaco quale sintomo di
grave anomalia nella gestione dell’amministrazione comunale che, pur in attesa
dell’esito del relativo procedimento penale, poteva essere meritevole di un
approfondimento ai sensi dell’articolo 143 TUEL.
La stessa Commissione, poi, evidenziava che il Sindaco non mostrava serenità
nei confronti delle attività di accesso agli uffici comunali della Commissione
stessa.
Premesso ciò nella relazione si indicavano le modalità di acquisizione di tutta la
documentazione e di audizione dei soggetti coinvolti.
Tra le “modalità di gestione” del personale risultava che l’amministrazione
aveva fatto un massiccio e senza precedenti ricorso alle figure dei consulenti
esterni, anche in settori chiave dell’attività dell’ente.
In relazione al contesto territoriale e alla presenza di criminalità organizzata, la
Commissione evidenziava la sussistenza della peculiarità con cui si manifestava
in Lombardia il fenomeno “mafioso”, contraddistinto dall’esigenza di “fare
affari” in modalità definita “sottotraccia”, senza particolari compimenti di atti
violenti o intimidatori in senso tradizionale ma privilegiando l’inserimento, in
violazione delle normali regole concorrenziali, in determinati settori economici
ed imprenditoriali di soggetti idonei anche a collocare risorse finanziarie per
fini di riciclaggio.
Illustrando la suddivisione territoriale con cui la criminalità organizzata operava
sul territorio lombardo, la Commissione, in riferimento al caso di specie,
17. precisava che risultava operativa anche nel territorio del Comune diSedriano,
oltre che in altri dell’area sud ovest dell’”hinterland” milanese,
un’organizzazione criminale facente capo a famiglia originaria di Platì (RC), il
cui ambito criminale riguardava anche il monopolio del “movimento terra”, il
controllo dei cantieri, il settore dell’intermediazione immobiliare, con
infiltrazioni negli appalti di servizi e opere pubbliche e ciò a testimonianza della
presenza di malavita organizzata legata ad origini calabresi nel territorio
comunale di riferimento.
Dalle numerose indagini condotte a partire quantomeno dal 2008 sul territorio,
risultava la presenza di un soggetto che aveva assunto uno ruolo di rilievo
nell’associazione criminale indagata, tale Eugenio C., avendo rivestito una
partecipazione nell’attività di riscontrato “voto di scambio”per le elezioni
regionali lombarde del 2010 in favore di un assessore regionale poi indagato.
Tale intermediario, Eugenio C., era riuscito anche ad ottenere l’elezione, nel
giugno 2009, nel corso di tale patto definito dalla Commissione “politico-
mafioso”, di sua figlia a consigliere del comune di Sedriano nonché
l’assunzione della medesima presso l’ALER, con la promessa di agevolare
esponenti delle cosche nell’assegnazione di appalti lavori pubblici gestiti dalla
Regione.
Tale Eugenio C. risultava anche aver posto in essere ulteriori condotte illecite,
con l’ausilio di un medico chirurgo marito di consigliera comunale di Sedriano,
al fine di condizionare proprio le attività di tale amministrazione comunale,
connesse a vicende urbanistiche e all’assegnazione di appalti di lavori e servizi
pubblici, stringendo accordi con il primo cittadino per ottenere da quest’ultimo
una serie di promesse anche inerenti l’assegnazione di ulteriori lavori pubblici
che Eugenio C. intendeva “girare”ad altro membro del suo spesso sodalizio
criminale, anche attraverso l’opera del ricordato marito di una consigliera
18. comunale.
In sostanza risultava che il primo cittadino aveva promesso di compiere una
pluralità di atti contrari ai suoi doveri d’ufficio in cambio del sostegno elettorale
finanziario ricevuto in occasione delle consultazioni elettorali del 2009.
Tali atti risultavano, in sintesi: la presentazione e raccomandazione di Eugenio
C. ai responsabili di un’impresa per fare loro ottenere una corsia preferenziale
per l’approvazione della richiesta di apertura di un bar all’interno del
costruendo centro commerciale di Sedriano; la promessa, a sostegno degli
interessi del sodalizio criminale operante sul territorio, dell’assegnazione al
medesimo Eugenio C. di un appalto della manutenzione delle aree verdi
comunali, pur se l’assegnazione risultava definitivamente in favore di altro
soggetto, comunque imparentato con altra famiglia “mafiosa”; la promessa al
suddetto medico chirurgo di assegnazione di lavori di ristrutturazione di alcuni
immobili.
Risultava, quindi, l’elevato e ingiustificato “peso specifico” di tale medico
chirurgo, marito di assessore, sull’intera amministrazione comunale, tanto da
arrivare a condizionare l’operato dell’assessore all’urbanistica che – come
provato dall’attività tecnica condotta dalla procura inquirente – non solo lo
informava di tutto lo stato di avanzamento del progetto ma gli si rivolgeva per
dei pareri e consigli al fine di favorire specifici soggetti e non l’intera comunità
sedrianese.
In sostanza risultava che il suddetto medico chirurgo e l’intermediario Eugenio
C., quest’ultimo anche a favore della cosca di appartenenza, si adoperavano per
ottenere corsie preferenziali comunali coadiuvati dal Sindaco che a sua volta,
tramite l’aiuto dei medesimi e delle loro conoscenze della realtà criminale
organizzata, aspirava anche ad ottenere un seggio al Parlamento nazionale, in
modo che potesse succedergli alla poltrona di primo cittadino la figlia del
19. suddetto intermediario.
La Commissione, poi, illustrava l’organigramma della struttura burocratica
comunale, non facendo a meno di notare il ricorrente utilizzo dell’istituto della
“mobilità” anche al fine di ristrutturare specifiche aree in senso favorevole alla
pianificazione suddetta, come accaduto per la ristrutturazione dell’Area
Tecnica, la cui Area Patrimonio era dapprima affidata in via diretta, senza
procedura comparativa a soggetto rivelatosi poi in adeguato e, successivamente,
ad altro soggetto in spregio delle enormi vigenti che regolavano i rapporti di
lavoro alle dipendenze di più amministrazioni.
In riferimento alla figura del Segretario Comunale con funzioni di Direttore
Generale, la Commissione ne rilevava la sua responsabilità per il silenzio
serbato su alcune illegittimità da cui erano affetti provvedimenti emanati
dall’amministrazione comunale, laddove risultava l’omessa richiesta, a lei
imputabile, della documentazione necessaria al fine di accertare il possesso dei
requisiti soggettivi di ordine morale e dei requisiti oggettivi prescritti dalle
norme vigenti (DURC) in ordine ad alcuni appalti assegnati, limitandosi la sua
attività all’apposizione del “visto”sotto un profilo meramente formale,
risultando così evidente accondiscendenza ai voleri del Sindaco e della Giunta.
La Commissione, poi, poneva l’accento sulla figura del consulente legale del
Comune, avvocato difensore del Sindaco in pregressi procedimenti penali a suo
carico, che otteneva numerosi incarichi giudiziari e di consulenza
extragiudiziale dal Comune medesimo, di notevole rilievo e per consistenti
importi totali, già dal 2009, a fronte di risultati non proporzionati agli importi
ricevuti.
Dirimente, ad opinione del Collegio, appare quanto evidenziato nella relazione
della Commissione, laddove è specificato che lo stesso Sindaco aveva
dichiarato che, avendo nominato come assessori giovani alla prima esperienza
20. politica a amministrativa, aveva affiancato a ciascuno di questi soggetti esperti,
in grado di comunicare bene ciò che si faceva e pubblicizzarlo al meglio.
In particolare, risultava che all’assessore ai servizi sociali era affiancata la su
ricordata consigliere comunale moglie del medico chirurgo che esercitava
notevole influenza sul Sindaco per quanto sopra evidenziato, all’assessore ai
Lavori Pubblici risultava affiancato un geometra, all’epoca coordinatore del
partito politico di appartenenza del Sindaco, all’assessore all’urbanistica ed
edilizia privata era affiancato proprio il detto medico chirurgo.
Condivisibilmente, quindi, la Commissione osservava che non si comprendeva
per quale ragione il Sindaco aveva proceduto alla nomina dei componenti della
Giunta per poi avere l’intenzione di affiancare loro altri soggetti di supporto,
salvo non ritenere una concezione personalistica e dirigistica della struttura
comunale e di tutta l’amministrazione, finalizzata, più che al perseguimento
degli interessi della collettività, al perseguimento di interessi personali e
privatistici..
Risultavano poi tra le varie figure professionali ausiliarie del Comune diversi
soggetti con precedenti penali.
Per quel che riguardava l’affidamento di appalti pubblici, la commissione
riscontrava numerose irregolarità amministrative che descriveva
dettagliatamente. Nella quasi totalità dei casi esaminati non erano fornite
adeguate motivazioni a sostegno della scelta di preferire, quasi sempre, la
procedura negoziata senza previa pubblicazione della gara rispetto alla ordinaria
procedura di asta pubblica, fermo restando che risultava come l’adozione della
determinazione a contrattare era effettuata dalla Giunta comunale stessa e non
dal responsabile del procedimento e come era la stessa Giunta a selezionare le
imprese da invitare in caso di licitazione privata.. Risultava poi un indebito
ricorso al c.d “frazionamento” per i lavori di maggior importo. Per quelli
21. relativi alla c.d. “Area Feste”, risultava l’aassegnazione per la maggior parte ad
un’unica impresa e il responsabile del procedimento aveva riferito di aver
ricevuto precise indicazioni dell’assessore ai lavori pubblici sulle ditte da
invitare, individuate in un apposito elenco predisposto, come confermato in
sede di audizione. Non risultava poi reperito presso il Comune alcun albo dei
fornitori o delle ditte fiduciarie.
Risultava inoltre l’assegnazione, per i lavori di manutenzione e gestione del
verde cittadino per un rilevante importo, a ditte individuali facenti capo ad una
potente cosca egemone nel vicino Comune di Bareggio, pur essendo
documentalmente riscontrabile a carico almeno di una di tali ditte l’accertata
violazione di obblighi tributari e previdenziali e senza che fosse acquista nei
confronti di tali operatori la documentazione “antimafia”, nonostante il Sindaco
avesse dichiarato di conoscere la circostanza per la quale la figlia del titolare di
una di tali ditte aveva sposato un membro di una famiglia di cui conosceva
l’appartenenza al mondo criminale.
Per quel che riguardava l’”Area Feste” era poi riscontrato il costante ricorso alle
varianti in corso d’opera e la mancata acquisizione della polizza di
assicurazione per danni e responsabilità civile verso terzi, ai sensi della
normativa vigente, esponendo così il Comune stesso alla responsabilità solidale
per i danni causati dall’appaltatore.
Risultavano poi nei confronti di tali ditte dilazioni di pagamento per alcuni
tributi comunali, omessa attivazione di alcune procedure coattive e la
restituzione, senza giustificazione formale ma su mera disposizione verbale del
Sindaco, di decine di migliaia di euro di imposte già correttamente incassate,
pur nell’ambito di una pregressa situazione debitoria della ditta interessata
verso l’amministrazione comunale di Sedriano.
Omissioni di verifiche documentali erano poi riscontrate per alcuni subappalti
22. di cui alla richiamata “Area Feste” e pure era riscontrata la tenuta superficiale
dei registri di lavori relativi ai contratti per tale opera pubblica.
La Commissione, poi, poneva l’accento sugli appalti coinvolgenti due ditte
individuali intestate a coniugi legati a organizzazioni malavitose di stampo
“mafioso”e aventi sede nel Comune, frutto di accordi per consentirne
l’affidamento diretto. Tali ditte, prima del 2009, avevano solo sporadicamente
dato luogo a piccole forniture nei confronti del comune ma a partire da tale
anno risultavano aggiudicatarie di appalti e contratti di maggior valore
nonostante una posizione debitoria pregressa nei confronti del comune stesso.
La Commissione quindi indicava dettagliatamente le irregolarità che
contraddistinguevano i singoli contratti affidati a tali ditte individuali, facenti
capo ai richiamati coniugi, di cui almeno una priva dei requisiti morali di ordine
generale che, se semplicemente richiesti, avrebbero proprio impedito la
contrattazione con imprenditori aventi legame con famiglia “criminale”, per
quanto noto allo stesso Sindaco.
Risultavano illustrate anche evidenze documentali dalle quali emergeva che
l’amministrazione comunale aveva tenuto nei confronti di tale ditta un
atteggiamento assolutamente preferenziale nelle modalità di gestione della
ingente posizione debitoria per la ripetuta omissione del pagamento di vari
tributi, oneri e corrispettivi per le prestazioni di servizi, che però non impediva
la concessione di comoda rateizzazione a 60 rate senza idonea motivazione e
fin’anche la restituzione di alcune somme, come sopra già anticipato, con
procedura anomala e mai eseguita in precedenza, nonché il mancato avvio di
riscossione coattiva a discrezione dello stesso Sindaco.
Per altri appalti per realizzazione di impianti sportivi risultavano pure
l’immotivato ricorso alla procedura negoziata in luogo di quella “aperta” ,
l’invito a ditte con sedi molto distanti, in modo da consentire la partecipazione
23. effettiva a sole quattro ditte su dieci e l’aggiudicazione sempre alla stessa,
mediante illegittimo frazionamento.
Per l’affidamento dei lavori per l’”Area Feste” risultavano tre ingiustificate
procedure negoziate, affidate a due ditte per le quali non era effettuata la
verifica ex art. 38 “Codice Contratti” né era chiesta la polizza assicurativa per
danni. Una di queste ditte risultava aver ricevuto dai coniugi suddetti (medico
chirurgo “influente” in Comune e consigliere comunale) un incarico per
realizzare opere di cemento armato su terreno di loro proprietà nel Comune
di Sedriano. Il rappresentante legale di tale ditta aveva costituito, insieme ad
altri, tra cui i suddetti coniugi e l’assessore ai lavori pubblici (come si ricorda,
“affiancata” da un geometra, coordinatore locale del partito del Sindaco e già
dipendente della suddetta ditta affidataria dei lavori) una società cooperativa
sociale, il cui revisore dei conti era il padre di altro consigliere comunale.
Analoghe osservazioni erano fatte dalla Commissione sulla ristrutturazione
dell’asilo comunale e della scuola “L. Fagnani”, ove risultavano approvazione
di varianti che davano luogo a sostanziale frazionamento del contratto e con
subappalti senza verifiche ex art. 38 Codice Contratti.
In seguito al crollo della “Cascina Tiraboschi” risultavano direttamente
assegnati i lavori di messa in sicurezza a ditta che aveva eseguito, quale
subappaltatrice, lavori per società “vicina” agli ambienti della criminalità
organizzata calabrese e la cui socia risultava legata sentimentalmente con
relazione extraconiugale a pregiudicato appartenente ad associazione a
delinquere di tale stampo. Lo stesso rappresentante legale di tale ditta risultava
socio di maggioranza in altra società unitamente ad esponente di una “cosca”
calabrese specificamente individuata.
Tale ditta, inoltre, riceveva dal Comune di Sedriano per il periodo in
valutazione numerosi incarichi nonostante accertata irregolarità contributiva.
24. Per qual che riguardava la gestione del territorio, la Commissione rilevava
numerose irregolarità e l’assegnazione di lavori pubblici su aree verdi in favore
di impresa specifica già considerata vicina a cosca territoriale e la gestione
quasi esclusiva della ristrutturazione della Villa Colombo-Brazzola e delle
Cascina Tiraboschi nell’interesse di parti private aventi rapporti con il ricordato
intermediario Eugenio C. e una cosca locale.
Risultava da elementi probatori specificati che il ricordato medico chirurgo,
quale “tutor” dell’assessore all’urbanistica – da cui dipendeva tra l’altro la
conduzione del P.I.I., e punto di unione tra il Sindaco e il richiamato
intermediario Eugenio C. - esercitava un controllo continuo sulla gestione.
In definitiva, nelle sue conclusioni, la Commissione di indagine riportava le
osservazioni del Tribunale penale da cui si ricavava come il Sindaco si rendeva
disponibile a violare ripetutamente i doveri del proprio ufficio al fine di
assicurare un concreto vantaggio per l’organizzazione criminale di cui faceva
parte Eugenio C., il quale, attraverso il richiamato medico chirurgo, marito di
consigliere comunale e soggetto di collegamento con esponenti della criminalità
organizzata di stampo “mafioso”, aveva stretto un vero e proprio accordo
politico-economico di reciproco interesse, orientato a consolidare la posizione
politica del Sindaco, anche in vista dell’acquisizione di voti per l’elezione al
Parlamento nazionale, e a favorire nel settore economico degli appalti il relativo
controllo da parte dei suddetti “intermediari”, soprattutto con l’assegnazione
diretta ad alcune imprese vicine alla cosche operanti sul territorio di vari lavori
(manutenzione verde, ampliamento e aggiornamento della piattaforma
ecologica comunale, ristrutturazione del complesso immobiliare Villa
Colombo-Brazzola e Cascina Tiraboschi).
L’intermediario Eugenio C. riusciva anche ad ottenere un posto di consigliere
comunale per la figlia.
25. Tutto ciò accadeva nella consapevolezza del primo cittadino in ordine alla
caratura criminale di Eugenio C., laddove risultava il contatto diretto per
organizzare una sorta di “servizio d’ordine” in occasione della presenza in
Comune di un noto assessore regionale, senza ricorrere all’ausilio delle Forze
dell’Ordine o alla Polizia Locale, richiesta soddisfatta da Eugenio C. mediante
contatto con un uomo di spicco di una specifica cosca operante sul territorio.
Inoltre lo stesso Sindaco, in sede penale, affermava di non aver mai sporto
denuncia contro tale soggetto, anche in relazione ad un tentativo di corruzione
specifico richiamato, “per paura”, anche se poi ridimensionava tale indicazione
davanti al Sostituto Procuratore della Repubblica.
Coerentemente e non illogicamente, quindi, la Commissione concludeva nel
senso che il Sindaco non era all’oscuro del collegamento con la criminalità
organizzata di tale soggetto perché altrimenti non si comprende per quale
ragione non aveva sporto subito denuncia quale pubblico ufficiale.
La mera esistenza di una promessa illecita concretava la valutazione di una
condotta penalmente rilevante e – sotto il profilo di interesse in questa sede –
che poteva riflettersi anche sotto la fattispecie di cui all’art. 143 TUEL per
potenziale rischio di infiltrazione mafiosa, in virtù di un accordo pattizio valido
nel tempo.
La Commissione poi evidenziava anche la figura di un imprenditore, collegato
alla storica famiglia “ndranghetista” dei Musitano, che si incrocia con i
richiamati Eugenio C. e medico chirurgo a seguito della mancata assegnazione
di lavori di manutenzione del verde pubblico a terzi, avvenuta invece in favore
delle ditte della moglie di tale imprenditore e dell’imprenditore stesso nella
piena consapevolezza del Sindaco dei rapporti tra detto imprenditore e i
Musitano e dell’appartenenza di tale famiglia alla criminalità organizzata
calabrese. Tale assegnazione “di favore” era contraddistinta da numerose
26. irregolarità amministrative elencate dettagliatamente dalla Commissione ed era
pure riscontrata la posizione “di favore” in ordine alla situazione debitoria
tributaria di tali ditte, cui erano riconosciuti indubbi vantaggi economici a
discrezione del Sindaco e dell’amministrazione comunale, senza specifica
motivazione e in maniera differenziata rispetto ad altri soggetti nelle medesime
condizioni.
Quindi, se per il mediatore Eugenio C. l’infiltrazione era “potenziale”, per i
coniugi imprenditori ora evidenziati era evidente ed esistente.
Tale infiltrazione, potenziale e concreta (quindi ulteriormente potenziale) aveva
dato luogo ad una gestione personalistica ed accentratrice del Comune da parte
del Sindaco, ad una grave carenza nel rispetto di quasi tutte le procedure di
legge, soprattutto in materia di appalti e urbanistica, alla scelta da parte del
Sindaco stesso di dirigenti spesso non idonei al loro compito (perché inadatti o
assorbiti da altri incarichi remunerativi), e – per quel che pare al Collegio
dirimente – all’affiancamento agli assessori di Giunta di precisi “tutors” (tra cui
lo stesso medico chirurgo marito di assessore comunale) sempre da lui “scelti”.
Né poteva essere scaricata dal Sindaco la responsabilità della cattiva gestione
(in favore però degli stessi soggetti) sugli uffici comunali e sui loro dirigenti, in
quanto questi, nei settori nevralgici presi in considerazione, si erano rilevati
meri esecutori della volontà sindacale (ivi compreso il Segretario Comunale),
come confermato anche dalla ristrutturazione dell’Area Tecnica, prima gestita
da un unico responsabile in organico e poi smembrata in due Aree, affidate, una,
a figura professionale (inidonea) scelta direttamente dal Sindaco e l’altra a
soggetto già con altri incarichi, ritenuti anche “contra legem”.Tale
configurazione “di favore” aveva dato luogo a moltissimi affidamenti diretti di
appalti, come sopra riassunto, in favore di ditte correlate ad organizzazione
malavitosa di stampo “mafioso”, come osservato in ordinanza cautelare del
27. Tribunale di Milano di cui erano riportati brani significativi.
Tali conclusioni erano sintetizzate, nei punti salienti, nella relazione prefettizia
del 24.7 13 e riprese nella proposta del Ministro dell’Interno, che più
diffusamente illustrava i punti critici di tale gestione comunale, idonei come tali
all’applicazione dell’art. 143 TUEL.
Concludendo sul punto, quindi, il Collegio, premettendo che il sindacato
giurisdizionale sul corretto esercizio del potere di scioglimento per infiltrazioni
delinquenziali non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un
idoneo e sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a
fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale
logica, coerente e ragionevole (TAR Lazio, Sez. I, 3.6.14, n. 5856), ritiene che
l’approfondita attività istruttoria di cui alla relazione della Commissione di
indagine, nonchè il nucleo motivazionale della relazione prefettizia e della
proposta ministeriale, non siano contraddistinte da palese illogicità o arbitrarietà
ma siano fondate su circostanze specifiche, considerate nel loro articolato
complesso, e idonee a qualificare la presenza degli elementi concreti, univoci e
rilevanti richiesti dalla norma.
Gli elementi sono concreti, in quanti fondati su esame documentale, evidenze
probatorie acquisite nelle indagini penali e audizione dei diretti interessati,
univoci, perché evidenziano che la direzione verso cui si muoveva
l’organizzazione comunale (anche con le sue omissioni, parzialità e illegittimità
diffuse) era stabile a beneficio, sia pure indiretto ma incontestabile, di esponenti
della malavita stanziale di origine “mafiosa”, rilevanti, dato che riguardavano la
gestione dell’intreccio economico-finanziario che – come detto in precedenza –
è particolarmente ambito dalla criminalità organizzata, anche ai fini di
riciclaggio.
La proposta ministeriale dava adeguatamente conto di fatti storicamente
28. verificatisi e accertati, che sono stati correttamente e non irragionevolmente
ritenuti manifestazione di situazioni di condizionamento e di ingerenza nella
gestione dell'ente comunale.
Il quadro indiziario complessivamente emerso dagli accertamenti istruttori, e
valutato come significativo di una gestione amministrativa poco lineare,
rendeva quindi ragionevolmente plausibile la conclusione per la quale l'attività
dell'ente era, sia concretamente che potenzialmente anche per il futuro, non
impermeabile a possibili ingerenze e pressioni da parte della criminalità
organizzata specificamente individuata e operante sul territorio
dell’”hinterland” milanese.
Dai provvedimenti amministrativi suddetti emerge, chiaro, il legame “causale”
intercorrente tra i presupposti in concreto riscontrati e la deviazione dell'azione
dell'ente dal perseguimento dei propri fini istituzionali, legame che costituisce il
punto nodale della motivazione del provvedimento di scioglimento e, come tale,
adeguata e in linea con i requisiti richiesti dalla Corte Costituzionale nella
sentenza n. 103/1993.
Né può convenirsi in senso contrario con le articolate difese dei ricorrenti,
soprattutto nei motivi aggiunti e nella memoria di replica per l’udienza
pubblica, in quanto esse esaminano isolatamente i singoli episodi che, però, per
quanto detto, devono invece essere considerati nel loro insieme e sullo sfondo
di un quadro indiziario concreto, univoco e rilavante che nel caso di specie si è
dimostrato sussistente per la minuziosa descrizione di cui alla relazione della
Commissione di indagine.
Nell’ipotesi dello scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose
l’amministrazione gode, quindi, di ampia discrezionalità, considerato che non si
richiede né la prova della commissione di reati da parte degli amministratori, né
che i collegamenti tra l’amministrazione e le organizzazioni criminali risultino
29. da prove inconfutabili, dimostrandosi sufficienti elementi univoci e coerenti
volti a far ritenere, così come in questo caso, un collegamento tra
l’amministrazione e i gruppi criminali (TAR Lazio, Sez. I, n. 5856/14 cit.).
Nel caso di specie, il materiale raccolto nel corso dell’istruttoria si è presentato
di particolare ampiezza, tale da poter dar luogo a univoche interpretazioni.
Per quel che riguarda il quarto e quinto motivo di ricorso, il Collegio non può
che richiamare un ragionamento consequenziale a quanto in precedenza
illustrato.
Non risulta assente la prova di ingerenza del potere politico sull’attività
dirigenziale, dato che da numerose risultanze probatorie penali richiamate nella
relazione emerge che, principalmente il Sindaco, ma anche altre assessori di
Giunta, tramite i loro “tutors”, imponevano comportamenti ai dirigenti (si
richiama il “favor” accordato ai fini di dilazione di debiti tributari a specifica
ditta).
Dirimente, come detto, è poi proprio la circostanza della presenza di tali
“tutors” accanto ad assessori di rilevanti Uffici, del tutto ingiustificata e
ingiustificabile, se non nell’ottica di un’imposizione di specifiche attività in
merito all’andamento di settori strategici nella gestione dell’amministrazione
comunale.
Inoltre, le parentele, le frequentazioni, i rapporti di coniugio e gli accordi
elettorali richiamati sono stati valutati nel quadro complessivo degli interessi
economico-finanziari sopra ricordati e non isolatamente e in quanto tali, come
lamentato dai ricorrenti nel quarto motivo di ricorso.
Non sono state, inoltre, le illegittimità come tali ad essere state poste a
fondamento dello scioglimento ma le illegittimità specifiche inserite in
quell’ampio quadro indiziario, completo ed esaustivo, illustrato
minuziosamente dalla Commissione di indagine.
30. Né può dirsi che, soprattutto riguardo al “trattamento” fiscale di favore, possa
rilevare la circostanza che anche altri soggetti abbiano goduto di tali
facilitazioni, perché, come detto, tale profilo è stato correttamente valutato nel
quadro d’insieme che vedeva le medesime ditte favorite anche
nell’assegnazione di appalti, con la consapevolezza da parte del Sindaco del
loro collegamento a criminalità organizzata specifica.
Di conseguenza, è infondato il quinto motivo di ricorso, dato che non risultano
individuate responsabilità esclusive degli Uffici comunali ma una ben
direzionata volontà dell’organo politico di vertice di influenzare gli stessi e una
rilevata omissione da parte degli altri organi politici di attività tesa ad evitare
tale evidente ingerenza (tra cui nuovamente segnalare la presenza dei ricordati
“tutors” degli assessori “giovani” e “inesperti”).
Passando infine all’esame dei residui motivi aggiunti, fondati su doglianze
essenzialmente di ordine procedurale, il Collegio rileva, per quanto riguarda le
modalità di costituzione e di espressione delle sue conclusioni del Comitato
provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, che la norma di riferimento (art.
143, comma 3, TUEL) non prevede l’espressione di un parere formale,
conseguenza di volontà (maggioritaria o meno) di un collegio perfetto ma si
limita a prevedere che detto Comitato debba essere “sentito”.
Nel caso di specie ciò è accaduto in quanto, dalla documentazione in atti, risulta
che il Comitato si è riunito il 17.7.2013 sotto la presidenza del Prefetto di
Milano ed ha concluso sul punto, in base ai favorevoli pareri espressi dai
presenti (quindi di unanime determinazione), al fine dell’inoltro della redigenda
relazione prefettizia al Ministro dell’Interno ai fini di cui all’art. 143 cit.
Per quel che riguarda la ritenuta illegittimità di composizione del Comitato, ai
sensi dell’art. 20 l. n. 121/1981, il Collegio ha già anticipato che in argomento
esso non costituisce un collegio perfetto che esprime valutazioni vincolanti in
31. senso maggioritario. Per quel che riguarda la mancata partecipazione del
Sindaco di Sedriano, appare logico, per la delicatezza della vicenda, che non
sia stata consentita la sua presenza per ovvie ragioni di opportunità,
relativamente a fatti che lo riguardavano personalmente.
Così pure condivisibili sono le osservazioni della difesa erariale sulla mancata
partecipazione del Sindaco del capoluogo, dato che il relativo punto all’ordine
del giorno riguardava anche la conoscenza di atti riservati, ex art. 42 l.
124/2007, accessibili ai solo soggetti che ne abbiano necessità per le proprie
funzioni istituzionali, con conseguente legittimità della composizione “ristretta”
del Comitato in questione.
In relazione alla partecipazione del procuratore Generale della Corte d’Appello
di Milano, si rileva che l’art. 20, comma 4, l. 121/81 prevede che “Il prefetto
può invitare alle stesse riunioni componenti dell'ordine giudiziario, d'intesa con
il procuratore della Repubblica competente.”
Nel caso di specie, in assenza di osservazioni sul punto da parte del procuratore
della Repubblica presente, la presenza del Procuratore Generale in questione
non appare illegittima nel senso prospettato dai ricorrenti, rilevandosi l’intesa
implicita del procuratore della Repubblica.
Per quel che riguarda le date della relazione della Commissione di indagine e
della riunione del Comitato suddetto, il Collegio osserva che la data di
sottoscrizione della prima – secondo quanto documentalmente allegato in
giudizio – è quella del 16.7.2013, corrispondente a quanto sostenuto dal
Prefetto nella sua relazione del 24.7.2013. La circostanza che nella riunione del
17.7.2013 del Comitato suddetto il Prefetto abbia affermato che la
Commissione stava “concludendo il proprio lavoro”, ad avviso del Collegio,
non rileva sulla successione dei tempi - attestata da elemento documentale
oggettivo consistente nella sottoscrizione della relazione dei componenti della
32. Commissione nel medesimo foglio con la data del 16 luglio 2013 - e può essere
ascritta a mera imprecisione per la vicinanza delle date.
Sulla querela di falso prospettata, il Collegio osserva che gli stessi ricorrenti
ritengono non necessaria un’autorizzazione in questa sede.
Per quel che riguarda il sesto motivo aggiunto, il Collegio non può che ribadire
quanto dedotto all’inizio dell’esposizione, in quanto la classificazione
“riservata” della documentazione imponeva in origini gli “omissis”, poi non più
presenti negli allegati integrali depositati in modalità informatica in giudizio,
cui hanno avuto accesso i ricorrenti ai fini della proposizione degli stessi motivi
aggiunti.
Alla luce di quanto dedotto, quindi, il ricorso ed i motivi aggiunti devono essere
rigettati.
Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi, proprio per la
peculiarità della fattispecie e per la impossibilità per i ricorrenti di accedere, in
prima battuta, alla documentazione riservata, depositata in forma integrale solo
in corso di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima),
definitivamente pronunciando sul ricorso e i motivi aggiunti, come in epigrafe
proposti, li rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 novembre 2014 con
l'intervento dei magistrati:
Luigi Tosti, Presidente
Anna Bottiglieri, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore