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Il manifesto di Venezia: storia, redazione
e l’attesa per un Osservatorio
Corso di formazione per i giornalisti ODG
Siracusa 22-10-2022
Catania 5-11-2022
Rosa Maria Di Natale-giornalista
Violenza e sessismo nell’informazione
Di cosa parleremo
• -Il Manifesto di Venezia: storia e
aggiornamenti
• -L’assunto: le parole valgono
• -Le radici culturali del sessismo
• -Narrazione tossica della violenza
1/PRIMA DEL MANIFESTO DI VENEZIA
2014
Focus:
- Sul modo con cui le donne vengono descritte dalla lingua italiana
contemporanea, e in particolare all’uso della forma maschile anziché
femminile per i titoli professionali e per i ruoli istituzionali ricoperti
sempre più spesso da donne (ministro/ministra; architetto/architetta; il
giudice/la giudice; il presidente/la presidente; il senatore/ la senatrice,
ma sempre infermiera; fioraia; maestra; operaia; parrucchiera).
- Sulle proposte operative, utili a far superare dubbi e perplessità̀ circa
l’adozione del genere femminile per i nomi professionali e istituzionali
«alti», suggerendo soluzioni di facile applicazione e di «buon senso»
Nicoletta Maraschio presidente onoraria dell’Accademia della Crusca
Forme già sperimentate…
Stereotipi
Sergio Lepri
Sergio Lepri
2/ COME NASCE IL MANIFESTO DI VENEZIA
Da un’idea…
- del Sindacato giornalisti del Veneto
Insieme a Commissione Pari Opportunità FNSI, Giulia Giornaliste
- Redazione “dal basso”
- Lavorazione collettiva della bozza con giornaliste
- I vari punti vengono discussi ed emendati nel corso di varie riunioni, anche da
giornalisti presenti nella CPO
- la scelta è di aprire le prime sottoscrizioni SOLO A
GIORNALISTE/GIORNALISTI proprio perché si tratta di uno strumento che la
categoria si è voluta dare
- Manifesto e non Carta perché “il cambiamento culturale si fa ragionando, attraverso
la formazione e il confronto e non attraverso la sanzione” (A.Mancuso)
-Ma nel 2021 il Testo unico dei doveri del giornalista aggiornato, ha recepito questo
tema introducendo nella deontologia la necessità di una narrazione corretta per le
donne evitando stereotipi, espressioni ed immagini lesive, curando linguaggio
rispettoso.
Era il 25 novembre 2017 quando a Venezia è stato tenuto a battesimo il Manifesto per il
rispetto e la parità di genere nell’informazione promosso ed elaborato dalle
commissioni Pari Opportunità di Fnsi (Federazione Nazionale Stampa italiana) e Usigrai
(il sindacato dei giornalisti Rai), con l’associazione GiULiA Giornaliste e il Sindacato
giornalisti Veneto.
Quello che è ormai conosciuto come “Manifesto di Venezia” raccoglie una serie di
raccomandazioni su come raccontare il dramma della violenza sulle donne.
Un impegno in prima persona nel promuovere un linguaggio rispettoso della persona e
della parità di genere. Un atto condiviso per cambiare il linguaggio e liberare le parole
dalla violenza, grazie alle azioni di sensibilizzazione sul tema portate avanti dalla Fnsi e
dalle sue articolazioni territoriali, dagli Ordini regionali, con corsi di formazione ad hoc e
iniziative comuni con il mondo della scuola, dell’università, delle professioni,
dell’associazionismo, del sindacato.
2/ COME NASCE IL MANIFESTO DI VENEZIA
CONVENZIONE DI ISTANBUL- NOTA:
Entrato in vigore nel 2014 alla ratifica del decimo paese firmatario: il 12 marzo
2012 la Turchia è anche stato il primo paese a ratificarlo.
Primo strumento internazionale vincolante che crea un quadro giuridico
completo per proteggere le donne da qualsiasi forma di violenza, e previene,
persegue ed elimina la violenza contro le donne e la violenza domestica. La
Convenzione istituisce anche un meccanismo di controllo specifico per la sua
applicazione.
Perché si chiama Convenzione di Istanbul se Istanbul non c’è
Nel 2011 la Turchia era tra i più convinti sostenitori del trattato, che infatti fu
firmato a Istanbul, ideale ponte – non solo geografico – tra l’Europa e l’Asia. Ne
ha ritirato l’adesione nel 2020 (Erdogan: “Minaccia i diritti di famiglia”).
Femmicidio e femminicidio sono due termini specifici che definiscono
in maniera non neutra gli omicidi contro le donne, in tutte le loro
manifestazioni, per motivi legati al genere. Questi tipi di uccisione che
colpiscono la donna perché donna non costituiscono incidenti isolati,
frutto di perdite improvvise di controllo o di patologie psichiatriche, ma
si configurano come l’ultimo atto di un continuum di violenza di
carattere economico, psicologico, fisico o sessuale.
Il femmicidio, dall'inglese femicide, è un termine criminologico
introdotto per la prima volta dalla criminologa femminista Diana H.
Russell all'interno di un articolo del 1992 per indicare le uccisioni delle
donne da parte degli uomini per il fatto di essere donne (a). Secondo
quanto formulato da Diana Russell “il concetto di femmicidio si
estende al di là della definizione giuridica di assassinio e include quelle
situazioni in cui la morte della donna rappresenta l'esito/la conseguenza
di atteggiamenti o pratiche sociali misogine”.
I primi riferimenti ufficiali dei termini
“femmicidio”/“femminicidio” si ritrovano all’interno
della Risoluzione del Parlamento europeo (PE)
dell’11 ottobre 2007 sugli assassinii di donne
(femmicidi) in Messico e America Centrale e sul
ruolo dell’Unione Europea nella lotta contro questo
fenomeno, nonché nel Rapporto annuale sui diritti
umani presentato dal PE nel 2010, in cui se ne
ribadisce la condanna. Di femmicidio/femminicidio
si discute poi nelle linee guida dell’Unione
Europea sulla violenza contro le donne adottate
dal Consiglio dell’UE nel 2008 e nel giugno 2010
l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea,
Catherine Ashton, esprimendo le proprie
preoccupazioni sui femminicidi in America Latina,
ha definito “tutte le forme di violenza di genere come
aberranti crimini di femminicidio”.
Intervista ad Alessandra Mancuso
Guarda l’intervista: https://www.youtube.com/watch?v=rdGRAGWVCX8
LE RADICI CULTURALI
DELLE PAROLE SESSISTE
Nel caso delle questioni di genere è molto difficile eradicare gli “ismi”
(sessismo, maschilismo ecc) solo tramite l’uso delle parole. Ma le parole
che usiamo sono parte del problema (Gheno)
Essere chiamati dai giornalisti con il nome proprio, in un impeto
tutto italiano di familiarità non richiesta e sminuente.
Riduzione della distanza=annullamento di autorevolezza
2020
Donna… ma senza nome
Riduzione della distanza=annullamento di autorevolezza
? Louise Gluck
2020
?Jennifer Doudna (Università di Berkeley)
e Emmanuelle Charpentier (Max Planck di
Berlino)
Chi è: Vanessa Nakate, una laurea in economia aziendale alla
Makerere University Business School, è stata la prima attivista
del Fridays for Future in Uganda. (una Vanessa a caso)
Riduzione della distanza=annullamento di autorevolezza
2021
… ma spesso sono le giornaliste a essere vittime. A conferma che
il problema prescindere dalla notorietà e dalla professione
Riduzione della distanza=annullamento di autorevolezza
2020
2021
2022
Usare inoltre l’articolo determinativo davanti al cognome
riduce la persona allo status di cosa
La sfera domestica invade il linguaggio dei media quando si parla di
sembra rilevante il fatto che Tania Cagnotto, Elisa Di Francisca e Flavia
Pennetta prima di essere delle atlete siano soprattutto delle madri, come
fa notare “La Gazzetta dello Sport” in un articolo del 2020.
2022
2022
Le non madri allora sono disumane?
2020
Mamme EPPURE scienziate
Vera Gheno: Il ​sessismo linguistico​ è la manifestazione
linguistica della mentalità, dei comportamenti sociali, dei
giudizi e pregiudizi culturali venati di (o viziati da) sessismo. È bene chiarire che
una lingua come l’italiano di per sé non è definibile sessista: può esserlo, invece,
l’uso che ne facciamo.
In Italia numerosi studi, a partire dal lavoro “Il sessismo nella lingua
italiana” di Alma Sabatini, pubblicato nel 1987 dalla
Presidenza del Consiglio dei Ministri, hanno messo in evidenza che
la figura femminile viene spesso svilita dall’uso di un linguaggio stereotipato che
ne dà un’immagine negativa, o quanto meno subalterna rispetto all’uomo.
Il patriarcato nel linguaggio: L’Italia si è liberata tardi dal delitto
d’onore, dal matrimonio riparatore e dall’abbandono di un neonato per onore (-
legge 442, appena 41 anni fa).
Il diritto di cronaca non può trasformarsi in un abuso. “Ogni giornalista è
tenuto al “rispetto della verità sostanziale dei fatti”. Non deve cadere in
morbose descrizioni o indulgere in dettagli superflui, violando norme
deontologiche e trasformando l’informazione in sensazionalismo».
(Manifesto di Venezia 2017)
NARRAZIONE TOSSICA DELLA
VIOLENZA
“L’amava, ma lei l’aveva respinto”.
“Un gigante buono incapace di fare del male”.
“Voleva tornare con lei, ma la donna aveva deciso di chiudere il
rapporto”.
“Un raptuspertroppoamore”.
L’elenco delle parole sbagliate per raccontare la violenza sulle donne si
arricchisce, ad ogni femminicidio, di nuove giustificazioni per il colpevole e di
nuove coltellate alla vittima, che scompare, non solo fisicamente: è una figura
marginale nella ricostruzione, verso di lei non c’è rispetto, al massimo
attenzione morbosa.
Stereotipi
Bruno Vespa a “Porta a Porta”, alle prese con il caso sopravvissuta di
femminicidio, Lucia Panigalli. La vittima si esponeva per denunciare la
sua paura e per promuovere una proposta di legge presentata con la
senatrice Laura Boldrini che permettesse di modificare l’articolo 115 del
codice penale e di punire il mandante di un tentato omicidio. Ma…
2019
«Signora, se avesse voluto
ucciderla l’avrebbe fatto».
«Posso chiederle di che
cosa si era innamorata?»
«18 mesi sono un bel
flirtino però…»
«A differenza di tante altre
donne è protetta. Non
corre rischi».
«Quindi lui era così
follemente innamorato di
lei da non volerla dividere
se non con la morte, finché
morte non vi separi come
si dice». (Vespa)
Lorenzo Tosa, Generazione Antigone
2012
Il caso
Vanessa Scialfa
2019
Le Commissioni Pari Opportunità della Fnsi, del Consiglio
Nazionale dell'Ordine, dell'Usigrai e dell'Associazione Gìulìa
giornaliste denunciano la mancata applicazione del Manifesto di
Venezia in riferimento al titolo de "Il Giornale”, "Il gigante buono e
quell'amore non corrisposto”, sul caso di femminicidio avvenuto a
Piacenza.
Il 26 dicembre, a Casalbordino in provincia di Chieti, una donna di 72 anni,
Maria Rita Conese, è stata uccisa dal marito, Angelo Bernardone. La notizia
riportata su tutti i giornali, lascia quasi intendere che la malattia della donna
(Alzheimer) possa in qualche modo giustificare il femminicidio.
2021
Gli errori macroscopici:
Assumere il punto di vista di chi commette
il femminicidio
(raccontare la vicenda dal punto di vista del carnefice
, mai della vittima).
Ricerca ossessiva del movente
Il movente sarebbe la “malattia irreversibile” di Maria Rita Conese, con la quale il marito
non riusciva più a convivere. Sembra quasi che la vera vittima di questa situazione sia
proprio Angelo Bernardone che, non riuscendo più a gestire la malattia della moglie, ha
deciso di ucciderla.
Empatizzare con il femminicida
Raccontando la vicenda dal punto di vista di chi commette il femminicidio e andando alla
ricerca del movente a tutti i costi, è molto più semplice empatizzare con il femminicida,
giustificando l’atto.
Definire il femminicida in un modo particolare
Su tutti i giornali Angelo Bernardone è stato presentato come “il pensionato”. Come se il
fatto di essere un uomo anziano possa rappresentare un’attenuante.
Ad esempio, quando a compiere il femminicidio è un uomo di nazionalità estera,
viene usato il termine “immigrato” per sottolineare l’eccezionalità dell’accaduto.
Come se un italiano non possa commettere un femminicidio. O, ancora, quando il
femminicida è un uomo disoccupato, questo termine viene evidenziato più volte
per favorire l’empatia nei confronti di quest’ultimo. In tutti questi casi,
l’attenzione si sposta dalla vittima al carnefice.
Raccontare le opinioni di chi conosce il femminicida
Nel caso in questione ad essere intervistato è stato il sindaco di Casalbordino,
Filippo Marinucci, il quale ha commentato in questo modo la notizia:
«Forse un gesto disperato, di impeto: in paese Bernardone era conosciuto come
una brava persona. Siamo davvero colpiti, nulla avrebbe fatto presagire questa
tragedia»
Queste parole ci conducono in fretta al prossimo punto:
Il raptus
Si associa quanto accaduto ad una patologia psichiatrica. In questo modo lasciano
intendere che il femminicida abbia commesso il crimine a causa di un’alterazione
dello stato emotivo che gli ha fatto perdere il controllo delle sue azioni. (da:
Ultimavoce.it, link nelle fonti)
2022
LE PAROLE VALGONO/LETTURE
Grande privilegio dell’ essere umano, le parole consentono di comunicare,
tramandare saperi, suscitare emozioni, fare cose eccezionali, sconfiggere
tortura e pena di morte, resistere al nazifascismo. Tuttavia in certi periodi sono
state usate come armi di offesa. Oggi è ancora così.
Il trattato Dei delitti e delle pene di Cesare
Beccaria mise a nudo nel XVIII secolo
l’assurdità della tortura e della pena di
morte, attraverso una serie di domande
continue e insistenti, con l’obiettivo di
coinvolgere il lettore trasmettendogli la
meraviglia della ragione di fronte
all’irrazionale.
«in un periodo infausto della nostra storia,
conclusosi con una guerra che ha
condotto alla morte circa cinquecentomila
italiani, parole come giudeo, pietista,
sovversivo sono state usate per
perseguitare italiani di religione ebraica e
per distruggere oppositori politici con la
violenza degli epiteti scagliati contro chi
osava dissentire. Il male fatto a costoro
veniva liquidato con un “Me ne frego”;
l’importante era “credere, obbedire,
combattere”». (Della Valle)
Quando si parla o si scrive, le parole chiave da tenere a mente sono
consapevolezza e responsabilità. Consapevolezza, perché
dobbiamo essere consapevoli delle parole che usiamo e renderci conto del messaggio
che passiamo, e responsabilità, perché dobbiamo tenere a mente che ciò che
esprimeremo potrà avere delle conseguenze sugli altri. La vera libertà di
una persona passa dalla conquista delle parole
(i messaggi chiave di Vera Gheno, sociolinguista, al festival La Violenza illustrata
2020 )
http://www.radiocittafujiko.it/sessismo-e-linguaggio-vera-gheno-ci-spiega-le-
parole-per-non-dirlo/ AUDIO
Se si è donna, in Italia si muore anche di linguaggio. È una
morte civile, ma non per questo fa meno male. È
con le parole che ci fanno sparire dai luoghi pubblici, dalle
professioni, dai dibattiti e dalle notizie, ma di parole ingiuste
si muore anche nella vita quotidiana, dove il pregiudizio
che passa per il linguaggio uccide la nostra possibilità
di essere pienamente noi stesse. Per ogni dislivello di diritti
che le donne subiscono a causa del maschilismo esiste un
impianto verbale che lo sostiene e lo giustifica. Accade ogni
volta che rifiutano di chiamarvi avvocata, sindaca
o architetta perché altrimenti «dovremmo dire
anche farmacisto». Succede quando fate un bel lavoro,
ma vi chiedono prima se siete mamma. Quando
siete le uniche di cui non si pronuncia mai il
cognome, se non con un articolo determinativo
davanti. Quando si mettono a spiegarvi qualcosa che
sapete già perfettamente, quando vi dicono di calmarvi, di
farvi una risata, di scopare di più, di smetterla di spaventare
gli uomini con le vostre opinioni, di sorridere piuttosto, e
soprattutto di star zitta.
Quando invece si pronuncia un cognome, lo
troviamo preceduto dall’articolo determinativo:
l’applicazione equivale a comportarsi con il nome
di una persona come si farebbe come un nome di
cosa. Ma ancora se un cognome è affiancato da un
ruolo pubblico, spesso lo si trova declinato al
maschile, sottintendendo che il femminile sia
un’eccezione della norma maschile. Se “il
linguaggio è un’infrastruttura culturale che
riproduce rapporti di potere”, come afferma
Murgia, allora l’imposizione del cosiddetto
“maschile universale” è il modo per dire che si sta
abusivamente occupando il posto di un uomo,
un’anomalia che durerà poco e quindi non c’è
bisogno di trovare una parola esatta che possa
definirlo.
Michela Murgia: “Stai zitta” (EINAUDI)
FONTI
Vera Gheno: Verso l’inclusività linguistica e oltre
https://www.zanichelli.it/download/media/bq5r/10inparita_Gheno_agg.pd
f
Globalist: le parole valgono
https://culture.globalist.it/saperi/2020/11/18/per-la-treccani-le-parole-
sono-importanti-come-disse-nanni-moretti/
Intervista audio a Vera Gheno
https://www.radiocittafujiko.it/sessismo-e-linguaggio-vera-gheno-ci-
spiega-le-parole-per-non-dirlo/
La donna a caso, account Instagram:
https://www.instagram.com/ladonnaacaso/
Manifesto di Venezia
https://www.fnsi.it/upload/70/70efdf2ec9b086079795c442636b55fb/0d8d3795eb7d18fd322e84ff5
84d.pdf
Testo unico doveri del giornalista
https://www.odg.it/testo-unico-dei-doveri-del-giornalista/24288
Lorenzo Tosa- Generazione Antigone
https://www.facebook.com/lorenzotosa.antigone
Giulia Globalista .Bruno Vespa e Lucia Panigalli
https://giulia.globalist.it/attualita/2019/09/18/bruno-vespa-da-in-pasto-al-pubblico-la-sopravvissuta-di-femminicidio/
Come non si racconta un femminicidio
https://www.ultimavoce.it/raccontare-il-femminicidio/
“Il gigante buono”. La denuncia di ODG Toscana
https://www.odg.toscana.it/archivio-news/le-violenze-di-genere-e-le-parole-sbagliate_1032.html
La riflessione di Valigia Blu sugli errori del giornalismo
https://www.valigiablu.it/giornalismo-violenza-sulle-donne-errori/
Festival La violenza illustrata
https://festivallaviolenzaillustrata.it
Donne, grammatica e media: pubblicazione
https://www.lettere.uniroma1.it/sites/default/files/1134/donne_gra
mmatica_media.pdf
Convenzione di Istanbul
https://www.lifegate.it/convenzione-di-istanbul-10-anni
Intervista ad Alessandra Mancuso
https://www.youtube.com/watch?v=rdGRAGWVCX8
GRAZIE
rosamariadinatale@yahoo.it

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Il Manifesto di Venezia, storia, redazione, attesa per un osservatorio (deontologia per giornalisti). Violenza e sessismo nell'informazione

  • 1. Il manifesto di Venezia: storia, redazione e l’attesa per un Osservatorio Corso di formazione per i giornalisti ODG Siracusa 22-10-2022 Catania 5-11-2022 Rosa Maria Di Natale-giornalista Violenza e sessismo nell’informazione
  • 2. Di cosa parleremo • -Il Manifesto di Venezia: storia e aggiornamenti • -L’assunto: le parole valgono • -Le radici culturali del sessismo • -Narrazione tossica della violenza
  • 5. Focus: - Sul modo con cui le donne vengono descritte dalla lingua italiana contemporanea, e in particolare all’uso della forma maschile anziché femminile per i titoli professionali e per i ruoli istituzionali ricoperti sempre più spesso da donne (ministro/ministra; architetto/architetta; il giudice/la giudice; il presidente/la presidente; il senatore/ la senatrice, ma sempre infermiera; fioraia; maestra; operaia; parrucchiera). - Sulle proposte operative, utili a far superare dubbi e perplessità̀ circa l’adozione del genere femminile per i nomi professionali e istituzionali «alti», suggerendo soluzioni di facile applicazione e di «buon senso» Nicoletta Maraschio presidente onoraria dell’Accademia della Crusca
  • 8.
  • 9.
  • 12. 2/ COME NASCE IL MANIFESTO DI VENEZIA
  • 13. Da un’idea… - del Sindacato giornalisti del Veneto Insieme a Commissione Pari Opportunità FNSI, Giulia Giornaliste - Redazione “dal basso” - Lavorazione collettiva della bozza con giornaliste - I vari punti vengono discussi ed emendati nel corso di varie riunioni, anche da giornalisti presenti nella CPO - la scelta è di aprire le prime sottoscrizioni SOLO A GIORNALISTE/GIORNALISTI proprio perché si tratta di uno strumento che la categoria si è voluta dare - Manifesto e non Carta perché “il cambiamento culturale si fa ragionando, attraverso la formazione e il confronto e non attraverso la sanzione” (A.Mancuso) -Ma nel 2021 il Testo unico dei doveri del giornalista aggiornato, ha recepito questo tema introducendo nella deontologia la necessità di una narrazione corretta per le donne evitando stereotipi, espressioni ed immagini lesive, curando linguaggio rispettoso.
  • 14. Era il 25 novembre 2017 quando a Venezia è stato tenuto a battesimo il Manifesto per il rispetto e la parità di genere nell’informazione promosso ed elaborato dalle commissioni Pari Opportunità di Fnsi (Federazione Nazionale Stampa italiana) e Usigrai (il sindacato dei giornalisti Rai), con l’associazione GiULiA Giornaliste e il Sindacato giornalisti Veneto. Quello che è ormai conosciuto come “Manifesto di Venezia” raccoglie una serie di raccomandazioni su come raccontare il dramma della violenza sulle donne. Un impegno in prima persona nel promuovere un linguaggio rispettoso della persona e della parità di genere. Un atto condiviso per cambiare il linguaggio e liberare le parole dalla violenza, grazie alle azioni di sensibilizzazione sul tema portate avanti dalla Fnsi e dalle sue articolazioni territoriali, dagli Ordini regionali, con corsi di formazione ad hoc e iniziative comuni con il mondo della scuola, dell’università, delle professioni, dell’associazionismo, del sindacato.
  • 15. 2/ COME NASCE IL MANIFESTO DI VENEZIA
  • 16.
  • 17.
  • 18. CONVENZIONE DI ISTANBUL- NOTA: Entrato in vigore nel 2014 alla ratifica del decimo paese firmatario: il 12 marzo 2012 la Turchia è anche stato il primo paese a ratificarlo. Primo strumento internazionale vincolante che crea un quadro giuridico completo per proteggere le donne da qualsiasi forma di violenza, e previene, persegue ed elimina la violenza contro le donne e la violenza domestica. La Convenzione istituisce anche un meccanismo di controllo specifico per la sua applicazione. Perché si chiama Convenzione di Istanbul se Istanbul non c’è Nel 2011 la Turchia era tra i più convinti sostenitori del trattato, che infatti fu firmato a Istanbul, ideale ponte – non solo geografico – tra l’Europa e l’Asia. Ne ha ritirato l’adesione nel 2020 (Erdogan: “Minaccia i diritti di famiglia”).
  • 19.
  • 20.
  • 21. Femmicidio e femminicidio sono due termini specifici che definiscono in maniera non neutra gli omicidi contro le donne, in tutte le loro manifestazioni, per motivi legati al genere. Questi tipi di uccisione che colpiscono la donna perché donna non costituiscono incidenti isolati, frutto di perdite improvvise di controllo o di patologie psichiatriche, ma si configurano come l’ultimo atto di un continuum di violenza di carattere economico, psicologico, fisico o sessuale. Il femmicidio, dall'inglese femicide, è un termine criminologico introdotto per la prima volta dalla criminologa femminista Diana H. Russell all'interno di un articolo del 1992 per indicare le uccisioni delle donne da parte degli uomini per il fatto di essere donne (a). Secondo quanto formulato da Diana Russell “il concetto di femmicidio si estende al di là della definizione giuridica di assassinio e include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l'esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine”.
  • 22. I primi riferimenti ufficiali dei termini “femmicidio”/“femminicidio” si ritrovano all’interno della Risoluzione del Parlamento europeo (PE) dell’11 ottobre 2007 sugli assassinii di donne (femmicidi) in Messico e America Centrale e sul ruolo dell’Unione Europea nella lotta contro questo fenomeno, nonché nel Rapporto annuale sui diritti umani presentato dal PE nel 2010, in cui se ne ribadisce la condanna. Di femmicidio/femminicidio si discute poi nelle linee guida dell’Unione Europea sulla violenza contro le donne adottate dal Consiglio dell’UE nel 2008 e nel giugno 2010 l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea, Catherine Ashton, esprimendo le proprie preoccupazioni sui femminicidi in America Latina, ha definito “tutte le forme di violenza di genere come aberranti crimini di femminicidio”.
  • 23.
  • 24.
  • 25.
  • 26.
  • 27. Intervista ad Alessandra Mancuso Guarda l’intervista: https://www.youtube.com/watch?v=rdGRAGWVCX8
  • 28. LE RADICI CULTURALI DELLE PAROLE SESSISTE Nel caso delle questioni di genere è molto difficile eradicare gli “ismi” (sessismo, maschilismo ecc) solo tramite l’uso delle parole. Ma le parole che usiamo sono parte del problema (Gheno)
  • 29. Essere chiamati dai giornalisti con il nome proprio, in un impeto tutto italiano di familiarità non richiesta e sminuente. Riduzione della distanza=annullamento di autorevolezza 2020
  • 30. Donna… ma senza nome Riduzione della distanza=annullamento di autorevolezza ? Louise Gluck 2020 ?Jennifer Doudna (Università di Berkeley) e Emmanuelle Charpentier (Max Planck di Berlino)
  • 31. Chi è: Vanessa Nakate, una laurea in economia aziendale alla Makerere University Business School, è stata la prima attivista del Fridays for Future in Uganda. (una Vanessa a caso) Riduzione della distanza=annullamento di autorevolezza 2021
  • 32. … ma spesso sono le giornaliste a essere vittime. A conferma che il problema prescindere dalla notorietà e dalla professione Riduzione della distanza=annullamento di autorevolezza 2020
  • 33. 2021
  • 34. 2022 Usare inoltre l’articolo determinativo davanti al cognome riduce la persona allo status di cosa
  • 35. La sfera domestica invade il linguaggio dei media quando si parla di sembra rilevante il fatto che Tania Cagnotto, Elisa Di Francisca e Flavia Pennetta prima di essere delle atlete siano soprattutto delle madri, come fa notare “La Gazzetta dello Sport” in un articolo del 2020. 2022
  • 36. 2022 Le non madri allora sono disumane?
  • 38. Vera Gheno: Il ​sessismo linguistico​ è la manifestazione linguistica della mentalità, dei comportamenti sociali, dei giudizi e pregiudizi culturali venati di (o viziati da) sessismo. È bene chiarire che una lingua come l’italiano di per sé non è definibile sessista: può esserlo, invece, l’uso che ne facciamo. In Italia numerosi studi, a partire dal lavoro “Il sessismo nella lingua italiana” di Alma Sabatini, pubblicato nel 1987 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, hanno messo in evidenza che la figura femminile viene spesso svilita dall’uso di un linguaggio stereotipato che ne dà un’immagine negativa, o quanto meno subalterna rispetto all’uomo. Il patriarcato nel linguaggio: L’Italia si è liberata tardi dal delitto d’onore, dal matrimonio riparatore e dall’abbandono di un neonato per onore (- legge 442, appena 41 anni fa).
  • 39. Il diritto di cronaca non può trasformarsi in un abuso. “Ogni giornalista è tenuto al “rispetto della verità sostanziale dei fatti”. Non deve cadere in morbose descrizioni o indulgere in dettagli superflui, violando norme deontologiche e trasformando l’informazione in sensazionalismo». (Manifesto di Venezia 2017) NARRAZIONE TOSSICA DELLA VIOLENZA
  • 40. “L’amava, ma lei l’aveva respinto”. “Un gigante buono incapace di fare del male”. “Voleva tornare con lei, ma la donna aveva deciso di chiudere il rapporto”. “Un raptuspertroppoamore”. L’elenco delle parole sbagliate per raccontare la violenza sulle donne si arricchisce, ad ogni femminicidio, di nuove giustificazioni per il colpevole e di nuove coltellate alla vittima, che scompare, non solo fisicamente: è una figura marginale nella ricostruzione, verso di lei non c’è rispetto, al massimo attenzione morbosa. Stereotipi
  • 41. Bruno Vespa a “Porta a Porta”, alle prese con il caso sopravvissuta di femminicidio, Lucia Panigalli. La vittima si esponeva per denunciare la sua paura e per promuovere una proposta di legge presentata con la senatrice Laura Boldrini che permettesse di modificare l’articolo 115 del codice penale e di punire il mandante di un tentato omicidio. Ma… 2019
  • 42. «Signora, se avesse voluto ucciderla l’avrebbe fatto». «Posso chiederle di che cosa si era innamorata?» «18 mesi sono un bel flirtino però…» «A differenza di tante altre donne è protetta. Non corre rischi». «Quindi lui era così follemente innamorato di lei da non volerla dividere se non con la morte, finché morte non vi separi come si dice». (Vespa) Lorenzo Tosa, Generazione Antigone
  • 44.
  • 45. 2019 Le Commissioni Pari Opportunità della Fnsi, del Consiglio Nazionale dell'Ordine, dell'Usigrai e dell'Associazione Gìulìa giornaliste denunciano la mancata applicazione del Manifesto di Venezia in riferimento al titolo de "Il Giornale”, "Il gigante buono e quell'amore non corrisposto”, sul caso di femminicidio avvenuto a Piacenza.
  • 46. Il 26 dicembre, a Casalbordino in provincia di Chieti, una donna di 72 anni, Maria Rita Conese, è stata uccisa dal marito, Angelo Bernardone. La notizia riportata su tutti i giornali, lascia quasi intendere che la malattia della donna (Alzheimer) possa in qualche modo giustificare il femminicidio. 2021
  • 47. Gli errori macroscopici: Assumere il punto di vista di chi commette il femminicidio (raccontare la vicenda dal punto di vista del carnefice , mai della vittima). Ricerca ossessiva del movente Il movente sarebbe la “malattia irreversibile” di Maria Rita Conese, con la quale il marito non riusciva più a convivere. Sembra quasi che la vera vittima di questa situazione sia proprio Angelo Bernardone che, non riuscendo più a gestire la malattia della moglie, ha deciso di ucciderla. Empatizzare con il femminicida Raccontando la vicenda dal punto di vista di chi commette il femminicidio e andando alla ricerca del movente a tutti i costi, è molto più semplice empatizzare con il femminicida, giustificando l’atto. Definire il femminicida in un modo particolare Su tutti i giornali Angelo Bernardone è stato presentato come “il pensionato”. Come se il fatto di essere un uomo anziano possa rappresentare un’attenuante.
  • 48. Ad esempio, quando a compiere il femminicidio è un uomo di nazionalità estera, viene usato il termine “immigrato” per sottolineare l’eccezionalità dell’accaduto. Come se un italiano non possa commettere un femminicidio. O, ancora, quando il femminicida è un uomo disoccupato, questo termine viene evidenziato più volte per favorire l’empatia nei confronti di quest’ultimo. In tutti questi casi, l’attenzione si sposta dalla vittima al carnefice. Raccontare le opinioni di chi conosce il femminicida Nel caso in questione ad essere intervistato è stato il sindaco di Casalbordino, Filippo Marinucci, il quale ha commentato in questo modo la notizia: «Forse un gesto disperato, di impeto: in paese Bernardone era conosciuto come una brava persona. Siamo davvero colpiti, nulla avrebbe fatto presagire questa tragedia» Queste parole ci conducono in fretta al prossimo punto: Il raptus Si associa quanto accaduto ad una patologia psichiatrica. In questo modo lasciano intendere che il femminicida abbia commesso il crimine a causa di un’alterazione dello stato emotivo che gli ha fatto perdere il controllo delle sue azioni. (da: Ultimavoce.it, link nelle fonti)
  • 49. 2022
  • 50. LE PAROLE VALGONO/LETTURE Grande privilegio dell’ essere umano, le parole consentono di comunicare, tramandare saperi, suscitare emozioni, fare cose eccezionali, sconfiggere tortura e pena di morte, resistere al nazifascismo. Tuttavia in certi periodi sono state usate come armi di offesa. Oggi è ancora così.
  • 51. Il trattato Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria mise a nudo nel XVIII secolo l’assurdità della tortura e della pena di morte, attraverso una serie di domande continue e insistenti, con l’obiettivo di coinvolgere il lettore trasmettendogli la meraviglia della ragione di fronte all’irrazionale. «in un periodo infausto della nostra storia, conclusosi con una guerra che ha condotto alla morte circa cinquecentomila italiani, parole come giudeo, pietista, sovversivo sono state usate per perseguitare italiani di religione ebraica e per distruggere oppositori politici con la violenza degli epiteti scagliati contro chi osava dissentire. Il male fatto a costoro veniva liquidato con un “Me ne frego”; l’importante era “credere, obbedire, combattere”». (Della Valle)
  • 52. Quando si parla o si scrive, le parole chiave da tenere a mente sono consapevolezza e responsabilità. Consapevolezza, perché dobbiamo essere consapevoli delle parole che usiamo e renderci conto del messaggio che passiamo, e responsabilità, perché dobbiamo tenere a mente che ciò che esprimeremo potrà avere delle conseguenze sugli altri. La vera libertà di una persona passa dalla conquista delle parole (i messaggi chiave di Vera Gheno, sociolinguista, al festival La Violenza illustrata 2020 ) http://www.radiocittafujiko.it/sessismo-e-linguaggio-vera-gheno-ci-spiega-le- parole-per-non-dirlo/ AUDIO
  • 53. Se si è donna, in Italia si muore anche di linguaggio. È una morte civile, ma non per questo fa meno male. È con le parole che ci fanno sparire dai luoghi pubblici, dalle professioni, dai dibattiti e dalle notizie, ma di parole ingiuste si muore anche nella vita quotidiana, dove il pregiudizio che passa per il linguaggio uccide la nostra possibilità di essere pienamente noi stesse. Per ogni dislivello di diritti che le donne subiscono a causa del maschilismo esiste un impianto verbale che lo sostiene e lo giustifica. Accade ogni volta che rifiutano di chiamarvi avvocata, sindaca o architetta perché altrimenti «dovremmo dire anche farmacisto». Succede quando fate un bel lavoro, ma vi chiedono prima se siete mamma. Quando siete le uniche di cui non si pronuncia mai il cognome, se non con un articolo determinativo davanti. Quando si mettono a spiegarvi qualcosa che sapete già perfettamente, quando vi dicono di calmarvi, di farvi una risata, di scopare di più, di smetterla di spaventare gli uomini con le vostre opinioni, di sorridere piuttosto, e soprattutto di star zitta.
  • 54. Quando invece si pronuncia un cognome, lo troviamo preceduto dall’articolo determinativo: l’applicazione equivale a comportarsi con il nome di una persona come si farebbe come un nome di cosa. Ma ancora se un cognome è affiancato da un ruolo pubblico, spesso lo si trova declinato al maschile, sottintendendo che il femminile sia un’eccezione della norma maschile. Se “il linguaggio è un’infrastruttura culturale che riproduce rapporti di potere”, come afferma Murgia, allora l’imposizione del cosiddetto “maschile universale” è il modo per dire che si sta abusivamente occupando il posto di un uomo, un’anomalia che durerà poco e quindi non c’è bisogno di trovare una parola esatta che possa definirlo. Michela Murgia: “Stai zitta” (EINAUDI)
  • 55. FONTI Vera Gheno: Verso l’inclusività linguistica e oltre https://www.zanichelli.it/download/media/bq5r/10inparita_Gheno_agg.pd f Globalist: le parole valgono https://culture.globalist.it/saperi/2020/11/18/per-la-treccani-le-parole- sono-importanti-come-disse-nanni-moretti/ Intervista audio a Vera Gheno https://www.radiocittafujiko.it/sessismo-e-linguaggio-vera-gheno-ci- spiega-le-parole-per-non-dirlo/ La donna a caso, account Instagram: https://www.instagram.com/ladonnaacaso/
  • 56. Manifesto di Venezia https://www.fnsi.it/upload/70/70efdf2ec9b086079795c442636b55fb/0d8d3795eb7d18fd322e84ff5 84d.pdf Testo unico doveri del giornalista https://www.odg.it/testo-unico-dei-doveri-del-giornalista/24288 Lorenzo Tosa- Generazione Antigone https://www.facebook.com/lorenzotosa.antigone Giulia Globalista .Bruno Vespa e Lucia Panigalli https://giulia.globalist.it/attualita/2019/09/18/bruno-vespa-da-in-pasto-al-pubblico-la-sopravvissuta-di-femminicidio/ Come non si racconta un femminicidio https://www.ultimavoce.it/raccontare-il-femminicidio/ “Il gigante buono”. La denuncia di ODG Toscana https://www.odg.toscana.it/archivio-news/le-violenze-di-genere-e-le-parole-sbagliate_1032.html
  • 57. La riflessione di Valigia Blu sugli errori del giornalismo https://www.valigiablu.it/giornalismo-violenza-sulle-donne-errori/ Festival La violenza illustrata https://festivallaviolenzaillustrata.it Donne, grammatica e media: pubblicazione https://www.lettere.uniroma1.it/sites/default/files/1134/donne_gra mmatica_media.pdf Convenzione di Istanbul https://www.lifegate.it/convenzione-di-istanbul-10-anni Intervista ad Alessandra Mancuso https://www.youtube.com/watch?v=rdGRAGWVCX8