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13 giugno 2022
Mi chiamo Andrea Camorrino
Sono socio, direttore commerciale
e consulente di comunicazione politica
dell’agenzia di comunicazione Proforma
Il 7 gennaio 2019 il cosiddetto “Governo gialloverde”
approva in Consiglio dei ministri un decreto legge
per salvare la banca CARIGE. Esso prevede delle
norme che, secondo l’opposizione, sono identiche
a quelle usate per una misura simile nel 2016 dal
Governo Gentiloni e che il Movimento 5 stelle, di cui
Di Maio era leader, aveva criticato con ogni mezzo.
Di lì si sviluppa, principalmente da parte del Partito
Democratico, una polemica che tiene banco per molti
giorni, in particolar modo sulla sfrontatezza con la quale
un attore politico, dopo avere costruito parte del
proprio consenso contro l’establishment che sta con le
banche e contro i cittadini, presenta un provvedimento
presuntamente identico.
Il giorno dopo l’approvazione del Decreto, dunque,
l’allora ministro del lavoro, delle politiche sociali e
dello sviluppo economico, pubblica
un post su Facebook con il quale fa chiarezza, dal suo
punto di vista.
La posizione è netta, non fraintendibile: si tratta di
due leggi completamente diverse.
Fortunatamente, questa è una di quelle rare
circostanze, in politica, in cui si può sapere con
certezza chi dica il vero e chi il falso, in tempo
reale. Basta leggere e comparare le due leggi.
Diversi organi di stampa, nelle ore seguenti, si
dedicarono a questa attività.
Riportiamo qui, per l’efficace sintesi, il testo pubblicato
dall’agenzia AGI, ma googlando si troverà che, da Il Sole 24
ore a Il Fatto Quotidiano tutti giunsero alla stessa conclusione.
(Fonte: https://www.agi.it/fact-checking/salvataggio_carige_salva_banche_pd-4816652/news/2019-01-10/)
Dunque, un ministro di primaria importanza, nonché
vicepremier di uno dei 7 Paesi più industrializzati al
mondo, aveva mentito al suo Paese su un tema anche
delicato, in modo indubitabile. Cosa successe nei giorni
seguenti? Un terremoto politico? Una richiesta di
chiarimenti da parte di partner di Governo? Dimissioni
immediate?
Non esattamente. Quello che successe fu: niente.
Pochi giorni prima, l’istituto Winpoll aveva sottoposto a sondaggio il
tema (1.500 casi, metodo CATI/CAWI), ottenendo il seguente esito:
Questi dati potrebbero rilevare che i sostenitori di una parte
politica sono pronti a sostenere la tesi dei propri
rappresentanti, quale che sia.
Ma è necessario aggiungere di più: sono pronti a sostenere
la tesi dei propri rappresentanti, di cui si fidano.
In quello stesso sondaggio, il Movimento 5 stelle era dato al
24,5%; la Lega al 32,4%; Fratelli d’Italia al 4,9% e un (allora) ipotetico
partito di Renzi un solo decimale sotto il 9%!
Stiamo parlando di 3 anni fa, non 30.
La stessa identica situazione rappresentata in apertura, dunque,
con gli stessi attori, riproposta oggi, avrebbe probabilmente un
esito diverso.
Perché, sul proscenio pubblico (ma non vale forse anche in
quello privato?), una qualità è fondamentale: la credibilità.
In Italia abbiamo una case history esemplare, da questo
punto di vista.
E che noi abbiamo potuto seguire da vicino, avendo
lavorato con lui e con il partito che rappresentava in tre
occasioni.
Stiamo parlando della parabola di Matteo Renzi.
67,8% 40,8%
18,76 % Camera / 19,14 % Senato
Come si può dilapidare un consenso personale e di partito così
elevato (pur se qui abbiamo messo a confronto elezioni non
omogenee, per comodità di esposizione)?
La risposta più plausibile ruota esattamente attorno al
concetto di credibilità (ancora più basico rispetto a quello di
reputazione).
Ma come si definisce la credibilità, in politica?
Su tutto, con la politica.
Non esistono stratagemmi, trucchi, tattiche, presunti
guru della comunicazione che possano più della
valutazione degli elettori rispetto alle decisioni
politiche del leader di turno.
Il popolo vota sempre sapendo cosa fa.
Una buona comunicazione aiuta a far risaltare le scelte
politiche. Può avere un effetto moltiplicatore su un
fattore già alto.
Una cattiva comunicazione può al contrario deprimere
un buon risultato.
Ma nessuna buona, anche ottima, comunicazione
può far cambiare di segno alla percezione di quanto
fatto.
La “politica” è sempre un insieme di diversi elementi: quelli
valoriali, quelli delle scelte fatte o non fatte, quelli della coerenza
tra ciò che si dice e ciò che si fa, quelli della biografia di chi la
rappresenta in quel dato momento, quelli legati alla
comunicazione di tutto questo. L’insieme di tutte queste voci (e
altre potrebbero essere enumerate) restituisce, anche, la
credibilità di una posizione politica.
La politica ha bisogno di credibilità.
La credibilità ha bisogno di politica.
Il Renzi “rottamatore”, il giovane e sfacciato sindaco di
Firenze che sfida la gerontocrazia imperante da decenni
sul proscenio nazionale interpretata sempre dalle stesse
figure politiche è persona molto diversa dal segretario del
PD che si presenta alle elezioni dopo essere stato
premier, essersi dimesso e, soprattutto, essere tornato.
Una delle cose peggiori che possano capitare è farsi
incastrare in un “frame” narrativo.
Egli diventa premier subendo la narrazione dell’ #enricostaisereno, sfida
politicamente molti tabù della sua parte politica (su tutti: l’art.18) fidandosi
della immutabilità della forza della propria immagine, e infine trasforma il
referendum costituzionale in un referendum su di sé, con la promessa
solenne che, se avesse perso, avrebbe lasciato la politica.
In ognuno di questi passaggi (ancora una volta: riportati
schematicamente per facilità di esposizione) egli ha esposto un
pezzetto della fiducia riposta in lui.
Fino all’ultimo passaggio, quello del tradimento
della parola di lasciare tutto all’indomani della
sconfitta del referendum, che gli è valsa la perdita
definitiva di credibilità.
Il risultato è stato che, tra la parola di Di Maio e
quella di Renzi, la prima fosse, nel gennaio del
2019, più credibile della seconda,
indipendentemente da quel che sostenesse.
Possiamo vederla anche da un altro punto di vista: Matteo
Renzi si è fidato moltissimo di se stesso (non per nulla la
formula “se perdo lascio la politica” era già stata da lui usata
in precedenti occasioni locali, un all in che fino a quel
momento aveva sempre corrisposto alla seguente vincita
del piatto intero).
Il tema dell’autopercezione, della bolla di riferimento,
della capacità di scelta del proprio naso è uno di quelli di
enorme rilevanza (ed è spesso sottovalutato).
Evidentemente, un leader – politico o meno, vale anche per un
dirigente d’azienda – si espone all’azzardo delle proprie scelte, delle
proprie intuizioni, delle proprie decisioni. In una parola: della propria
visione, senza la quale non sarebbe un leader.
Il fatto è che ogni scelta andrebbe sempre ponderata interpretando
quanti più dati possibili, circondandosi di persone che sappiano
offrire sguardi diversi. Questo non evita errori, o persino salti nel buio,
perché un leader deve potere andare controcorrente, suggerire
soluzioni che altri non vedono, ma evita quelli più macroscopici.
Evita quelli… evitabili.
Nel nostro mestiere, diversi sono stati i casi in cui, se
avessimo seguito il naso del committente, avremmo
sbagliato clamorosamente la proposta di strategia di
comunicazione.
È stato ad esempio il caso di quella grande azienda in
ambito food che serve anche grandi strutture pubbliche
e private e che ci chiede di lavorare al suo brand, a
partire dal posizionamento del marchio, con un
avvertimento: “Siamo malvisti, parlano male di noi”.
Noi imponiamo di partire con un sondaggio, perché
abbiamo bisogno di sapere cosa pensino cittadine e
cittadini di quel marchio e, se confermata l’indicazione,
quali siano i motivi di questa opinione negativa, visto che
l’azienda offre in partenza un ottimo servizio rispettando
parametri altissimi di qualità, alcuni dei quali superiori
agli standard di legge o comunque alla concorrenza.
La risposta è ben sintetizzata nella slide che segue.
Avere dei dati scientifici che aiutano nella analisi e nella
elaborazione di strategie è fondamentale e, nonostante possa
sembrare scontato, nella nostra esperienza non lo è affatto.
E, quando anche si procede con sondaggi e metriche, troppo
spesso ci si ferma al mero dato quantitativo, alle risposte che
sono solo la conclusione del percorso decisionale del
rispondente, senza valutare i motivi della formazione di quella
opinione, il dato qualitativo (anche se presente in slide sfogliate
molto velocemente dal nostro interlocutore).
Attenzione: il sondaggio non serve a fare quello che “dice la
gente”, ma a conoscere quello che la “gente” pensa (del partito,
del politico, della legge, della azienda, del manager, delle scelte
aziendali, del prodotto, dei valori sottostanti, etc….) e ad utilizzare
questo dato, unendolo a mille altri che vanno cercati (e
interpretati) internamente, allo studio dei competitor e a tutti quei
numeri indispensabili, al leader per prendere le proprie scelte, al
consulente sulla comunicazione per formulare una strategia per
raccontarle al meglio.
Ed infatti anche chi fa il nostro mestiere deve saper leggere i
dati, deve esigerli dal committente e deve imporli a se
stesso, non deve mai accontentarsi di quel che già ha visto,
perché anche poche variabili diverse possono cambiare il
quadro di riferimento e il giusto suggerimento da proporre.
Ma anche per chi fa il nostro mestiere esiste poi una quota
forte di artigianato, di lavoro fatto a mano, di intuito, a
volte di azzardo che, condiviso con il committente,
comporta un rischio.
Facciamo l’esempio più scabroso:
la gestione della notizia di un avviso di garanzia.
Che si tratti di una azienda o di un soggetto politico-
istituzionale, la delicatezza di una informazione del
genere, e della sua amministrazione, è enorme. C’è in
gioco la reputazione del committente. Se si tratta di un
politico, la sua carriera personale. Se si tratta di una
azienda, il suo mercato.
E qui è necessaria una veloce digressione.
Il sistema informativo italiano ci ha abituati al costante
tradimento dei princìpi fondamentali del più basilare
garantismo. Veline girate dalle stanze del Tribunale ai
giornali prima ancora che l’indagato sappia nulla, titoli a nove
colonne in prima pagina sull’avviso di garanzia trattato come
attestato di colpevolezza e trafiletti in improbabili pagine
interne per dire anni dopo della assoluzione con formula
piena.
Nel mezzo, Governi che cadono, percorsi personali distrutti,
talvolta esiti fatali, aziende che perdono commesse e
credibilità sui mercati.
Non si tratta solo di scelte di linea politico-editoriale, ma di un
sistema basato sullo strillo, sull’invettiva, sul clickbait, per
una copia (e ormai sono pochissime) o una lead in più.
Con la beffa, oltre il danno, di vedere poi accusati i politici di
voler fare solo le prime donne senza contenuti; o l’accusa ai
social media di essere dozzinali, di spargere fake news, di
essere “i cattivi” contro i media mainstream che sarebbero “i
buoni”. Quando questi ultimi hanno avuto solo eccellenti
pessimi maestri.
Fine della digressione.
Questa parentesi però è essenziale perché ci ricorda in che
ecosistema si muove il consulente sulla comunicazione. Che
deve tenere conto di quello, di come era percepito il
committente un attimo prima della notizia (nuovamente:
quello fortemente credibile avrà più facilità a sostenere la
propria tesi anche in questo contesto), di tutti i possibili
scenari che si determineranno a cascata.
E deve rispondere alla prima domanda del cliente, sempre
la stessa: “forse se stiamo zitti la cosa passa inosservata?”
E la risposta è: nove volte su dieci stare fermi è un errore.
Perché lo scopo finale, nel segmento di mercato sul quale si
sta operando, è quello di dettare l’agenda, non di essere
raccontati dagli altri. Noi possiamo stare zitti, non staranno
zitti gli altri, parlando di noi. Incastrandoci nel frame che
preferiranno loro.
Due esempi:
1) figura politica di primo piano. Trafiletto in pagina interna
su una possibile inchiesta che avrebbe riguardato la sua
famiglia.
Noi proponiamo di uscire subito con una nostra dichiarazione.
L’invito non viene raccolto perché “se stiamo zitti forse non
succede niente. Se parliamo siamo noi ad amplificare la
notizia e da trafiletto diventa apertura di prima pagina”.
Esito: la notizia è la perfetta palla di neve che di giorno in
giorno diventa sempre più grande fino a diventare il tema
prevalente della discussione politica.
Quando alla fine si è costretti ad uscire con una
dichiarazione è troppo tardi. Il frame è quello degli altri.
Ancora oggi.
(P.s.: al momento nessuno della famiglia è stato giudicato colpevole).
2) Grande azienda che lavora anche con soggetti pubblici.
Un grande progetto viene indagato per delle procedure
giudicate poco trasparenti e presuntamente illecite. Il nostro
committente era uno dei soggetti che partecipava al progetto e
quindi viene buttato dentro gli articoli e nei titoli, dove vengono
mischiate notizie corrette con altre completamente errate.
La loro policy, in casi simili, fino a quel momento era stata far
parlare l’eccellenza del lavoro. Ma su google il primo risultato
su di loro continuavano ad essere gli articoli a tema “illeciti”.
Noi, loro consulenti da poco, proponiamo di stilare un
comunicato stampa, dopo seduta congiunta con i loro legali.
Mettiamo i puntini sulle “i”, nei limiti di quanto si può dire per
rimanere nel ed esprimere il pieno rispetto del lavoro della
magistratura. Ma si cerca di comunicare nella più totale
trasparenza, sui giornali, sui social, sul sito aziendale.
Nel mentre, si comunicano i progetti di eccellenza che si stanno
seguendo con successo.
Il comunicato parte, viene ripreso da tutti, il giorno dopo.
Rimettendo la situazione in pari.
Su google il primo risultato interrogando il loro nome è oggi
l’eccellenza del loro lavoro.
Ci sono però circostanze nelle quali è più sensato stare fermi.
Ad esempio quando la centralità della comunicazione è su altro,
quando si viene usati al solo scopo di attaccare altri, e intervenire
per difendersi rischia di spostare il fuoco su di noi, senza che ce
ne sia bisogno.
Meglio stare sulla graticola per un giorno, aspettando che i veri
soggetti dell’attacco si scannino tra loro, scomparendo noi nei
giorni seguenti, che difendersi (come di istinto si vorrebbe fare)
ed entrare a far parte del gioco per tutto il tempo a seguire.
Ma scriverlo così è facile.
In verità, sono poche le circostanze nelle quali il quadro è
talmente chiaro che la strada da proporre è evidente.
Di nuovo: la maggior parte delle volte, si tratta di
studiare dati, il caso di specie, conoscere il
posizionamento del committente, quello di tutto il
contesto e poi, certo, affidarsi all’esperienza.
Con una consapevolezza: si può sbagliare.
Non esistono algoritmi salvifici, solo studio ed
esperienza.
E, ovviamente, un committente con dei contenuti (o
prodotti) forti e una biografia (personale o aziendale)
credibile.
Nessuna strategia geniale di comunicazione potrà mai
veicolare in modo vincente un prodotto scadente o una
tesi debole o incoerente con il profilo di chi la esprime.
1 - Nella comunicazione politico/istituzionale, come in
quella aziendale, quello che conta davvero sono i
contenuti.
La loro organizzazione, la strategia della loro
divulgazione è parte integrante di una buona politica, di
una buona comunicazione aziendale, di brand, di
prodotto. Senza di essa, la persona, l’azienda, il prodotto,
l’istituzione è mutilata, afona.
Ma non esiste nessun “come” che possa sostituirsi al
“cosa”, al “chi”.
2 – Se il soggetto che parla non è credibile, non sarà
credibile il contenuto di cui parla, anche fosse
autoevidente, anche se la sua comunicazione fosse
ineccepibile.
E la credibilità persa una volta, la si riconquista solo con
tanto tempo di lavoro e grande onestà intellettuale. Non
esistono scorciatoie.
3 – Per comunicare bene occorre avere chiaro il
contesto, gli attori in campo, studiare numeri, avere dati.
Solo dopo, affidarsi alle proprie conoscenze, alla propria
esperienza. Consapevoli che, alla fine di tutto, una dose di
azzardo esisterà sempre, appena usciti fuori dalla comfort
zone.
E che spesso fuori dalla comfort zone ti ci buttano gli
eventi, gli altri.
4 – L’obiettivo da perseguire è quello di dettare
l’agenda, di raccontare in proprio sé stessi, di essere
i primi e più credibili narratori di sé, delle proprie
idee, dei propri prodotti.
La comunicazione (politica): una professione tra sartoria e data analysis

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  • 3.
  • 4. Il 7 gennaio 2019 il cosiddetto “Governo gialloverde” approva in Consiglio dei ministri un decreto legge per salvare la banca CARIGE. Esso prevede delle norme che, secondo l’opposizione, sono identiche a quelle usate per una misura simile nel 2016 dal Governo Gentiloni e che il Movimento 5 stelle, di cui Di Maio era leader, aveva criticato con ogni mezzo.
  • 5. Di lì si sviluppa, principalmente da parte del Partito Democratico, una polemica che tiene banco per molti giorni, in particolar modo sulla sfrontatezza con la quale un attore politico, dopo avere costruito parte del proprio consenso contro l’establishment che sta con le banche e contro i cittadini, presenta un provvedimento presuntamente identico.
  • 6. Il giorno dopo l’approvazione del Decreto, dunque, l’allora ministro del lavoro, delle politiche sociali e dello sviluppo economico, pubblica un post su Facebook con il quale fa chiarezza, dal suo punto di vista. La posizione è netta, non fraintendibile: si tratta di due leggi completamente diverse.
  • 7. Fortunatamente, questa è una di quelle rare circostanze, in politica, in cui si può sapere con certezza chi dica il vero e chi il falso, in tempo reale. Basta leggere e comparare le due leggi. Diversi organi di stampa, nelle ore seguenti, si dedicarono a questa attività.
  • 8. Riportiamo qui, per l’efficace sintesi, il testo pubblicato dall’agenzia AGI, ma googlando si troverà che, da Il Sole 24 ore a Il Fatto Quotidiano tutti giunsero alla stessa conclusione. (Fonte: https://www.agi.it/fact-checking/salvataggio_carige_salva_banche_pd-4816652/news/2019-01-10/)
  • 9.
  • 10. Dunque, un ministro di primaria importanza, nonché vicepremier di uno dei 7 Paesi più industrializzati al mondo, aveva mentito al suo Paese su un tema anche delicato, in modo indubitabile. Cosa successe nei giorni seguenti? Un terremoto politico? Una richiesta di chiarimenti da parte di partner di Governo? Dimissioni immediate? Non esattamente. Quello che successe fu: niente.
  • 11. Pochi giorni prima, l’istituto Winpoll aveva sottoposto a sondaggio il tema (1.500 casi, metodo CATI/CAWI), ottenendo il seguente esito:
  • 12. Questi dati potrebbero rilevare che i sostenitori di una parte politica sono pronti a sostenere la tesi dei propri rappresentanti, quale che sia. Ma è necessario aggiungere di più: sono pronti a sostenere la tesi dei propri rappresentanti, di cui si fidano.
  • 13. In quello stesso sondaggio, il Movimento 5 stelle era dato al 24,5%; la Lega al 32,4%; Fratelli d’Italia al 4,9% e un (allora) ipotetico partito di Renzi un solo decimale sotto il 9%! Stiamo parlando di 3 anni fa, non 30. La stessa identica situazione rappresentata in apertura, dunque, con gli stessi attori, riproposta oggi, avrebbe probabilmente un esito diverso. Perché, sul proscenio pubblico (ma non vale forse anche in quello privato?), una qualità è fondamentale: la credibilità.
  • 14. In Italia abbiamo una case history esemplare, da questo punto di vista. E che noi abbiamo potuto seguire da vicino, avendo lavorato con lui e con il partito che rappresentava in tre occasioni. Stiamo parlando della parabola di Matteo Renzi.
  • 16. 18,76 % Camera / 19,14 % Senato
  • 17. Come si può dilapidare un consenso personale e di partito così elevato (pur se qui abbiamo messo a confronto elezioni non omogenee, per comodità di esposizione)? La risposta più plausibile ruota esattamente attorno al concetto di credibilità (ancora più basico rispetto a quello di reputazione). Ma come si definisce la credibilità, in politica?
  • 18. Su tutto, con la politica. Non esistono stratagemmi, trucchi, tattiche, presunti guru della comunicazione che possano più della valutazione degli elettori rispetto alle decisioni politiche del leader di turno. Il popolo vota sempre sapendo cosa fa.
  • 19. Una buona comunicazione aiuta a far risaltare le scelte politiche. Può avere un effetto moltiplicatore su un fattore già alto. Una cattiva comunicazione può al contrario deprimere un buon risultato. Ma nessuna buona, anche ottima, comunicazione può far cambiare di segno alla percezione di quanto fatto.
  • 20. La “politica” è sempre un insieme di diversi elementi: quelli valoriali, quelli delle scelte fatte o non fatte, quelli della coerenza tra ciò che si dice e ciò che si fa, quelli della biografia di chi la rappresenta in quel dato momento, quelli legati alla comunicazione di tutto questo. L’insieme di tutte queste voci (e altre potrebbero essere enumerate) restituisce, anche, la credibilità di una posizione politica. La politica ha bisogno di credibilità. La credibilità ha bisogno di politica.
  • 21.
  • 22. Il Renzi “rottamatore”, il giovane e sfacciato sindaco di Firenze che sfida la gerontocrazia imperante da decenni sul proscenio nazionale interpretata sempre dalle stesse figure politiche è persona molto diversa dal segretario del PD che si presenta alle elezioni dopo essere stato premier, essersi dimesso e, soprattutto, essere tornato. Una delle cose peggiori che possano capitare è farsi incastrare in un “frame” narrativo.
  • 23. Egli diventa premier subendo la narrazione dell’ #enricostaisereno, sfida politicamente molti tabù della sua parte politica (su tutti: l’art.18) fidandosi della immutabilità della forza della propria immagine, e infine trasforma il referendum costituzionale in un referendum su di sé, con la promessa solenne che, se avesse perso, avrebbe lasciato la politica. In ognuno di questi passaggi (ancora una volta: riportati schematicamente per facilità di esposizione) egli ha esposto un pezzetto della fiducia riposta in lui.
  • 24. Fino all’ultimo passaggio, quello del tradimento della parola di lasciare tutto all’indomani della sconfitta del referendum, che gli è valsa la perdita definitiva di credibilità. Il risultato è stato che, tra la parola di Di Maio e quella di Renzi, la prima fosse, nel gennaio del 2019, più credibile della seconda, indipendentemente da quel che sostenesse.
  • 25. Possiamo vederla anche da un altro punto di vista: Matteo Renzi si è fidato moltissimo di se stesso (non per nulla la formula “se perdo lascio la politica” era già stata da lui usata in precedenti occasioni locali, un all in che fino a quel momento aveva sempre corrisposto alla seguente vincita del piatto intero). Il tema dell’autopercezione, della bolla di riferimento, della capacità di scelta del proprio naso è uno di quelli di enorme rilevanza (ed è spesso sottovalutato).
  • 26. Evidentemente, un leader – politico o meno, vale anche per un dirigente d’azienda – si espone all’azzardo delle proprie scelte, delle proprie intuizioni, delle proprie decisioni. In una parola: della propria visione, senza la quale non sarebbe un leader. Il fatto è che ogni scelta andrebbe sempre ponderata interpretando quanti più dati possibili, circondandosi di persone che sappiano offrire sguardi diversi. Questo non evita errori, o persino salti nel buio, perché un leader deve potere andare controcorrente, suggerire soluzioni che altri non vedono, ma evita quelli più macroscopici. Evita quelli… evitabili.
  • 27. Nel nostro mestiere, diversi sono stati i casi in cui, se avessimo seguito il naso del committente, avremmo sbagliato clamorosamente la proposta di strategia di comunicazione. È stato ad esempio il caso di quella grande azienda in ambito food che serve anche grandi strutture pubbliche e private e che ci chiede di lavorare al suo brand, a partire dal posizionamento del marchio, con un avvertimento: “Siamo malvisti, parlano male di noi”.
  • 28. Noi imponiamo di partire con un sondaggio, perché abbiamo bisogno di sapere cosa pensino cittadine e cittadini di quel marchio e, se confermata l’indicazione, quali siano i motivi di questa opinione negativa, visto che l’azienda offre in partenza un ottimo servizio rispettando parametri altissimi di qualità, alcuni dei quali superiori agli standard di legge o comunque alla concorrenza. La risposta è ben sintetizzata nella slide che segue.
  • 29.
  • 30. Avere dei dati scientifici che aiutano nella analisi e nella elaborazione di strategie è fondamentale e, nonostante possa sembrare scontato, nella nostra esperienza non lo è affatto. E, quando anche si procede con sondaggi e metriche, troppo spesso ci si ferma al mero dato quantitativo, alle risposte che sono solo la conclusione del percorso decisionale del rispondente, senza valutare i motivi della formazione di quella opinione, il dato qualitativo (anche se presente in slide sfogliate molto velocemente dal nostro interlocutore).
  • 31. Attenzione: il sondaggio non serve a fare quello che “dice la gente”, ma a conoscere quello che la “gente” pensa (del partito, del politico, della legge, della azienda, del manager, delle scelte aziendali, del prodotto, dei valori sottostanti, etc….) e ad utilizzare questo dato, unendolo a mille altri che vanno cercati (e interpretati) internamente, allo studio dei competitor e a tutti quei numeri indispensabili, al leader per prendere le proprie scelte, al consulente sulla comunicazione per formulare una strategia per raccontarle al meglio.
  • 32. Ed infatti anche chi fa il nostro mestiere deve saper leggere i dati, deve esigerli dal committente e deve imporli a se stesso, non deve mai accontentarsi di quel che già ha visto, perché anche poche variabili diverse possono cambiare il quadro di riferimento e il giusto suggerimento da proporre. Ma anche per chi fa il nostro mestiere esiste poi una quota forte di artigianato, di lavoro fatto a mano, di intuito, a volte di azzardo che, condiviso con il committente, comporta un rischio.
  • 33.
  • 34. Facciamo l’esempio più scabroso: la gestione della notizia di un avviso di garanzia. Che si tratti di una azienda o di un soggetto politico- istituzionale, la delicatezza di una informazione del genere, e della sua amministrazione, è enorme. C’è in gioco la reputazione del committente. Se si tratta di un politico, la sua carriera personale. Se si tratta di una azienda, il suo mercato. E qui è necessaria una veloce digressione.
  • 35. Il sistema informativo italiano ci ha abituati al costante tradimento dei princìpi fondamentali del più basilare garantismo. Veline girate dalle stanze del Tribunale ai giornali prima ancora che l’indagato sappia nulla, titoli a nove colonne in prima pagina sull’avviso di garanzia trattato come attestato di colpevolezza e trafiletti in improbabili pagine interne per dire anni dopo della assoluzione con formula piena. Nel mezzo, Governi che cadono, percorsi personali distrutti, talvolta esiti fatali, aziende che perdono commesse e credibilità sui mercati.
  • 36. Non si tratta solo di scelte di linea politico-editoriale, ma di un sistema basato sullo strillo, sull’invettiva, sul clickbait, per una copia (e ormai sono pochissime) o una lead in più. Con la beffa, oltre il danno, di vedere poi accusati i politici di voler fare solo le prime donne senza contenuti; o l’accusa ai social media di essere dozzinali, di spargere fake news, di essere “i cattivi” contro i media mainstream che sarebbero “i buoni”. Quando questi ultimi hanno avuto solo eccellenti pessimi maestri. Fine della digressione.
  • 37. Questa parentesi però è essenziale perché ci ricorda in che ecosistema si muove il consulente sulla comunicazione. Che deve tenere conto di quello, di come era percepito il committente un attimo prima della notizia (nuovamente: quello fortemente credibile avrà più facilità a sostenere la propria tesi anche in questo contesto), di tutti i possibili scenari che si determineranno a cascata. E deve rispondere alla prima domanda del cliente, sempre la stessa: “forse se stiamo zitti la cosa passa inosservata?”
  • 38. E la risposta è: nove volte su dieci stare fermi è un errore. Perché lo scopo finale, nel segmento di mercato sul quale si sta operando, è quello di dettare l’agenda, non di essere raccontati dagli altri. Noi possiamo stare zitti, non staranno zitti gli altri, parlando di noi. Incastrandoci nel frame che preferiranno loro.
  • 39. Due esempi: 1) figura politica di primo piano. Trafiletto in pagina interna su una possibile inchiesta che avrebbe riguardato la sua famiglia. Noi proponiamo di uscire subito con una nostra dichiarazione. L’invito non viene raccolto perché “se stiamo zitti forse non succede niente. Se parliamo siamo noi ad amplificare la notizia e da trafiletto diventa apertura di prima pagina”.
  • 40. Esito: la notizia è la perfetta palla di neve che di giorno in giorno diventa sempre più grande fino a diventare il tema prevalente della discussione politica. Quando alla fine si è costretti ad uscire con una dichiarazione è troppo tardi. Il frame è quello degli altri. Ancora oggi. (P.s.: al momento nessuno della famiglia è stato giudicato colpevole).
  • 41. 2) Grande azienda che lavora anche con soggetti pubblici. Un grande progetto viene indagato per delle procedure giudicate poco trasparenti e presuntamente illecite. Il nostro committente era uno dei soggetti che partecipava al progetto e quindi viene buttato dentro gli articoli e nei titoli, dove vengono mischiate notizie corrette con altre completamente errate. La loro policy, in casi simili, fino a quel momento era stata far parlare l’eccellenza del lavoro. Ma su google il primo risultato su di loro continuavano ad essere gli articoli a tema “illeciti”. Noi, loro consulenti da poco, proponiamo di stilare un comunicato stampa, dopo seduta congiunta con i loro legali.
  • 42. Mettiamo i puntini sulle “i”, nei limiti di quanto si può dire per rimanere nel ed esprimere il pieno rispetto del lavoro della magistratura. Ma si cerca di comunicare nella più totale trasparenza, sui giornali, sui social, sul sito aziendale. Nel mentre, si comunicano i progetti di eccellenza che si stanno seguendo con successo. Il comunicato parte, viene ripreso da tutti, il giorno dopo. Rimettendo la situazione in pari. Su google il primo risultato interrogando il loro nome è oggi l’eccellenza del loro lavoro.
  • 43. Ci sono però circostanze nelle quali è più sensato stare fermi. Ad esempio quando la centralità della comunicazione è su altro, quando si viene usati al solo scopo di attaccare altri, e intervenire per difendersi rischia di spostare il fuoco su di noi, senza che ce ne sia bisogno. Meglio stare sulla graticola per un giorno, aspettando che i veri soggetti dell’attacco si scannino tra loro, scomparendo noi nei giorni seguenti, che difendersi (come di istinto si vorrebbe fare) ed entrare a far parte del gioco per tutto il tempo a seguire.
  • 44. Ma scriverlo così è facile. In verità, sono poche le circostanze nelle quali il quadro è talmente chiaro che la strada da proporre è evidente. Di nuovo: la maggior parte delle volte, si tratta di studiare dati, il caso di specie, conoscere il posizionamento del committente, quello di tutto il contesto e poi, certo, affidarsi all’esperienza. Con una consapevolezza: si può sbagliare.
  • 45. Non esistono algoritmi salvifici, solo studio ed esperienza. E, ovviamente, un committente con dei contenuti (o prodotti) forti e una biografia (personale o aziendale) credibile. Nessuna strategia geniale di comunicazione potrà mai veicolare in modo vincente un prodotto scadente o una tesi debole o incoerente con il profilo di chi la esprime.
  • 46.
  • 47. 1 - Nella comunicazione politico/istituzionale, come in quella aziendale, quello che conta davvero sono i contenuti. La loro organizzazione, la strategia della loro divulgazione è parte integrante di una buona politica, di una buona comunicazione aziendale, di brand, di prodotto. Senza di essa, la persona, l’azienda, il prodotto, l’istituzione è mutilata, afona. Ma non esiste nessun “come” che possa sostituirsi al “cosa”, al “chi”.
  • 48. 2 – Se il soggetto che parla non è credibile, non sarà credibile il contenuto di cui parla, anche fosse autoevidente, anche se la sua comunicazione fosse ineccepibile. E la credibilità persa una volta, la si riconquista solo con tanto tempo di lavoro e grande onestà intellettuale. Non esistono scorciatoie.
  • 49. 3 – Per comunicare bene occorre avere chiaro il contesto, gli attori in campo, studiare numeri, avere dati. Solo dopo, affidarsi alle proprie conoscenze, alla propria esperienza. Consapevoli che, alla fine di tutto, una dose di azzardo esisterà sempre, appena usciti fuori dalla comfort zone. E che spesso fuori dalla comfort zone ti ci buttano gli eventi, gli altri.
  • 50. 4 – L’obiettivo da perseguire è quello di dettare l’agenda, di raccontare in proprio sé stessi, di essere i primi e più credibili narratori di sé, delle proprie idee, dei propri prodotti.