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Racconto Fantasy
Jadi
Una donna, con il suo bagaglio di segreti occultati al
mondo come gioielli rubati, si incamminò sulla strada per
l’inferno. L’unica che le sia rimasta, crede. L’ultima a dirla
tutta.
Ma qualcuno la attende ai cancelli. Per presentarle il
conto.
Sono un lettore vorace di storie.
Certo, leggo un po' di tutto, ma le storie mi hanno
sempre attratto più di qualsiasi altra cosa.
Le storie a volte sono specchi in cui, se vuoi, puoi
cambiare l'immagine che ci vedi dentro.
Fu così che un giorno in uno di quegli specchi vidi
me stesso che scriveva...
Nico Spadoni
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Sulla soglia
more senza passione è come fuoco dipinto sul
muro. Non importa quanto sembri vero, non
riuscirà mai a scaldarti.
Non sono una santa, non lo sono mai stata. Ho fatto cose
di cui mi vergogno e non cerco redenzione. Non voglio
neanche comprensione. Ho sbagliato tutto. E quando me
ne sono accorta non ho avuto il coraggio di porre
rimedio.
Vigliacca dici? No. Sono stata solo… debole. La forza è
qualcosa che mi è sempre mancata proprio quando mi
serviva.
Chissà quante volte avrai sentito queste lagne. Perdonami
ma non ero preparata a questo. Credevo che una come
me finisse all’inferno per direttissima. Occorre
guadagnarselo, mi dici. Guadagnarsi l’inferno. C’è da
sbellicarsi. Ma tu non stai ridendo. Sei fin troppo serio.
A
6
Vuoi ascoltare la mia storia prima di lasciarmi passare.
Vuoi la mia storia? Ce l’ho una storia. Ma mettiti comodo
perché ne ho un bel po’ da raccontare.
Ecco bravo, così.
Allora, mi chiamo Jadi, o almeno a lui piaceva chiamarmi
così. Anche a me piaceva. Mi piaceva ogni cosa di lui. E’
entrato nella mia vita come un temporale estivo. Senza
annunciarsi, senza premure.
Mi è diluviato addosso travolgendomi. Prima del suo
arrivo non mi ero mai resa conto di quanto desiderassi
annegare nelle sue acque.
A volte non capisci quanto riarsa sia la tua esistenza
finché non scopri la gioia di sentirti fradicia. Le prime
gocce ti allarmano, poi cominci a correre cercando un
riparo. Alla fine ti ritrovi zuppa e, inatteso, ti si allarga un
sorriso.
La natura ci concepisce bagnati, giusto? Però la vita,
giorno dopo giorno, ci inaridisce. Cominciando dal cuore,
Ho ragione?
Vedo che annuisci. Mi conforta saperti d’accordo. In
fondo i miei vecchi non hanno messo al mondo
un’allocca.
Dov’ero rimasta? Ah certo, certo.
Come? Hai ragione, sono andata troppo avanti.
7
Ok, cominciamo dal principio.
Ho avuto una vita come tante. Famiglia di modeste
pretese, due genitori che sbarcavano il lunario sudando
dieci ore al giorno in una lavanderia industriale. Un
fratello più grande. Di soli due anni ma che lui brandiva
come fossero venti. Poche tenerezze e tante regole. Sono
venuta su così, coriacea e attenta a non deludere chi mi
stava attorno.
Quando mi accorsi di essere cresciuta non ho perso
tempo a cercare di capire che cosa comportasse. E, come
recitando un copione già scritto, mi ritrovai ben presto in
un altro letto di un’altra casa, in un'altra città, con accanto
un uomo: a tutti gli effetti di legge, mio marito.
Era quello che volevo?
Credo di si, ma sai una cosa? Sapere quello che vuoi è un
conto, sapere ciò di cui hai bisogno… beh, è tutto un
altro paio di maniche.
Ogni santo giorno lo passi a guardare quello che gli altri
inseguono. Da brava donnina ti costruisci una coscienza
sui giudizi, quelli degli altri naturalmente, fino a
convincerti che ti conviene giocare le tue fiches sul sicuro.
E’ ragionevole, no?
Già, tu sorridi. Tu, il re dei croupier. Con il gioco
d’azzardo ci vai a nozze.
8
So bene come la pensi, cosa credi? Chi non risica non
rosica, dico bene?
Hai ragione. Lo so adesso e in fondo lo sapevo anche
allora.
Una scelta d’amore dici? Credevo di si. Con i parametri di
allora ci avrei scommesso un braccio. Peccato che i
parametri erano sbagliati. Completamente.
Ma torniamo alla mia storia. Ti va?
La vita matrimoniale scorre in tutta la sua narcotizzante
normalità. I giorni scandiscono al ritmo di una danza
incessante e sempre uguale. Divertente all’inizio, non
posso negarlo. Ma anche la musica più trascinante, se non
cambia, dopo un po’ stanca. La verità, però, è che quando
sei in ballo devi ballare, non importa più su quale musica.
Come in una maratona danzante l’importante è arrivare in
fondo e guai a fermarsi.
E io, da brava moglie, non mi sono mai fermata. Lui,
beh… oggi mi chiedo se avesse mai iniziato a danzare.
Perché?
Perché nella mia personale maratona lui era pressoché
fermo sul posto, mentre io gli piroettavo intorno. Una
coreografia asimmetrica in cui era fin troppo chiaro chi
danzava per chi.
Quanto ero cieca.
9
Ma non importa, anche quando ho aperto gli occhi, ho
scelto di richiuderli e dimenticare ciò che ho visto. Ma su
questo ci torno più avanti.
Prima voglio che ti sia chiaro come si possa vivere una
vita faticosa e avara, estranea alle esigenze più profonde
del cuore e avere l’impudenza di chiamarlo amore.
E’ in quella esatta accezione che io ho amato mio marito.
Ed è bastato per restarne attaccata anche quando il vero
amore mi ha sparato fuori dalla stratosfera, portandomi
vicino alle stelle come non mi era mai successo prima.
Non so se rendo l’idea.
Quello che voglio dirti è che c’è stato un momento in cui
mi è stata servita la felicità su un vassoio d’argento. L’ho
riconosciuta subito, non avevo il minimo dubbio. E sai
che ho fatto? Ci ho sputato dentro, senza vergogna.
Merito l’inferno, caro mio.
Lo so io e lo sai anche tu.
Jadi… quando mi chiamava così volevo morirgli tra le
braccia.
Jadi… è tutto ciò che mi resta di lui.
Senza averlo meritato.
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11
Il vuoto intorno
a vita appare molto diversa quando sei morto.
Gli affanni, le paure, le insicurezze, i dubbi, riesci
a vederli per quello che sono: madornali cazzate.
Flatulenze silenziose, sganciate dal grande deretano di
Dio.
Vivi tutto il tempo sul fatiscente palcoscenico che il
grande burattinaio ha allestito per te, recitando le battute
che lui, nascosto dietro le quinte, ti suggerisce. Lui,
capocomico volubile e moralista che fa e disfà la tua vita a
suo piacimento. Finché non decide che è il momento che
tu esca di scena. Così crepi e ti ritrovi qui, senza un
pubblico che applaude, lontano dai riflettori.
E ti chiedi: perché?
Tu sai dirmelo?
Ma chi se ne frega! Non c’è perdono per le mie colpe.
Come?
Ok, scusa. Vado avanti a raccontare.
Alla vigilia del mio trentaquattresimo compleanno mi
chiama il mio capo. E’ alle prese con un cliente
L
12
complicato. Molti clienti lo erano e molte erano le
telefonate che richiedevano il mio intervento.
“No tesoro, mi servi tu.” odio quando mi chiama tesoro.
“Sono in difficoltà. Qui ci giochiamo il contratto.” c’è
sempre un contratto a rischio. Che incapaci.
“Ok.” mi arrendo “Di che si tratta?”
Prendo il volo quella sera stessa. Dopo cena mi metto a
letto e comincio ad abbozzare l’ennesimo piano per
salvare il mondo. Così mi addormento tra i fogli dei miei
appunti. Tutto nella norma. Buonanotte.
Il mattino seguente, giunta nell’arena, trovo tutti lì ad
aspettarmi. Una dozzina di uomini tirati a lucido attorno
ad un lungo tavolo ovale, pronti per l’imminente tiro a
segno. Perciò, armata del mio letale sorriso da super
consulente, prendo posto pronta a dare battaglia.
Ascolto l’esordio del mio capo e annoto tutto sul mio
blocco. Poi prendo un pennarello con l’intenzione di
intervenire e cominciare il mio show ed è stato allora che
mi accorgo di lui.
Nella sala gremita di anonimi colletti bianchi, lui ha il
vuoto intorno.
Si, hai capito bene, il vuoto.
Vedo una sorta di… spazio tra lui e tutto il resto. Come
spiegartelo? E’ come cinto da una zona di rispetto, un
fossato invisibile. Un aura di misteriosa diversità che mi
intimidisce e allo stesso tempo mi attrae.
13
Non ha ancora proferito parola. E’ in fondo alla sala e mi
fissa accigliato ma con interesse. Non scorgo scetticismo
nel suo sguardo severo, piuttosto curiosità e aspettativa
forse.
Comincio a disegnare e a spiegare. Per tutto il tempo
cerco di non guardarlo. Lui non interviene mai, nessuna
domanda né commento. Nulla.
Come sempre, riesco nella missione che mi era stata
affidata. Tutti contenti alla fine. Un film già visto.
Un applauso al super consulente. Grazie.
Al termine della riunione, mentre gli altri abbandonano
lentamente la sala, io inizio a buttare le mie cose in borsa.
“Scusami. Possiamo darci del tu?”
Alzo lo sguardo e c’è lui, ancora lì, al suo posto. Col
sorriso più dolce e contagioso che abbia mai visto. Non
era bello ma aveva un fascino che trascendeva tutti i
canoni.
“Sono Yuri. Non ricordo il tuo nome” mi dice senza
aspettare la mia risposta.
Io gli balbetto il mio nome di battesimo.
“I tuoi amici ti chiamano così?” mi fa.
“Si” rispondo perplessa.
“Un po’ troppo lungo” osserva pensoso.
“E’ il mio nome” replico, non sapendo bene dove volesse
andare a parare.
14
Lui mi sorride ancora ma non aggiunge altro. Poi si
rimette in piedi come per congedarsi.
“Sei stata molto convincente prima” dice cambiando
argomento.
“Li hai stesi tutti, sarà interessante lavorare con te”
“Grazie” gli dico, “ma non credo farò parte del team”
“E perché mai?”
“Vengo da fuori, qui ci sono altri colleghi molto bravi. Vi
lascio in buone mani.” gli rispondo.
Lui mi guarda sornione e dice: “Tu però tieni pronta la
valigia, non si può mai dire”
Non sapendo cosa replicare mi limito a sorridere.
“A proposito, buon compleanno”
“Oh… grazie ma… chi te lo ha detto?”
Lui era così. Ti sorprendeva sempre.
Come un illusionista.
Quella fu la prima di innumerevoli volte.
“Adesso devo andare.” mi liquida, ignorando la mia
domanda. “Ti auguro buon viaggio” mi fa, ed esce dalla
sala.
Andato via, mi lascia addosso una leggera eccitazione.
Sento nelle narici il profumo secco del suo dopobarba e
nello stomaco la stretta morsa dei suoi enigmatici occhi
neri. Mi sento turbata ma vagamente euforica.
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Sai, non ero più l’attraente ragazza di qualche anno prima.
Poco dopo il matrimonio mi fu diagnosticata una
neoplasia. Ebbi fortuna. Le cure mi salvarono la vita. Ma
restituirono al mondo un frigido ed irsuto pachiderma di
ottanta chili. Fu dura accettarmi ma col tempo ci si abitua
a tutto, no?
Gli apprezzamenti degli uomini erano un lontano ricordo.
Non che ne facessi un caso di stato. Ma che diamine, una
donna merita di sentirsi desiderata ogni tanto, ti pare?
Mi do della stupida. Yuri non ha mostrato alcun interesse
per me. E’ stato solo gentile, niente di più.
Decisa a non pensarci, raccolgo le ultime cose prima di
andarmene quando, dietro di me, sento una voce dire:
“Jadi”
“Come, scusa?”
“Jadi” mi ripete. “Ti chiamerò Jadi”.
Poi, così come era riapparso, si dilegua.
Abracadabra.
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17
E questo è quanto
el tipo questa Jadi. A sentirla adesso sembra la
quintessenza della saggezza. Quando arrivano qui,
danno tutti questa impressione.
E’ una legge di natura. La morte ti rende una persona migliore.
E’ una cosa che consiglio a tutti, ah-ah…
La Jadi per cui forse state simpatizzando parla con il senno di una
vita già vissuta. Non era tanto scafata nel mentre la viveva. Eh no,
non lo era affatto.
Ma non voglio aggiungere altro. Sarà lei stessa a farlo. Per lo meno,
mi auguro lo faccia.
Per quanto mi riguarda resterò ad ascoltarla, e sarà meglio che sia
sincera. Non c’è posto qui per gli ipocriti.
Qui potete arrabbiarvi o innamorarvi. Potete piangere o divertirvi.
Potete inveire o pregare. Fate pure ciò che vi aggrada. Siate quel che
siete, nessuno vi giudicherà.
Ma, che il diavolo vi fulmini, non potete mentire!
E questo è quanto.
Sì, lo so, questo posto è un po’ diverso da come ve lo hanno descritto.
Credevate al paradiso per i buoni e all’inferno per i cattivi. Nella
ricompensa per la virtù e nella condanna per il peccato.
B
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Cosa volete che vi dica? Avete una grande immaginazione.
Così la raccontate ai vostri figli e i vostri figli ai loro.
Ci avete costruito intere istituzioni.
Cazzo, ci avete perfino combattuto guerre.
Ma, ancor più grave, ci avete ingabbiato la vostra esistenza. Vi
siete arrogati a giudici della vita altrui e avete eletto gli altri a
censori della vostra.
Lasciamelo dire, siete dei coglioni autolesionisti!
Forse un giorno mi stancherò di vedervi fare scempio del vostro dono
e verrò a darvi una bella svegliata. Se non io, ci penserà la Fonte.
Ad ogni buon conto, a parte l’umore, per me cambia poco.
Anche quando toccherà a voi, mi troverete qui a fare meglio che
posso il mio lavoro.
Adesso perdonatemi ma la mia bella ospite attende.
Devo proprio andare.
Come dite? Chi sono io?
Non temete, presto o tardi avremo modo di presentarci… come dio
comanda.
Ah-ah.

Sì, Jadi. Sei qui per guadagnarti l’inferno. O comunque tu
voglia chiamarlo.
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E c’è da aspettarsi che io per te sia il diavolo. Dico bene?
Beh, non voglio contrariarti, può essere che lo sia o
magari no.
A tempo debito, sono sicuro, mi riconoscerai.
Come? Non mi hai mai visto prima?
Cara Jadi, gli occhi vedono solo ciò che si è disposti
vedere. E tu questo lo sai fin troppo bene.
Non è così? Io sono qui da quando tu mi ci hai messo.
Sei disorientata? Non mi sorprende affatto.
Ti conosco da sempre, ragazza mia. E tu da sempre
conosci me.
Hai vissuto ignorando questo tuo scomodo ed
ingombrante amico, fino a renderlo invisibile.
Dimenticandoti della sua esistenza.
Eppure, nei freddi inverni del cuore, quando le notti non
finiscono mai e la solitudine ti morde con i suoi denti
aguzzi, tu vieni a cercarmi.
Col mento sullo stomaco e un soffio di voce, mi chiedi
consiglio. Se ne avessi ascoltato uno. Uno solo, Jadi.
Chissà, forse non saresti qui adesso.
Lo so, non sai di cosa parlo. Ma non è compito mio
aiutarti a ricordare. Devi farlo da sola.
Ne convengo, è una fregatura.
Ma da queste parti funziona così.
E questo è quanto.
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Territori sconosciuti
erchè? Non capisco. La mia catarsi dici?
No, non credo che ci sia qualcosa da salvare nella
mia anima. E tu dovresti saperlo.
E’ strano però. La tua voce. Non saprei dirlo, il tono
forse. Quello che mi hai appena detto, non so, mi riporta
indietro. L’avevo proprio dimenticato.
Sono nel mio letto. Mio marito dorme, avevamo appena
fatto l’amore. E io piango.
Avevo smesso di sentirmi donna ormai da tempo. Mi
concedevo a lui perché è così che fanno le buone mogli,
no? Per lui non sembrava un problema, forse non voleva
farmelo pesare o non gli importava.
Ma io piango in silenzio, mi commisero, e mi biasimo per
non poter essere l’amante che lui vorrebbe. Fissando il
soffitto con gli occhi gonfi di lacrime, prego:
“Dio, aiutami a trovare la felicità con quel che mi resta.
Aiutami ti prego…”
E' solo frustrazione la mia, non sarei mai stata felice, e
nessuno avrebbe risposto alle mie preghiere.
P
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Ma proprio mentre il torpore sta per avvolgermi, sento
una voce nella testa:
“Cazzate! Vuoi la felicità? Prenditela!”
Sobbalzo. Ma dopo qualche istante mi convinco di averla
sognata. E poi devo averla completamente dimenticata.
Almeno fino ad oggi.
Eri tu, vero?
SMETTILA DI SORRIDERE, ERI TU?
Va bene. Mi calmo. Dammi solo un minuto, ok?
Come? No, fu prima di incontrare Yuri.
Ma questo lo sai già.
La mia prospettiva, dici? Immagino di non avere molta
scelta, vero?
Già.
Ecco, rivedo Yuri qualche settimana dopo. Il mio capo
mi aveva affidato il cliente. Questo mi costringeva a
soggiornare fuori casa per tre o quattro giorni a settimana.
Yuri ed io ci ritroviamo a lavorare gomito a gomito per
tutto il tempo. Lui è una mente brillante, si appassiona al
lavoro come pochi. E’ curioso e impara velocemente.
Sdrammatizza i momenti di crisi e poi… sa farmi ridere.
Qualche volta, la sera, nella solitudine della mia camera
d’albergo, la mia mente vaga alla ricerca delle sensazioni
che lui mi suscitava.
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A volte mi sorprendo ad immaginare il sapore delle sue
labbra o il calore delle sue mani sulla mia pelle. Scaccio,
turbata, quei pensieri.
“Sei sposata” mi dico a voce alta. “E’ un cliente!”.
Con un senso di sconfitta censuro le mie fantasie da
adolescente, e torno alla vita di sempre.
Ma un giorno accade qualcosa. E da allora la mia vita
cambia per sempre.
“Pronto?”
“Ciao, Yuri”
“Buongiorno, Jadi. Dimmi tutto”
“Ecco, sono dispiaciuta ma questa settimana non riesco a
venire”
“Niente di grave, spero”
“No, guarda. Colpa mia. Ho dimenticato di prenotare
l’hotel. E adesso non ne trovo uno libero”
“Tutto qui?”
“Beh, si”
“Metti giù, ti richiamo subito” e riaggancia.
Qualche minuto dopo mi richiama:
“Jadi, la receptionist mi chiede se preferisci la colazione in
sala o in giardino”
“Ma… ma come hai fatto?”
“Non è questa la domanda giusta”
“Ah no? E quale sarebbe”
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“Quando me la farai, te lo dirò”
Il suo tono era sempre allegro e allo stesso tempo fermo.
Non capivo mai se scherzasse oppure no.
Comunque, io la prendo bene.
Era diventata per me una piacevole abitudine lavorare
con lui. E a dirla tutta, quando non c’era, mi mancava.
Durante il viaggio che mi porta da lui, fantastico sui
colori del giardino dove l’indomani avrei fatto colazione.
Non so ancora che Yuri, in quel giardino, è ospite fisso.
Sorpresa!
“Vuoi dirmi dove dormirò stanotte o devo accamparmi in
ufficio?”
“Hai ragione. Andiamo ti accompagno. E’ qui vicino”
“Ma perché tutto questo mistero?”
“Dai, andiamo”
Sapeva essere irritante. Lo odiavo quando mi lasciava in
sospeso. E lui sembrava divertirsi a farlo.
L’hotel è a non più di dieci minuti a piedi. Quando
entriamo nella hall, la receptionist accoglie Yuri con un
sorriso, prende una chiave e gliela porge.
“Buonasera Simona, grazie. E quella della dottoressa?”
“Ma certo. Buonasera Dottoressa, posso chiederle il
documento?”
Mentre la donna traffica sul suo computer, io comincio a
realizzare quello che stava accadendo.
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Mi sento a disagio, come se stessi violando uno spazio
che non mi apparteneva.
Lavorare insieme è un conto, dormire a qualche metro di
distanza è tutta un’altra storia.
La mia mente comincia ad esplorare territori sconosciuti.
Provo un senso di smarrimento e di inquietudine.
Lui forse se ne accorge e dice:
“Jadi, nessun albergo può farti sentire a casa tua come
questo. Da quando l’ho scoperto non ho più cambiato.
Ti piacerà”
“Bene” balbetto.
“Io salgo in camera mia. Tu sarai stanca dal viaggio.
Riposa bene, io vado”
A grandi falcate raggiunge l’ascensore già aperto. Entra,
mi lancia un sorriso e scompare dietro le porte che si
richiudono.
Prendere le distanze da me, era il suo modo di
rassicurarmi, di concedermi l’intimità che mi serviva.
Sapeva leggermi dentro, e riusciva sempre a darmi ciò di
cui avevo bisogno.
Quando sono in camera sento un nodo allo stomaco, ed
una strana ebbrezza che non riesco a placare.
Faccio una lunga doccia, ma quella sensazione non passa.
Voglio rivederlo. Voglio rivederlo subito.
Prendo il cellulare e scrivo un sms:
# Ho una fame da lupo, e tu?
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Attendo con impazienza la sua risposta.
Poi il cellulare si illumina:
# Sono di sotto, ti piace la cucina libanese?
Non perdeva un colpo, se avevo bisogno lui c’era.
Sempre.
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Quello che non ti ho detto
suoi occhi erano… premurosi. Non so dirlo meglio.
Raramente si staccavano dai miei, eppure non erano
invadenti. Gentili e… familiari piuttosto. Come
vecchi amici che fa sempre piacere avere in casa, anche
quando non sei dell’umore. Specialmente quando non sei
dell’umore.
Passeggiamo per non so quanto, chiacchierando per lo
più di lavoro. Sto molto attenta a non parlare della
sistemazione in hotel, non voglio avventurarmi in quel
campo minato. Arriviamo al ristorante libanese, un
piccolo anfratto nel seminterrato di un palazzotto del
centro storico. Lontanissimo da quanto mi aspettassi,
luminoso, elegante, essenziale. Glielo dissi e lui mi spiegò
che il Libano, prima della guerra civile, rappresentava la
culla della cultura mediorientale. Aperto al mondo, con
uno stile di vita molto sofisticato ed una economia
prospera. Non faccio nessuna fatica a credergli. Quel
posto sembrava confermare tutto.
Ci accomodiamo in un angolo e ordiniamo accogliendo i
consigli di una cameriera che, fatta eccezione per la divisa
I
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da lavoro, sembrava uscita dalle pagine di Le mille e una
notte.
Lui sceglie il vino, uno Château Ksara, mi pare di
ricordare. Io mi limito ad annuire e, come spesso mi
capitava con lui, a fidarmi.
Non è la prima volta che ceniamo insieme, ma quella sera
è diversa dalle altre.
Io sono diversa.
Guardarlo, ascoltare la sua voce, sentirlo così vicino,
manda in cortocircuito la mia mappa del mondo.
Mi sento come una radio che riceve troppe stazioni e non
c’è modo di sintonizzarla. Lo percepisco ovunque, nella
testa, nello stomaco, sulla pelle e… in un angolo della
coscienza che nemmeno immaginavo esistesse. Hai
presente quei film dove il protagonista scopre una stanza
segreta nella propria casa? Ecco, mi sento così. Intimidita
e curiosa al tempo stesso. Molto curiosa.
“Cos’hai stasera?” chiede all’improvviso, ridestandomi
dalle mie elucubrazioni.
“Nulla, perché?” rispondo allarmata.
“Non so, mi sembri preoccupata”
“Sarà la stanchezza del viaggio” replico, tentando di
sorvolare l’argomento.
“Jadi io…” e si interrompe, la cameriera ci serve la cena.
“Cosa?” lo incalzo.
31
“…credo sia meglio non far troppo tardi, devi riposare.
Domani mi servi in forma” si affrettò a dire.
Io non la bevo, qualcosa nella sua voce mi dice che ha
cambiato argomento di proposito. Cosa voleva dirmi?
Non ho il coraggio di chiederglielo. Così l’attimo
svanisce.
Tornando in albergo, mi sento un po’ incerta sulle gambe,
forse è l’effetto dello Ksara, o come cavolo si chiamava.
Non oso appoggiarmi al suo braccio, Dio solo sa quanto
lo volessi. Lui si mostra amabile e gentile come al solito,
quell’esitazione, quel turbamento che avevo registrato a
cena, sembra scomparso.
Forse me lo sono immaginato, penso. Mi do della stupida.
Appena giunta in camera, mi abbandono sul letto esausta.
Non ho la forza di spogliarmi. Guardo sul comodino il
cellulare e penso di scrivergli. E chiedergli cosa volesse
dire con quel “Jadi, io…”?
Il suo sguardo egemonizza i miei pensieri, la pressione
allo stomaco è insostenibile. Poi qualcosa mi scuote. Una
vibrazione, un tremolio quasi impercettibile al basso
ventre. Una sensazione che lì per lì non riesco a
interpretare. Era l’equivalente fisico dell’ansia che coglie i
bambini al risveglio la mattina di Natale, mi spiego?
Una sorta di desiderio che si sta realizzando. Una
promessa che sta per essere mantenuta. Solo che, lo
32
percepivo ad un livello di sensualità nuovo. Lo sentivo tra
le gambe come una carezza.
Perdonami se enfatizzo ma io non credo di essermi mai
sentita così in vita mia. Neanche quando baciai per la
prima volta un ragazzo, neanche quando conobbi mio
marito.
Mai prima di allora.
Così, afferro il cellulare con l’intenzione di scrivergli ma,
indovina un po’? Abracadabra, lui mi precede.
#stai dormendo? Volevo darti la buonanotte, con una canzone.
Nel messaggio c’è un link. Ci clicco sopra e parte una
canzone dei Modà: Quello che non ti ho detto.
La ascolto, gli occhi mi si gonfiano di lacrime, lo stomaco
mi si accartoccia e il cuore sembra volermi uscire dal
petto a forza.
Mi appare all’improvviso la mano di Simona che impugna
la chiave di Yuri. 405.
Mi precipito fuori dalla stanza, lasciando la porta aperta.
Me ne sarei accorta solo il mattino successivo.
405… 405… è l’unico pensiero che mi martella nella
testa. Devo salire di un piano. Prendo le scale, imbocco il
corridoio.
402… 404… 401, maledizione dove cazzo è?
405!!!
Mi blocco. Sono pietrificata.
Cosa sto facendo? mi chiedo
33
In quel momento la porta della stanza si apre. Lui è lì,
ancora vestito. Mi guarda, io gli sorrido col volto rigato di
lacrime.
“Amore mio” gli sussurro.
E come mai avrei pensato potesse accadermi, mi lancio
tra le sue braccia.
Nel buio pesto della mia anima esplode una luce che
cambia per sempre quello che ero stata e tutto quello in
cui avevo creduto.
34
35
Bolle di sapone
a bambina andavo matta per le bolle di
sapone. Ricordo che, rintanata in bagno, mi
impiastricciavo le mani col sapone liquido che
mia madre usava per lavare i piatti.
Ho ancora nelle narici il pungente odore di limone che mi
rimaneva addosso per tutto il giorno. Con le maniche
tirate inutilmente su, perché poi mi infradiciavo dalla testa
ai piedi, affinavo con caparbietà la mia tecnica.
Intrecciavo le dita a mani giunte, fino a serrarle come se
stessi pregando. Poi lentamente, le aprivo sfregandole tra
loro. Una manovra esageratamente teatrale, perché in
effetti era solo l’aderenza tra i pollici e gli indici che
produceva quello che mi serviva.
Se la consistenza della saponata era quella giusta, e in
questo ero diventata una piccola alchimista, vedevo sotto
i miei occhi allargarsi un diaframma tremolante. Quindi
puntavo verso il cielo l’iridescente lamina di cristallo che
avevo tra le dita e ci soffiavo dentro.
Finalmente, succedeva qualcosa che ai miei occhi di
bambina era un autentico prodigio.
D
36
Guardavo una sfera incantata materializzarsi dal nulla e
librarsi nell’aria senza peso. La seguivo ammirata nel suo
breve viaggio, fino all’inevitabile scoppio che la
vaporizzava in un istante.
Forse fu allora che cominciai a realizzare il concetto di
limite. Ricordo anche che, dopo un po’, il mio entusiasmo
per le bolle non era più rivolto a crearle, ma a salvarle.
Provavo e riprovavo a recuperarle prima che
esplodessero, cercando il sistema più delicato possibile.
Effimeri tentativi come puoi immaginare.
Come dici?
Beh non saprei, non ricordo esattamente. Credo che un
bel giorno semplicemente ho smesso di crederci e ci ho
rinunciato.
Bolle di sapone…
Yuri è stata la mia bolla più riuscita, l’ultima. La più
struggente. Una vera magia che si è dilatata fino ad
inglobarmi.
Ammirare una bolla di sapone è capitato a tutti, anche a
te immagino. Ma l’esperienza di esserci dentro, mio caro,
è qualcosa che ti toglie il fiato. Ti senti inerme e insieme
in estasi. Hai paura di muoverti per non romperla,
vorresti durasse per sempre, ma allo stesso tempo sei
assalito dal terrore di restarne intrappolato.
37
Lui mi trascinava con sé in un mondo incantato, in
un’altra dimensione in cui il tempo si fermava e intorno a
me tutto danzava sulle note di una musica ammaliante.
Tutto mi appariva più vivo, e mi apparteneva.
Lui, mi apparteneva. I suoi occhi, che riuscivano a
incendiarmi come una torcia. Il suo sorriso elargito così di
rado che, quando appariva, il mio cuore perdeva un
battito. I luoghi in cui mi portava, sempre inattesi, carichi
di significato, mai casuali. E le storie che mi raccontava,
coinvolgendomi fino a farmele vivere come se ci fossi
dentro.
Erano per me, lui viveva per me.
Tutto ciò che faceva era per me.
Ho vissuto quei momenti al calore della sua dedizione e
me ne sono nutrita con avidità e bramosia.
Nella mia esistenza piatta e grigia di prima si era insediato
un fantastico luna park dove, di tanto in tanto, mi
rifugiavo e in cui trovavo tutto ciò che mi mancava.
Finché, da un giorno all’altro, la musica e le luci del mio
amato parco dei divertimenti si spensero.
Clic!
“Jadi…”
La sua voce rompe il silenzio notturno nella stanza.
38
Sono abbracciata a lui, come sempre dopo aver fatto
l’amore e, nel torpore che precede il sonno, mi fa
sussultare.
“Jadi, io ho bisogno di te” ancora intontita non afferro.
“Io ho bisogno di te, lo capisci vero?” ripete.
“Yuri… sono qui, con te” mormoro.
“Si, sei con me” dice. “Ma per chi? Per me o per te?”
Per qualche istante resto ammutolita, la mia reazione è
quella di difendermi ma ad un tratto riconosco la verità
dietro i dubbi di Yuri.
“Io…”
“Lascia stare, scusami” mi interrompe. “Non dar peso a
quello che ho detto”
Mi stringe a sé e non dice più nulla.
Resto in ascolto del suo respiro, che pian piano rallenta.
Si addormenta.
Io non ci riesco. Sento la paura che mi assale.
Un’irrazionale sensazione di perdita imminente.
Una domanda, cazzo!
Una stupida domanda mi scaraventa fuori dal dorato
castello di carta che mi ero costruito, costringendomi a
fare i conti con la vita vera.
Yuri era la mia spiaggia esotica. Quando mai le spiagge ti
chiedono qualcosa, me lo dici? Restano lì in eterno,
giusto? E aspettano che qualcuno le raggiunga e si goda
quello che hanno da offrire, non è così?
39
Non avevo mai pensato alla nostra relazione in questi
termini ma l’invocazione di Yuri mi ha aperto gli occhi.
E sai cosa ho fatto, amico mio?
Li richiusi. Li ho serrati… da vera stronza.
Lo guardo dormire, sento una fitta al cuore e ripenso alle
mie bolle.
Avevo giocato col sapone, avevo soffiato la mia bolla più
spettacolare, l’avevo vista volare sempre più in alto.
E adesso, la vedo invertire la traiettoria.
La guardo e so che sta per cadere.
La guardo e so che sta per scoppiare.
Non ci provo neanche a salvarla.
E decido che, forse, è inevitabile.
Clic!
40
41
Scelta obbligata
iente fu più come prima. Non saprei indicare
l’istante esatto in cui la bolla scoppiò. A volte
sei troppo presa da quello che vuoi per
accorgerti di quello che ti accade intorno.
A volte preferisci ignorare quello che ti accade intorno,
cazzo.
Cosa volevo, mi chiedi?
Hai fatto centro, amico mio! E’ proprio qui che casca
l’asino. Cos’è che volevo?
Yuri riuscì a darmi quello che mi era sempre mancato,
credimi. Ma non per questo ero disposta a perdere quello
che già avevo.
Avevo un marito che in fondo amavo ancora, avevo la
bellissima casa che insieme abbiamo costruito, e poi
avevo il disperato desiderio di diventare mamma.
Non l’avrei mai ammesso a voce alta ma una relazione
extraconiugale non valeva le conseguenze di un
matrimonio mandato all’aria.
Eppure non potevo fare a meno di Yuri.
Volevo anche lui. Volevo tutto.
N
42
Perciò feci man bassa e presi da lui tutto ciò che riuscii a
prendere. Inebriata dall’abbondanza che lui sapeva
elargire, io continuai a prendere… e prendere.
Come un parassita mi nutrii del suo amore succhiandogli
l’anima. Forse credevo che la sua dolcezza, la sua
passione, la sua attenzione, fossero infiniti.
Ma chi voglio prendere in giro?
Semplicemente non mi posi il problema. E andai avanti
così, finché la sorgente si esaurì.
“Pronto?” la voce atona di Yuri mi lascia interdetta.
“Yuri, è successo qualcosa?”
“No, tutto ok” risponde
“Sono in treno” dico per spezzare la strana tensione nella
sua voce. “Dovrei essere lì per mezzogiorno”
“Va bene” risponde senza entusiasmo.
Capisco che qualcosa non va, è sempre su di giri quando
sto per raggiungerlo.
“Mi sembri giù di corda, non sei co…”
“Senti, quando arrivi non venire in ufficio, vai in hotel e
aspettami lì. Ti raggiungo io”
Non faccio in tempo a replicare che ha già riagganciato.
Non si era mai comportato così. Sono confusa e
impaurita.
Sei con me. Ma per chi? Per me o per te?
43
Il ricordo di quella domanda riecheggia nefasta nella mia
testa come una campana a morto.
Non so cosa aspettarmi, ma una cosa la so.
Niente di buono.
“Yuri, amore, cosa…”
“Aspetta Jadi” mi interrompe. “Voglio che tu mi ascolti.
E quando avrò finito voglio una tua risposta. Una rispo-
sta definitiva, mi hai capito?” io annuisco ma sono terro-
rizzata.
“Sei sempre stata un libro aperto per me. Sin dal primo
momento avevo letto in te un infinito bisogno di essere
amata. Non chiedermi perché, è un dono forse. Oppure è
quell’affinità misteriosa che rende immediatamente rico-
noscibile la persona con cui condividerai il resto della vi-
ta. Non so dirlo e per la verità neanche mi importa.
Quello che importa è che quando ti ho incontrata ho ca-
pito che quella persona sei tu. E da quel giorno non passa
un solo momento senza che io cerchi un modo per ren-
derti felice. Vivo per esserci sempre quando mi cerchi.
Ogni passo che compio lo faccio per avvicinarmi a te. Io
sono tuo, lo sai vero?
Ho accettato i dolorosi vincoli che la tua condizione mi
impone. Di vederti solo qualche giorno al mese. Di saper-
ti nel letto di un altro. Di rinunciare a sentirti quando sei
con lui, e Dio sa quante volte ne ho avuto bisogno.
44
Ho sopportato fino ad oggi il tuo funambolismo tra la vi-
ta di sempre e i momenti con me. Il tuo giocare con pesi
e contrappesi nel tentativo di trovare una forma di com-
pensazione, quella tua effimera ricerca di un equilibrio
universale che salvi la tua incapacità di fare una scelta.
Un supplizio patito nella speranza che tutto questo alla
fine avesse un senso. Che fosse il prezzo della felicità che
inseguo da sempre e che finora mi è stata negata.
Jadi, io ti amo più di me stesso. Niente cambierà mai que-
sta semplice realtà.
Ma anche io ho bisogno di essere amato.
Posso aspettare ancora. Ma non posso più vivere di spe-
ranza.
Devo sapere se sei mia, come io sono tuo e devo saperlo
ora.”
Non so cosa rispondergli, mi sento precipitare nell’abisso
da cui mi ero sempre tenuta lontana. Riesco appena a
guardarlo e a piangere in silenzio.
“E’ una promessa che voglio, Jadi” aggiunse, “e la voglio
adesso.”
Poi rimane in silenzio, aspettando una mia risposta.
Io annego nelle mie stesse lacrime e non riesco a parlare.
Ci provo ma vengono fuori solo gorgoglii e singhiozzi.
Pietoso.
Se non fossi assalita dalla disperazione di sentirmi in
trappola forse avrei capito subito che dietro la sua stra-
45
ziante richiesta di aiuto si celava, la più dolce e meravi-
gliosa offerta di amore eterno.
Ma la paura di perdere quello che trascinavo da tutta una
vita, di soccombere al biasimo delle persone a cui volevo
bene, di far soffrire l’uomo che mi ha accompagnato per
tanti anni, mi rende cieca e sorda.
Così ammutolisco.
“Jadi, so come ti senti” mi dice rompendo l’interminabile
silenzio “e lo capisco, ma ho fatto tutto quello che posso.
Adesso tocca a te. Devi scegliere.”
Mi sorride come non lo vedevo fare da settimane, mi ba-
cia sulle labbra e con un’ultima carezza si congeda senza
dire altro.
Lo guardo uscire dalla mia stanza e capisco che sta
uscendo dalla mia vita.
Penso di corrergli dietro, di stringerlo e gridargli che sono
sua.
Ci penso e intanto lo perdo.
Ci penso ancora adesso che l’ho perso.
46
47
La Fonte
more. Il più equivoco tra i fenomeni
dell’esistenza. Non sei d’accordo, mia cara?
Non è colpa tua Jadi, non è colpa di nessuno…
ehi non è neanche colpa mia, semmai ti venisse il dubbio!
Siete fatti così, pochi grammi di materia organica e un
infinito dentro.
Chiamalo sentimento, anima, chiamalo come ti pare. La
verità è che si tratta di qualcosa di immenso che ti porti
dentro dalla nascita. Una energia potente e inquieta che
non puoi contenere e non puoi sopprimere.
Non puoi trattenerla. Lei ti chiede di liberarla, e te lo
grida nella testa fino a farti male. Fino a impedirti di
pensare ad altro. A te non resta che obbedirle.
Ma poi ti rendi conto di non esserne capace.
Già, proprio così, troppo faticoso. Non ci riesci!
Ci provi con tutte le forze per poi scoprire che non basta
mai. Che non dipende dalle tue intenzioni. Che non
risponde alla tua volontà.
Ed ecco servita la grande beffa, il paradosso dell’esistenza
umana.
A
48
Però, voglio svelarti un segreto. Se ci stai attenta, se provi
ad ascoltarla, è lei stessa a suggerirti come farcela. Ma,
bada, non è gentile. E’ la tua spina nel fianco e la tua
guida scorbutica e prepotente.
E al momento buono, è lei che sceglie per te.
Ti costringe a cercare, con le cattive se è necessario. E
mentre tu rimbalzi di qua e di là, lei aspetta di trovare il
“conduttore” attraverso cui fluire.
Oh si, cara. Puoi stare certa che lo farà e quando accadrà
lo farà fino in fondo, lasciandoti vuota e inerte come una
pila scarica.
Puoi solo sperare che quel conduttore abbia di che
ricambiare.
Certo puoi anche resisterle, decidere di soffocarla. E forse
per un po’ potresti anche farcela.
Ma a che prezzo?
Angoscia e tristezza. Ironico vero?
Ehi, non guardarmi così, io non c’entro. Mi dispiace tanto
ma funziona così: la vita è dolore, Jadi.
L’amore né è la causa.
L’amore ne è la cura.
E’ tutto qui: un mistero tanto inflazionato quanto
incompreso. La Fonte ha voluto così.
Come dici? Quale Fonte?
Aspetta, ci sto arrivando.
49
Non è facile spiegarlo perché tu lo comprenda, diamine,
neanche io lo capisco fino in fondo. Ma ascolta con
attenzione.
Immagina la Fonte come un buco nell’universo da cui
zampillano infinite scintille di luce, ciascuna con la sua
traiettoria.
Scintille che si proiettano in ogni direzione da sempre.
Prendi adesso uno di questi infiniti lapilli, immagina di
osservarlo da vicino, prova a seguire la sua traiettoria.
Lo vedrai tracciare un meraviglioso arco luminoso
dall’origine verso la sua ignota destinazione, fino a
spegnersi quando non avrà più energia per proseguire.
Così non ne resta che polvere dispersa nel vuoto.
Non ne resta più nulla.
Questa particella, Jadi, è ciò che tu chiami esistenza.
La sua traiettoria è ciò che tu chiami destino.
La vita, mia cara, è tutto ciò che accade all’interno di
quella scintilla. E quanto vi accade determina la durata del
suo viaggio.
In definitiva, come tu scegli di usare la tua energia, così
cambia la traiettoria della realtà in cui vivi.
Come dici? Le altre scintille?
Questa è la parte che preferisco.
Per te che ci sei dentro, quella scintilla è tutto ciò che
immagini possa esistere, è la tua realtà, il tuo universo.
Ma esistono infiniti mondi, Jadi.
50
Identici alla nascita ma la cui traiettoria è affidata al caso.
E’ pazzesco vero? Ma te lo immagini?
Mentre tu vivi la tua esistenza e in ogni istante prendi
delle decisioni compiendo delle scelte più o meno difficili,
infinite versioni di te compiono le loro.
E questo vale per ogni creatura della terra.
Prova ora a concepire un numero grande abbastanza per
quantificare ogni possibile combinazione tra ogni
possibile scelta nella storia dell’umanità, ed elevalo
all’infinitesima potenza.
Ecco questo è ciò che accade nell’istante all’interno della
Fonte. Questo è ciò che accade in ogni istante da quando
la Fonte esiste. E per quanto ne sappia, esiste da sempre.
Qual è il senso di tutto questo, mi chiedi?
Beh, che dire… Non lo so con certezza.
Probabilmente la Fonte è un dio che gioca ai dadi, un
sacco di dadi. Chissà, forse è in attesa di tirare un punto
che non è ancora uscito.
Non mi è dato di saperlo. Ma è così che funziona.
Tutto serve la Fonte, Jadi. Io, tu, ogni atomo di questo
molteplice universo, esistiamo per servire la Fonte.
Pensaci un momento: quella vocina interiore che ti spinge
a chiederti come sarebbe la tua vita se avessi fatto una
scelta diversa, non è forse il desiderio di una nuova
scintilla?
51
Ogni volta che ti è capitato di chiedere una seconda
occasione, non è forse quella convinzione che possa
esistere una traiettoria diversa?
E quella speranza che ti aiuta ad andare avanti, e che
anche quando tutto sembra perduto, non ti abbandona
mai del tutto, non è forse la segreta certezza di un nuovo
inizio?
La natura della Fonte è dentro di noi, Jadi.
Siamo fatti della sua stessa materia, della sua stessa
energia.
La nostra esistenza non è conseguenza di un capriccio
dell’universo, ma ne è il senso ultimo.
E questo ci riporta alla ragione per cui adesso sei qui.
Ha a che vedere con la tua storia. Ha a che vedere con i
cancelli che vedi alle mie spalle. Ha a che vedere con la
sopravivenza della Fonte stessa.
Perché, amica mia, tutti noi abbiamo una missione.
Tenere in vita la Fonte.
52
53
I prescelti
ono tempi oscuri, Jadi. L’energia che alimenta la
Fonte si sta dissipando ad opera delle sue stesse
pulsioni. Più questa si attenua e più la Fonte si
produce in nuove eruzioni.
Dio che gioca ai dadi, ricordi? E sta perdendo.
Le traiettorie sono sempre più corte. La Fonte è vittima
impotente della sua stessa natura, del suo stesso scopo.
L’ostinato compito di generare mondi, ricreare universi, la
sta uccidendo.
Qual è il significato di tutto questo? Non lo so con
certezza. Posso ipotizzare che generare per essere amati
dalle nostre creature sia l’esperienza più alta di cui siamo
capaci. Non trovi?
Tu hai scelto di rinunciare a Yari e chissà a cos’altro per
inseguire… com’è che hai detto? Il disperato desiderio di
diventare mamma, giusto?
E noi siamo sue creature, Jadi. Siamo fatti come lei.
Insomma, io riesco a spiegarmela così e non vorrei mai
spiegarmela in altro modo.
S
54
Ma, per nostra fortuna, la Fonte ha preso, per così dire,
delle contromisure. Vedila come dio che lancia una
coppia di dadi truccata. E in questo lancio quella coppia,
mia cara, siete tu e Yari.
Ti vedo confusa. Mi spiego meglio.
La Fonte si nutre dell’energia scaturita dai legami tra le
sue creature. A volte, i legami che si instaurano creano un
nuovo stato esistenziale in cui l’energia totale
sovrabbonda la somma dei suoi singoli elementi.
Purtroppo però siamo in tempi di instabilità. Forse anche
la Fonte invecchia. Chi può dirlo?
Sta di fatto che quasi tutti i legami ormai sono deboli,
fragili e l’energia complessiva della Fonte sta digradando
inesorabile.
E qui entrate in gioco voi.
Voi due siete speciali. Siete quelli che nell’antica lingua si
chiamavano Elektitaj, significa i prescelti.
Perché voi?
Questa domanda non è rilevante. Come mai, tra i tanti
elementi presenti in natura, soltanto due se legati insieme
diventano acqua? E perché solo due, tra i restanti, uniti ai
primi hanno dato alla luce quell’iniziale frammento di ciò
che siamo?
Le cose stanno così, tu e Yuri siete nati per una ragione
superiore. Il vostro legame ha tutta l’energia necessaria a
rigenerare la Fonte. Non c’è altro da sapere.
55
La Fonte non può obbligarti a perseguire il tuo scopo.
Anzi, credo che nemmeno lo voglia. Che valore avrebbe
un dono ricevuto per costrizione? Ti pare?
La magia che percepivi quando eri con lui, l’attrazione
irresistibile che ti portava a cercarlo sempre e
quell’angoscia che ha riempito il vuoto scavato dalle tue
stesse rinunce. Tutto questo, mia cara, è il modo con cui
la Fonte ti urlava in faccia la tua missione.
Tu e l’uomo a cui hai voltato le spalle, siete stati fatti per
questo unico fine. Donarvi alla Fonte.
Ma… non è accaduto.
Perciò, veniamo al perché ora sei qui.
Diciamo che i dadi sono stati lanciati, il primo ha già dato
il punto sperato, l’altro sei tu, che hai smesso di rotolare
ma sei ancora in bilico.
Hai la possibilità di scegliere su quale lato cadere, Jadi.
L’ultima possibilità di salvare la Fonte.
Dipende da te.
E questo è quanto.

Sai è buffo. Una volta lui me lo disse. Non della Fonte,
naturalmente, ma mi parlò di una meta.
56
Era un pomeriggio, io sono seduta in postazione a
lavorare. Il rumore della pioggia che sferza la grande
finestra si sovrappone al mio picchiettare sulla tastiera.
Nel silenzio assoluto dell’ufficio quel sommesso concerto
di percussioni mi ha letteralmente ipnotizzato. Dopo non
so quanto tempo, riemergo dalla mia trance e lo cerco
con lo sguardo. Lo trovo lì accanto a me. Silenzioso, che
fissa i vetri della finestra rapito da chissà quali pensieri.
Quando era pensoso o concentrato il suo fascino
rifulgeva fino ad accecarti. E ogni volta ero sorpresa
dall’impulso di baciarlo e dirgli che era mio.
Ma, data la situazione, questa volta mi limito a
canzonarlo.
“Toc toc, c’è nessuno in casa?”
Lui mi guarda, con aria ancora assorta. Non dice nulla.
Poi sorride. Credo di averti parlato del suo sorriso, vero?
Io ricambio non sapendo bene cosa aspettarmi.
“Quante probabilità avevamo noi due di incontrarci?” mi
chiede.
“In effetti…” gli rispondo colta un po’ alla sprovvista.
“Pensaci bene. Pensa a cosa ti ha portato qui, alle
condizioni in cui ci siamo conosciuti. Pensa alle mille
ragioni per cui non avremmo dovuto fare ciò che
abbiamo fatto. E a quanto ci costi tutto questo”
“Dove vuoi arrivare?”
57
“Ma non capisci? Perché io e te siamo qui? Insomma
perché io e te?”
“E’ importante?” gli faccio io.
“Si, Jadi. E’ importante per me. Tutto ha uno scopo.
Tutto DEVE avere un senso.”
Resto in silenzio, non sapendo cosa dire.
“Qual è il nostro?” riprende lui.
“Ci amiamo?” provo a rispondere.
“No, quello è un sintomo. La domanda vera è: perché?”
“Ti ricordi? La domanda giusta…”
“Già, rammento. Quando me la farai, te lo dirò, mi dicesti”
“Esatto. Se siamo insieme deve esserci una ragione. Una
strada da percorrere. Una destinazione da raggiungere.
Deve essere così”.
Quella sua incessante ricerca di significato era la cosa che
lo rendeva diverso da chiunque abbia mai conosciuto.
Unico. A volte non riuscivo a seguirlo, piuttosto mi
trascinava via con sé e a me non restava che lasciarmi
andare.
Ma ora capisco che lui lo sapeva. L’aveva sempre saputo.
La sua fede nel fine ultimo era assoluta.
Come la sua fiducia in me.
E io l’ho tradita.
58
59
L’ultima scelta
i proponi di tornare indietro? Di rimediare ai
miei sbagli? No amico mio. E’ tutto
compromesso.
Ormai non c’è più nulla per cui tornare. Come?
No, ti prego, non voglio ricordare! Mi fa troppo male!
Va bene, che tu sia maledetto, ma poi basta!
Quel giorno arrivai a capire il dolore che il mio egoismo
gli aveva inflitto. E compresi con quanto amore lui lo
aveva sopportato.
Ma più di tutto mi fu chiara la fallacia dell’immagine che
di lui mi ero costruita. Quella di un uomo forte, un
obelisco eretto per me e che sarebbe stato lì per sempre.
Volevo crederlo, mi faceva comodo crederlo.
Ma lui non era così. Lui aveva bisogno di me. Era fragile,
sofferente, esausto.
Dopo il suo ultimatum ci sentimmo ancora. Lui non
tornò mai sui suoi passi e io non feci mai la mia scelta.
Così troncammo.
M
60
Con dolorosa lentezza trascorsero, giorni, settimane,
mesi. E nulla di quanto avevo sperato si realizzò.
Il figlio che tanto desideravo non arrivò. La mia
insoddisfazione crebbe. Mio marito restò fedele a se
stesso. Io uguale.
Nulla più cambiò. Tranne il vuoto che mi portavo dentro.
Così, in quello che sarebbe stato il mio ultimo giorno
sulla faccia della terra, decisi di telefonargli.
Sono le sette e cinquanta.
Ancora distesa sul letto, aspetto che mio marito esca.
Sento il cancello chiudersi. Attendo ancora qualche
istante. Ecco il rombo sommesso della sua auto che parte.
Mi alzo, raggiungo il telefono e chiamo Yuri.
Sono elettrizzata come la sera dopo la cena libanese.
Voglio gridargli che lo amo. Che scelgo lui. Che sono sua
per sempre.
Una voce mi risponde che l’utente non è raggiungibile.
Resto un po’ interdetta, non ricordo fosse mai accaduto
prima. Lui c’era sempre.
Lascio trascorrere un po’ di tempo, col pensiero fisso di
lui. Poi richiamo.
Niente. Ancora irraggiungibile.
Le ore passano interminabili e i miei tentativi si
infrangono contro quell’odiosa voce elettronica.
Sono le quindici e trenta.
61
Decido di chiamare il suo ufficio. Mi risponde David, un
suo collega.
“Buona sera, David. Cercavo Yuri. E’ in ufficio?”
Nessuna risposta. David era lì, muto.
“Pronto? Mi senti?”
“Si. Ecco… ehm” balbetta lasciando seguire un altro
interminabile silenzio.
“David, che succede?”
“Scusami, pensavo lo sapessi”
“Sapere cosa?” chiedo allarmata
“Ecco…”
“Cosa dovrei sapere?”
“Ecco, lui… non c’è più”
“Cosa cazzo stai dicendo?”
“Ti prego, stai calma”
“David, cazzo. Cosa significa che non c’è più?”
“Si è tolto la vita. L’estate scorsa. Lo hanno trovato nella
sua camera d’albergo con un …”
Il cellulare mi scivola via dalle mani. Sento una sensazione
di gelo nella testa. Vedo davanti a me il suo ultimo
sorriso. Sento sul volto la sua ultima carezza.
Poi, di colpo, ogni emozione svanisce. Mi sento
pervadere da una calma irreale.
E nella fredda lucidità del momento, capisco cosa devo
fare.
Esco di casa, monto in auto e parto.
62
Imbocco la strada che porta al laghetto. Tante volte ho
fantasticato di andarci con lui. A questo fugace pensiero
mi spunta un sorriso.
Non ci sono mai andata con lui, ma sarà proprio lì che lo
raggiungerò!
Guardo davanti a me la lancetta del tachimetro che segna
i cento. Centoventi.
Scarto una curva a stento, evitando di poco il guardrail
dell’altra corsia. Centoquaranta. Centosessanta.
Finalmente scorgo lo specchio d’acqua, azzurro come
non lo avevo mai visto. Poco più avanti c’è un punto in
cui la strada sfiora il ciglio di una rupe che cade a picco
sul lago. Lo punto. Centosettanta. Centottanta.
Per qualche insana ragione sento il bisogno di sporgermi
verso lo specchietto retrovisore e guardarmi.
Sto ancora sorridendo. Così chiudo gli occhi…
Poi, il fracasso di assi di legno che si spezzano, seguito da
un interminabile silenzio. Riapro gli occhi e vedo solo
acqua… e cielo.
“Yuri, volo da te” sussurro.
E poi il buio.
Ed ora, eccomi qui. Con te che ti prendi gioco del mio
dolore. Merito l’inferno e non torno indietro.
63
Non c’è più nulla per cui valga la pena vivere.

Tornare indietro? Quel che è fatto è fatto amica mia. Le
traiettorie vanno in una sola direzione. La Fonte le genera
per lasciarle andare verso il loro destino. Un destino di
amore, di fede e di speranza.
Ci ha messi al mondo per guardare avanti, ci ha dato i
sogni per inseguirli e un’anima per crederci.
E ci ha dato la forza per riuscirci.
Riuscirci, mia cara, è il nostro scopo. Ed è anche ciò che
mantiene in vita la Fonte.
Non ti chiedo di tornare. Ti offro l’ultima chance di
salvare la Fonte. L’ultima possibilità di scelta.
Il cancello alla mia destra conduce in un altro mondo,
un’altra traiettoria. Una in cui tu non esisti ancora e il tuo
destino è tutto a compiere.
Quello alla mia sinistra conduce all’oblio. Di te non
resterà che polvere. La tua esistenza, come infinite prima
di te, troverà la sua fine.
Vedi Jadi? Anche adesso, con la minaccia che incombe su
di lei, la Fonte non tradisce il suo scopo.
64
Ti lascia libera di servirla oppure no. A te la decisione.
E questo è quanto.

Non si può sfuggire alle scelte, amici miei. Non si può vivere
ignorandole.
Anche non scegliere è in definitiva una scelta: quella sbagliata, come
Jadi ha avuto modo di scoprire.
E quando sei al termine del tuo viaggio, comunque tu ci sia
arrivato, ciò che ti aspetta in fondo è ancora una scelta.
L’ultima.
Ragazzacci, mi dispiace tanto ma funziona così.
Quale sarà la vostra prossima scelta?
Non serve chiederselo, serve compierla.
A me non resta che augurarvi che sia quella giusta.
Nel frattempo starò qui ad aspettarvi per discuterne faccia a faccia.
Ah-ah.
E questo è quanto, cari miei.
Come dite? La scelta di Jadi?
Oh imperdonabile. Dimenticavo il finale.
65
Beh, siamo ancora qui, no?
E se ci siete voi, c’è anche la Fonte. Voi cosa ne dite?
Potrei aggiungere altro, ma questa è un’altra storia.
Bon voyage mes amis
66

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Jadi

  • 1. 1
  • 2. 2
  • 3. 3 Racconto Fantasy Jadi Una donna, con il suo bagaglio di segreti occultati al mondo come gioielli rubati, si incamminò sulla strada per l’inferno. L’unica che le sia rimasta, crede. L’ultima a dirla tutta. Ma qualcuno la attende ai cancelli. Per presentarle il conto. Sono un lettore vorace di storie. Certo, leggo un po' di tutto, ma le storie mi hanno sempre attratto più di qualsiasi altra cosa. Le storie a volte sono specchi in cui, se vuoi, puoi cambiare l'immagine che ci vedi dentro. Fu così che un giorno in uno di quegli specchi vidi me stesso che scriveva... Nico Spadoni
  • 4. 4
  • 5. 5 Sulla soglia more senza passione è come fuoco dipinto sul muro. Non importa quanto sembri vero, non riuscirà mai a scaldarti. Non sono una santa, non lo sono mai stata. Ho fatto cose di cui mi vergogno e non cerco redenzione. Non voglio neanche comprensione. Ho sbagliato tutto. E quando me ne sono accorta non ho avuto il coraggio di porre rimedio. Vigliacca dici? No. Sono stata solo… debole. La forza è qualcosa che mi è sempre mancata proprio quando mi serviva. Chissà quante volte avrai sentito queste lagne. Perdonami ma non ero preparata a questo. Credevo che una come me finisse all’inferno per direttissima. Occorre guadagnarselo, mi dici. Guadagnarsi l’inferno. C’è da sbellicarsi. Ma tu non stai ridendo. Sei fin troppo serio. A
  • 6. 6 Vuoi ascoltare la mia storia prima di lasciarmi passare. Vuoi la mia storia? Ce l’ho una storia. Ma mettiti comodo perché ne ho un bel po’ da raccontare. Ecco bravo, così. Allora, mi chiamo Jadi, o almeno a lui piaceva chiamarmi così. Anche a me piaceva. Mi piaceva ogni cosa di lui. E’ entrato nella mia vita come un temporale estivo. Senza annunciarsi, senza premure. Mi è diluviato addosso travolgendomi. Prima del suo arrivo non mi ero mai resa conto di quanto desiderassi annegare nelle sue acque. A volte non capisci quanto riarsa sia la tua esistenza finché non scopri la gioia di sentirti fradicia. Le prime gocce ti allarmano, poi cominci a correre cercando un riparo. Alla fine ti ritrovi zuppa e, inatteso, ti si allarga un sorriso. La natura ci concepisce bagnati, giusto? Però la vita, giorno dopo giorno, ci inaridisce. Cominciando dal cuore, Ho ragione? Vedo che annuisci. Mi conforta saperti d’accordo. In fondo i miei vecchi non hanno messo al mondo un’allocca. Dov’ero rimasta? Ah certo, certo. Come? Hai ragione, sono andata troppo avanti.
  • 7. 7 Ok, cominciamo dal principio. Ho avuto una vita come tante. Famiglia di modeste pretese, due genitori che sbarcavano il lunario sudando dieci ore al giorno in una lavanderia industriale. Un fratello più grande. Di soli due anni ma che lui brandiva come fossero venti. Poche tenerezze e tante regole. Sono venuta su così, coriacea e attenta a non deludere chi mi stava attorno. Quando mi accorsi di essere cresciuta non ho perso tempo a cercare di capire che cosa comportasse. E, come recitando un copione già scritto, mi ritrovai ben presto in un altro letto di un’altra casa, in un'altra città, con accanto un uomo: a tutti gli effetti di legge, mio marito. Era quello che volevo? Credo di si, ma sai una cosa? Sapere quello che vuoi è un conto, sapere ciò di cui hai bisogno… beh, è tutto un altro paio di maniche. Ogni santo giorno lo passi a guardare quello che gli altri inseguono. Da brava donnina ti costruisci una coscienza sui giudizi, quelli degli altri naturalmente, fino a convincerti che ti conviene giocare le tue fiches sul sicuro. E’ ragionevole, no? Già, tu sorridi. Tu, il re dei croupier. Con il gioco d’azzardo ci vai a nozze.
  • 8. 8 So bene come la pensi, cosa credi? Chi non risica non rosica, dico bene? Hai ragione. Lo so adesso e in fondo lo sapevo anche allora. Una scelta d’amore dici? Credevo di si. Con i parametri di allora ci avrei scommesso un braccio. Peccato che i parametri erano sbagliati. Completamente. Ma torniamo alla mia storia. Ti va? La vita matrimoniale scorre in tutta la sua narcotizzante normalità. I giorni scandiscono al ritmo di una danza incessante e sempre uguale. Divertente all’inizio, non posso negarlo. Ma anche la musica più trascinante, se non cambia, dopo un po’ stanca. La verità, però, è che quando sei in ballo devi ballare, non importa più su quale musica. Come in una maratona danzante l’importante è arrivare in fondo e guai a fermarsi. E io, da brava moglie, non mi sono mai fermata. Lui, beh… oggi mi chiedo se avesse mai iniziato a danzare. Perché? Perché nella mia personale maratona lui era pressoché fermo sul posto, mentre io gli piroettavo intorno. Una coreografia asimmetrica in cui era fin troppo chiaro chi danzava per chi. Quanto ero cieca.
  • 9. 9 Ma non importa, anche quando ho aperto gli occhi, ho scelto di richiuderli e dimenticare ciò che ho visto. Ma su questo ci torno più avanti. Prima voglio che ti sia chiaro come si possa vivere una vita faticosa e avara, estranea alle esigenze più profonde del cuore e avere l’impudenza di chiamarlo amore. E’ in quella esatta accezione che io ho amato mio marito. Ed è bastato per restarne attaccata anche quando il vero amore mi ha sparato fuori dalla stratosfera, portandomi vicino alle stelle come non mi era mai successo prima. Non so se rendo l’idea. Quello che voglio dirti è che c’è stato un momento in cui mi è stata servita la felicità su un vassoio d’argento. L’ho riconosciuta subito, non avevo il minimo dubbio. E sai che ho fatto? Ci ho sputato dentro, senza vergogna. Merito l’inferno, caro mio. Lo so io e lo sai anche tu. Jadi… quando mi chiamava così volevo morirgli tra le braccia. Jadi… è tutto ciò che mi resta di lui. Senza averlo meritato.
  • 10. 10
  • 11. 11 Il vuoto intorno a vita appare molto diversa quando sei morto. Gli affanni, le paure, le insicurezze, i dubbi, riesci a vederli per quello che sono: madornali cazzate. Flatulenze silenziose, sganciate dal grande deretano di Dio. Vivi tutto il tempo sul fatiscente palcoscenico che il grande burattinaio ha allestito per te, recitando le battute che lui, nascosto dietro le quinte, ti suggerisce. Lui, capocomico volubile e moralista che fa e disfà la tua vita a suo piacimento. Finché non decide che è il momento che tu esca di scena. Così crepi e ti ritrovi qui, senza un pubblico che applaude, lontano dai riflettori. E ti chiedi: perché? Tu sai dirmelo? Ma chi se ne frega! Non c’è perdono per le mie colpe. Come? Ok, scusa. Vado avanti a raccontare. Alla vigilia del mio trentaquattresimo compleanno mi chiama il mio capo. E’ alle prese con un cliente L
  • 12. 12 complicato. Molti clienti lo erano e molte erano le telefonate che richiedevano il mio intervento. “No tesoro, mi servi tu.” odio quando mi chiama tesoro. “Sono in difficoltà. Qui ci giochiamo il contratto.” c’è sempre un contratto a rischio. Che incapaci. “Ok.” mi arrendo “Di che si tratta?” Prendo il volo quella sera stessa. Dopo cena mi metto a letto e comincio ad abbozzare l’ennesimo piano per salvare il mondo. Così mi addormento tra i fogli dei miei appunti. Tutto nella norma. Buonanotte. Il mattino seguente, giunta nell’arena, trovo tutti lì ad aspettarmi. Una dozzina di uomini tirati a lucido attorno ad un lungo tavolo ovale, pronti per l’imminente tiro a segno. Perciò, armata del mio letale sorriso da super consulente, prendo posto pronta a dare battaglia. Ascolto l’esordio del mio capo e annoto tutto sul mio blocco. Poi prendo un pennarello con l’intenzione di intervenire e cominciare il mio show ed è stato allora che mi accorgo di lui. Nella sala gremita di anonimi colletti bianchi, lui ha il vuoto intorno. Si, hai capito bene, il vuoto. Vedo una sorta di… spazio tra lui e tutto il resto. Come spiegartelo? E’ come cinto da una zona di rispetto, un fossato invisibile. Un aura di misteriosa diversità che mi intimidisce e allo stesso tempo mi attrae.
  • 13. 13 Non ha ancora proferito parola. E’ in fondo alla sala e mi fissa accigliato ma con interesse. Non scorgo scetticismo nel suo sguardo severo, piuttosto curiosità e aspettativa forse. Comincio a disegnare e a spiegare. Per tutto il tempo cerco di non guardarlo. Lui non interviene mai, nessuna domanda né commento. Nulla. Come sempre, riesco nella missione che mi era stata affidata. Tutti contenti alla fine. Un film già visto. Un applauso al super consulente. Grazie. Al termine della riunione, mentre gli altri abbandonano lentamente la sala, io inizio a buttare le mie cose in borsa. “Scusami. Possiamo darci del tu?” Alzo lo sguardo e c’è lui, ancora lì, al suo posto. Col sorriso più dolce e contagioso che abbia mai visto. Non era bello ma aveva un fascino che trascendeva tutti i canoni. “Sono Yuri. Non ricordo il tuo nome” mi dice senza aspettare la mia risposta. Io gli balbetto il mio nome di battesimo. “I tuoi amici ti chiamano così?” mi fa. “Si” rispondo perplessa. “Un po’ troppo lungo” osserva pensoso. “E’ il mio nome” replico, non sapendo bene dove volesse andare a parare.
  • 14. 14 Lui mi sorride ancora ma non aggiunge altro. Poi si rimette in piedi come per congedarsi. “Sei stata molto convincente prima” dice cambiando argomento. “Li hai stesi tutti, sarà interessante lavorare con te” “Grazie” gli dico, “ma non credo farò parte del team” “E perché mai?” “Vengo da fuori, qui ci sono altri colleghi molto bravi. Vi lascio in buone mani.” gli rispondo. Lui mi guarda sornione e dice: “Tu però tieni pronta la valigia, non si può mai dire” Non sapendo cosa replicare mi limito a sorridere. “A proposito, buon compleanno” “Oh… grazie ma… chi te lo ha detto?” Lui era così. Ti sorprendeva sempre. Come un illusionista. Quella fu la prima di innumerevoli volte. “Adesso devo andare.” mi liquida, ignorando la mia domanda. “Ti auguro buon viaggio” mi fa, ed esce dalla sala. Andato via, mi lascia addosso una leggera eccitazione. Sento nelle narici il profumo secco del suo dopobarba e nello stomaco la stretta morsa dei suoi enigmatici occhi neri. Mi sento turbata ma vagamente euforica.
  • 15. 15 Sai, non ero più l’attraente ragazza di qualche anno prima. Poco dopo il matrimonio mi fu diagnosticata una neoplasia. Ebbi fortuna. Le cure mi salvarono la vita. Ma restituirono al mondo un frigido ed irsuto pachiderma di ottanta chili. Fu dura accettarmi ma col tempo ci si abitua a tutto, no? Gli apprezzamenti degli uomini erano un lontano ricordo. Non che ne facessi un caso di stato. Ma che diamine, una donna merita di sentirsi desiderata ogni tanto, ti pare? Mi do della stupida. Yuri non ha mostrato alcun interesse per me. E’ stato solo gentile, niente di più. Decisa a non pensarci, raccolgo le ultime cose prima di andarmene quando, dietro di me, sento una voce dire: “Jadi” “Come, scusa?” “Jadi” mi ripete. “Ti chiamerò Jadi”. Poi, così come era riapparso, si dilegua. Abracadabra.
  • 16. 16
  • 17. 17 E questo è quanto el tipo questa Jadi. A sentirla adesso sembra la quintessenza della saggezza. Quando arrivano qui, danno tutti questa impressione. E’ una legge di natura. La morte ti rende una persona migliore. E’ una cosa che consiglio a tutti, ah-ah… La Jadi per cui forse state simpatizzando parla con il senno di una vita già vissuta. Non era tanto scafata nel mentre la viveva. Eh no, non lo era affatto. Ma non voglio aggiungere altro. Sarà lei stessa a farlo. Per lo meno, mi auguro lo faccia. Per quanto mi riguarda resterò ad ascoltarla, e sarà meglio che sia sincera. Non c’è posto qui per gli ipocriti. Qui potete arrabbiarvi o innamorarvi. Potete piangere o divertirvi. Potete inveire o pregare. Fate pure ciò che vi aggrada. Siate quel che siete, nessuno vi giudicherà. Ma, che il diavolo vi fulmini, non potete mentire! E questo è quanto. Sì, lo so, questo posto è un po’ diverso da come ve lo hanno descritto. Credevate al paradiso per i buoni e all’inferno per i cattivi. Nella ricompensa per la virtù e nella condanna per il peccato. B
  • 18. 18 Cosa volete che vi dica? Avete una grande immaginazione. Così la raccontate ai vostri figli e i vostri figli ai loro. Ci avete costruito intere istituzioni. Cazzo, ci avete perfino combattuto guerre. Ma, ancor più grave, ci avete ingabbiato la vostra esistenza. Vi siete arrogati a giudici della vita altrui e avete eletto gli altri a censori della vostra. Lasciamelo dire, siete dei coglioni autolesionisti! Forse un giorno mi stancherò di vedervi fare scempio del vostro dono e verrò a darvi una bella svegliata. Se non io, ci penserà la Fonte. Ad ogni buon conto, a parte l’umore, per me cambia poco. Anche quando toccherà a voi, mi troverete qui a fare meglio che posso il mio lavoro. Adesso perdonatemi ma la mia bella ospite attende. Devo proprio andare. Come dite? Chi sono io? Non temete, presto o tardi avremo modo di presentarci… come dio comanda. Ah-ah.  Sì, Jadi. Sei qui per guadagnarti l’inferno. O comunque tu voglia chiamarlo.
  • 19. 19 E c’è da aspettarsi che io per te sia il diavolo. Dico bene? Beh, non voglio contrariarti, può essere che lo sia o magari no. A tempo debito, sono sicuro, mi riconoscerai. Come? Non mi hai mai visto prima? Cara Jadi, gli occhi vedono solo ciò che si è disposti vedere. E tu questo lo sai fin troppo bene. Non è così? Io sono qui da quando tu mi ci hai messo. Sei disorientata? Non mi sorprende affatto. Ti conosco da sempre, ragazza mia. E tu da sempre conosci me. Hai vissuto ignorando questo tuo scomodo ed ingombrante amico, fino a renderlo invisibile. Dimenticandoti della sua esistenza. Eppure, nei freddi inverni del cuore, quando le notti non finiscono mai e la solitudine ti morde con i suoi denti aguzzi, tu vieni a cercarmi. Col mento sullo stomaco e un soffio di voce, mi chiedi consiglio. Se ne avessi ascoltato uno. Uno solo, Jadi. Chissà, forse non saresti qui adesso. Lo so, non sai di cosa parlo. Ma non è compito mio aiutarti a ricordare. Devi farlo da sola. Ne convengo, è una fregatura. Ma da queste parti funziona così. E questo è quanto.
  • 20. 20
  • 21. 21 Territori sconosciuti erchè? Non capisco. La mia catarsi dici? No, non credo che ci sia qualcosa da salvare nella mia anima. E tu dovresti saperlo. E’ strano però. La tua voce. Non saprei dirlo, il tono forse. Quello che mi hai appena detto, non so, mi riporta indietro. L’avevo proprio dimenticato. Sono nel mio letto. Mio marito dorme, avevamo appena fatto l’amore. E io piango. Avevo smesso di sentirmi donna ormai da tempo. Mi concedevo a lui perché è così che fanno le buone mogli, no? Per lui non sembrava un problema, forse non voleva farmelo pesare o non gli importava. Ma io piango in silenzio, mi commisero, e mi biasimo per non poter essere l’amante che lui vorrebbe. Fissando il soffitto con gli occhi gonfi di lacrime, prego: “Dio, aiutami a trovare la felicità con quel che mi resta. Aiutami ti prego…” E' solo frustrazione la mia, non sarei mai stata felice, e nessuno avrebbe risposto alle mie preghiere. P
  • 22. 22 Ma proprio mentre il torpore sta per avvolgermi, sento una voce nella testa: “Cazzate! Vuoi la felicità? Prenditela!” Sobbalzo. Ma dopo qualche istante mi convinco di averla sognata. E poi devo averla completamente dimenticata. Almeno fino ad oggi. Eri tu, vero? SMETTILA DI SORRIDERE, ERI TU? Va bene. Mi calmo. Dammi solo un minuto, ok? Come? No, fu prima di incontrare Yuri. Ma questo lo sai già. La mia prospettiva, dici? Immagino di non avere molta scelta, vero? Già. Ecco, rivedo Yuri qualche settimana dopo. Il mio capo mi aveva affidato il cliente. Questo mi costringeva a soggiornare fuori casa per tre o quattro giorni a settimana. Yuri ed io ci ritroviamo a lavorare gomito a gomito per tutto il tempo. Lui è una mente brillante, si appassiona al lavoro come pochi. E’ curioso e impara velocemente. Sdrammatizza i momenti di crisi e poi… sa farmi ridere. Qualche volta, la sera, nella solitudine della mia camera d’albergo, la mia mente vaga alla ricerca delle sensazioni che lui mi suscitava.
  • 23. 23 A volte mi sorprendo ad immaginare il sapore delle sue labbra o il calore delle sue mani sulla mia pelle. Scaccio, turbata, quei pensieri. “Sei sposata” mi dico a voce alta. “E’ un cliente!”. Con un senso di sconfitta censuro le mie fantasie da adolescente, e torno alla vita di sempre. Ma un giorno accade qualcosa. E da allora la mia vita cambia per sempre. “Pronto?” “Ciao, Yuri” “Buongiorno, Jadi. Dimmi tutto” “Ecco, sono dispiaciuta ma questa settimana non riesco a venire” “Niente di grave, spero” “No, guarda. Colpa mia. Ho dimenticato di prenotare l’hotel. E adesso non ne trovo uno libero” “Tutto qui?” “Beh, si” “Metti giù, ti richiamo subito” e riaggancia. Qualche minuto dopo mi richiama: “Jadi, la receptionist mi chiede se preferisci la colazione in sala o in giardino” “Ma… ma come hai fatto?” “Non è questa la domanda giusta” “Ah no? E quale sarebbe”
  • 24. 24 “Quando me la farai, te lo dirò” Il suo tono era sempre allegro e allo stesso tempo fermo. Non capivo mai se scherzasse oppure no. Comunque, io la prendo bene. Era diventata per me una piacevole abitudine lavorare con lui. E a dirla tutta, quando non c’era, mi mancava. Durante il viaggio che mi porta da lui, fantastico sui colori del giardino dove l’indomani avrei fatto colazione. Non so ancora che Yuri, in quel giardino, è ospite fisso. Sorpresa! “Vuoi dirmi dove dormirò stanotte o devo accamparmi in ufficio?” “Hai ragione. Andiamo ti accompagno. E’ qui vicino” “Ma perché tutto questo mistero?” “Dai, andiamo” Sapeva essere irritante. Lo odiavo quando mi lasciava in sospeso. E lui sembrava divertirsi a farlo. L’hotel è a non più di dieci minuti a piedi. Quando entriamo nella hall, la receptionist accoglie Yuri con un sorriso, prende una chiave e gliela porge. “Buonasera Simona, grazie. E quella della dottoressa?” “Ma certo. Buonasera Dottoressa, posso chiederle il documento?” Mentre la donna traffica sul suo computer, io comincio a realizzare quello che stava accadendo.
  • 25. 25 Mi sento a disagio, come se stessi violando uno spazio che non mi apparteneva. Lavorare insieme è un conto, dormire a qualche metro di distanza è tutta un’altra storia. La mia mente comincia ad esplorare territori sconosciuti. Provo un senso di smarrimento e di inquietudine. Lui forse se ne accorge e dice: “Jadi, nessun albergo può farti sentire a casa tua come questo. Da quando l’ho scoperto non ho più cambiato. Ti piacerà” “Bene” balbetto. “Io salgo in camera mia. Tu sarai stanca dal viaggio. Riposa bene, io vado” A grandi falcate raggiunge l’ascensore già aperto. Entra, mi lancia un sorriso e scompare dietro le porte che si richiudono. Prendere le distanze da me, era il suo modo di rassicurarmi, di concedermi l’intimità che mi serviva. Sapeva leggermi dentro, e riusciva sempre a darmi ciò di cui avevo bisogno. Quando sono in camera sento un nodo allo stomaco, ed una strana ebbrezza che non riesco a placare. Faccio una lunga doccia, ma quella sensazione non passa. Voglio rivederlo. Voglio rivederlo subito. Prendo il cellulare e scrivo un sms: # Ho una fame da lupo, e tu?
  • 26. 26 Attendo con impazienza la sua risposta. Poi il cellulare si illumina: # Sono di sotto, ti piace la cucina libanese? Non perdeva un colpo, se avevo bisogno lui c’era. Sempre.
  • 27. 27
  • 28. 28
  • 29. 29 Quello che non ti ho detto suoi occhi erano… premurosi. Non so dirlo meglio. Raramente si staccavano dai miei, eppure non erano invadenti. Gentili e… familiari piuttosto. Come vecchi amici che fa sempre piacere avere in casa, anche quando non sei dell’umore. Specialmente quando non sei dell’umore. Passeggiamo per non so quanto, chiacchierando per lo più di lavoro. Sto molto attenta a non parlare della sistemazione in hotel, non voglio avventurarmi in quel campo minato. Arriviamo al ristorante libanese, un piccolo anfratto nel seminterrato di un palazzotto del centro storico. Lontanissimo da quanto mi aspettassi, luminoso, elegante, essenziale. Glielo dissi e lui mi spiegò che il Libano, prima della guerra civile, rappresentava la culla della cultura mediorientale. Aperto al mondo, con uno stile di vita molto sofisticato ed una economia prospera. Non faccio nessuna fatica a credergli. Quel posto sembrava confermare tutto. Ci accomodiamo in un angolo e ordiniamo accogliendo i consigli di una cameriera che, fatta eccezione per la divisa I
  • 30. 30 da lavoro, sembrava uscita dalle pagine di Le mille e una notte. Lui sceglie il vino, uno Château Ksara, mi pare di ricordare. Io mi limito ad annuire e, come spesso mi capitava con lui, a fidarmi. Non è la prima volta che ceniamo insieme, ma quella sera è diversa dalle altre. Io sono diversa. Guardarlo, ascoltare la sua voce, sentirlo così vicino, manda in cortocircuito la mia mappa del mondo. Mi sento come una radio che riceve troppe stazioni e non c’è modo di sintonizzarla. Lo percepisco ovunque, nella testa, nello stomaco, sulla pelle e… in un angolo della coscienza che nemmeno immaginavo esistesse. Hai presente quei film dove il protagonista scopre una stanza segreta nella propria casa? Ecco, mi sento così. Intimidita e curiosa al tempo stesso. Molto curiosa. “Cos’hai stasera?” chiede all’improvviso, ridestandomi dalle mie elucubrazioni. “Nulla, perché?” rispondo allarmata. “Non so, mi sembri preoccupata” “Sarà la stanchezza del viaggio” replico, tentando di sorvolare l’argomento. “Jadi io…” e si interrompe, la cameriera ci serve la cena. “Cosa?” lo incalzo.
  • 31. 31 “…credo sia meglio non far troppo tardi, devi riposare. Domani mi servi in forma” si affrettò a dire. Io non la bevo, qualcosa nella sua voce mi dice che ha cambiato argomento di proposito. Cosa voleva dirmi? Non ho il coraggio di chiederglielo. Così l’attimo svanisce. Tornando in albergo, mi sento un po’ incerta sulle gambe, forse è l’effetto dello Ksara, o come cavolo si chiamava. Non oso appoggiarmi al suo braccio, Dio solo sa quanto lo volessi. Lui si mostra amabile e gentile come al solito, quell’esitazione, quel turbamento che avevo registrato a cena, sembra scomparso. Forse me lo sono immaginato, penso. Mi do della stupida. Appena giunta in camera, mi abbandono sul letto esausta. Non ho la forza di spogliarmi. Guardo sul comodino il cellulare e penso di scrivergli. E chiedergli cosa volesse dire con quel “Jadi, io…”? Il suo sguardo egemonizza i miei pensieri, la pressione allo stomaco è insostenibile. Poi qualcosa mi scuote. Una vibrazione, un tremolio quasi impercettibile al basso ventre. Una sensazione che lì per lì non riesco a interpretare. Era l’equivalente fisico dell’ansia che coglie i bambini al risveglio la mattina di Natale, mi spiego? Una sorta di desiderio che si sta realizzando. Una promessa che sta per essere mantenuta. Solo che, lo
  • 32. 32 percepivo ad un livello di sensualità nuovo. Lo sentivo tra le gambe come una carezza. Perdonami se enfatizzo ma io non credo di essermi mai sentita così in vita mia. Neanche quando baciai per la prima volta un ragazzo, neanche quando conobbi mio marito. Mai prima di allora. Così, afferro il cellulare con l’intenzione di scrivergli ma, indovina un po’? Abracadabra, lui mi precede. #stai dormendo? Volevo darti la buonanotte, con una canzone. Nel messaggio c’è un link. Ci clicco sopra e parte una canzone dei Modà: Quello che non ti ho detto. La ascolto, gli occhi mi si gonfiano di lacrime, lo stomaco mi si accartoccia e il cuore sembra volermi uscire dal petto a forza. Mi appare all’improvviso la mano di Simona che impugna la chiave di Yuri. 405. Mi precipito fuori dalla stanza, lasciando la porta aperta. Me ne sarei accorta solo il mattino successivo. 405… 405… è l’unico pensiero che mi martella nella testa. Devo salire di un piano. Prendo le scale, imbocco il corridoio. 402… 404… 401, maledizione dove cazzo è? 405!!! Mi blocco. Sono pietrificata. Cosa sto facendo? mi chiedo
  • 33. 33 In quel momento la porta della stanza si apre. Lui è lì, ancora vestito. Mi guarda, io gli sorrido col volto rigato di lacrime. “Amore mio” gli sussurro. E come mai avrei pensato potesse accadermi, mi lancio tra le sue braccia. Nel buio pesto della mia anima esplode una luce che cambia per sempre quello che ero stata e tutto quello in cui avevo creduto.
  • 34. 34
  • 35. 35 Bolle di sapone a bambina andavo matta per le bolle di sapone. Ricordo che, rintanata in bagno, mi impiastricciavo le mani col sapone liquido che mia madre usava per lavare i piatti. Ho ancora nelle narici il pungente odore di limone che mi rimaneva addosso per tutto il giorno. Con le maniche tirate inutilmente su, perché poi mi infradiciavo dalla testa ai piedi, affinavo con caparbietà la mia tecnica. Intrecciavo le dita a mani giunte, fino a serrarle come se stessi pregando. Poi lentamente, le aprivo sfregandole tra loro. Una manovra esageratamente teatrale, perché in effetti era solo l’aderenza tra i pollici e gli indici che produceva quello che mi serviva. Se la consistenza della saponata era quella giusta, e in questo ero diventata una piccola alchimista, vedevo sotto i miei occhi allargarsi un diaframma tremolante. Quindi puntavo verso il cielo l’iridescente lamina di cristallo che avevo tra le dita e ci soffiavo dentro. Finalmente, succedeva qualcosa che ai miei occhi di bambina era un autentico prodigio. D
  • 36. 36 Guardavo una sfera incantata materializzarsi dal nulla e librarsi nell’aria senza peso. La seguivo ammirata nel suo breve viaggio, fino all’inevitabile scoppio che la vaporizzava in un istante. Forse fu allora che cominciai a realizzare il concetto di limite. Ricordo anche che, dopo un po’, il mio entusiasmo per le bolle non era più rivolto a crearle, ma a salvarle. Provavo e riprovavo a recuperarle prima che esplodessero, cercando il sistema più delicato possibile. Effimeri tentativi come puoi immaginare. Come dici? Beh non saprei, non ricordo esattamente. Credo che un bel giorno semplicemente ho smesso di crederci e ci ho rinunciato. Bolle di sapone… Yuri è stata la mia bolla più riuscita, l’ultima. La più struggente. Una vera magia che si è dilatata fino ad inglobarmi. Ammirare una bolla di sapone è capitato a tutti, anche a te immagino. Ma l’esperienza di esserci dentro, mio caro, è qualcosa che ti toglie il fiato. Ti senti inerme e insieme in estasi. Hai paura di muoverti per non romperla, vorresti durasse per sempre, ma allo stesso tempo sei assalito dal terrore di restarne intrappolato.
  • 37. 37 Lui mi trascinava con sé in un mondo incantato, in un’altra dimensione in cui il tempo si fermava e intorno a me tutto danzava sulle note di una musica ammaliante. Tutto mi appariva più vivo, e mi apparteneva. Lui, mi apparteneva. I suoi occhi, che riuscivano a incendiarmi come una torcia. Il suo sorriso elargito così di rado che, quando appariva, il mio cuore perdeva un battito. I luoghi in cui mi portava, sempre inattesi, carichi di significato, mai casuali. E le storie che mi raccontava, coinvolgendomi fino a farmele vivere come se ci fossi dentro. Erano per me, lui viveva per me. Tutto ciò che faceva era per me. Ho vissuto quei momenti al calore della sua dedizione e me ne sono nutrita con avidità e bramosia. Nella mia esistenza piatta e grigia di prima si era insediato un fantastico luna park dove, di tanto in tanto, mi rifugiavo e in cui trovavo tutto ciò che mi mancava. Finché, da un giorno all’altro, la musica e le luci del mio amato parco dei divertimenti si spensero. Clic! “Jadi…” La sua voce rompe il silenzio notturno nella stanza.
  • 38. 38 Sono abbracciata a lui, come sempre dopo aver fatto l’amore e, nel torpore che precede il sonno, mi fa sussultare. “Jadi, io ho bisogno di te” ancora intontita non afferro. “Io ho bisogno di te, lo capisci vero?” ripete. “Yuri… sono qui, con te” mormoro. “Si, sei con me” dice. “Ma per chi? Per me o per te?” Per qualche istante resto ammutolita, la mia reazione è quella di difendermi ma ad un tratto riconosco la verità dietro i dubbi di Yuri. “Io…” “Lascia stare, scusami” mi interrompe. “Non dar peso a quello che ho detto” Mi stringe a sé e non dice più nulla. Resto in ascolto del suo respiro, che pian piano rallenta. Si addormenta. Io non ci riesco. Sento la paura che mi assale. Un’irrazionale sensazione di perdita imminente. Una domanda, cazzo! Una stupida domanda mi scaraventa fuori dal dorato castello di carta che mi ero costruito, costringendomi a fare i conti con la vita vera. Yuri era la mia spiaggia esotica. Quando mai le spiagge ti chiedono qualcosa, me lo dici? Restano lì in eterno, giusto? E aspettano che qualcuno le raggiunga e si goda quello che hanno da offrire, non è così?
  • 39. 39 Non avevo mai pensato alla nostra relazione in questi termini ma l’invocazione di Yuri mi ha aperto gli occhi. E sai cosa ho fatto, amico mio? Li richiusi. Li ho serrati… da vera stronza. Lo guardo dormire, sento una fitta al cuore e ripenso alle mie bolle. Avevo giocato col sapone, avevo soffiato la mia bolla più spettacolare, l’avevo vista volare sempre più in alto. E adesso, la vedo invertire la traiettoria. La guardo e so che sta per cadere. La guardo e so che sta per scoppiare. Non ci provo neanche a salvarla. E decido che, forse, è inevitabile. Clic!
  • 40. 40
  • 41. 41 Scelta obbligata iente fu più come prima. Non saprei indicare l’istante esatto in cui la bolla scoppiò. A volte sei troppo presa da quello che vuoi per accorgerti di quello che ti accade intorno. A volte preferisci ignorare quello che ti accade intorno, cazzo. Cosa volevo, mi chiedi? Hai fatto centro, amico mio! E’ proprio qui che casca l’asino. Cos’è che volevo? Yuri riuscì a darmi quello che mi era sempre mancato, credimi. Ma non per questo ero disposta a perdere quello che già avevo. Avevo un marito che in fondo amavo ancora, avevo la bellissima casa che insieme abbiamo costruito, e poi avevo il disperato desiderio di diventare mamma. Non l’avrei mai ammesso a voce alta ma una relazione extraconiugale non valeva le conseguenze di un matrimonio mandato all’aria. Eppure non potevo fare a meno di Yuri. Volevo anche lui. Volevo tutto. N
  • 42. 42 Perciò feci man bassa e presi da lui tutto ciò che riuscii a prendere. Inebriata dall’abbondanza che lui sapeva elargire, io continuai a prendere… e prendere. Come un parassita mi nutrii del suo amore succhiandogli l’anima. Forse credevo che la sua dolcezza, la sua passione, la sua attenzione, fossero infiniti. Ma chi voglio prendere in giro? Semplicemente non mi posi il problema. E andai avanti così, finché la sorgente si esaurì. “Pronto?” la voce atona di Yuri mi lascia interdetta. “Yuri, è successo qualcosa?” “No, tutto ok” risponde “Sono in treno” dico per spezzare la strana tensione nella sua voce. “Dovrei essere lì per mezzogiorno” “Va bene” risponde senza entusiasmo. Capisco che qualcosa non va, è sempre su di giri quando sto per raggiungerlo. “Mi sembri giù di corda, non sei co…” “Senti, quando arrivi non venire in ufficio, vai in hotel e aspettami lì. Ti raggiungo io” Non faccio in tempo a replicare che ha già riagganciato. Non si era mai comportato così. Sono confusa e impaurita. Sei con me. Ma per chi? Per me o per te?
  • 43. 43 Il ricordo di quella domanda riecheggia nefasta nella mia testa come una campana a morto. Non so cosa aspettarmi, ma una cosa la so. Niente di buono. “Yuri, amore, cosa…” “Aspetta Jadi” mi interrompe. “Voglio che tu mi ascolti. E quando avrò finito voglio una tua risposta. Una rispo- sta definitiva, mi hai capito?” io annuisco ma sono terro- rizzata. “Sei sempre stata un libro aperto per me. Sin dal primo momento avevo letto in te un infinito bisogno di essere amata. Non chiedermi perché, è un dono forse. Oppure è quell’affinità misteriosa che rende immediatamente rico- noscibile la persona con cui condividerai il resto della vi- ta. Non so dirlo e per la verità neanche mi importa. Quello che importa è che quando ti ho incontrata ho ca- pito che quella persona sei tu. E da quel giorno non passa un solo momento senza che io cerchi un modo per ren- derti felice. Vivo per esserci sempre quando mi cerchi. Ogni passo che compio lo faccio per avvicinarmi a te. Io sono tuo, lo sai vero? Ho accettato i dolorosi vincoli che la tua condizione mi impone. Di vederti solo qualche giorno al mese. Di saper- ti nel letto di un altro. Di rinunciare a sentirti quando sei con lui, e Dio sa quante volte ne ho avuto bisogno.
  • 44. 44 Ho sopportato fino ad oggi il tuo funambolismo tra la vi- ta di sempre e i momenti con me. Il tuo giocare con pesi e contrappesi nel tentativo di trovare una forma di com- pensazione, quella tua effimera ricerca di un equilibrio universale che salvi la tua incapacità di fare una scelta. Un supplizio patito nella speranza che tutto questo alla fine avesse un senso. Che fosse il prezzo della felicità che inseguo da sempre e che finora mi è stata negata. Jadi, io ti amo più di me stesso. Niente cambierà mai que- sta semplice realtà. Ma anche io ho bisogno di essere amato. Posso aspettare ancora. Ma non posso più vivere di spe- ranza. Devo sapere se sei mia, come io sono tuo e devo saperlo ora.” Non so cosa rispondergli, mi sento precipitare nell’abisso da cui mi ero sempre tenuta lontana. Riesco appena a guardarlo e a piangere in silenzio. “E’ una promessa che voglio, Jadi” aggiunse, “e la voglio adesso.” Poi rimane in silenzio, aspettando una mia risposta. Io annego nelle mie stesse lacrime e non riesco a parlare. Ci provo ma vengono fuori solo gorgoglii e singhiozzi. Pietoso. Se non fossi assalita dalla disperazione di sentirmi in trappola forse avrei capito subito che dietro la sua stra-
  • 45. 45 ziante richiesta di aiuto si celava, la più dolce e meravi- gliosa offerta di amore eterno. Ma la paura di perdere quello che trascinavo da tutta una vita, di soccombere al biasimo delle persone a cui volevo bene, di far soffrire l’uomo che mi ha accompagnato per tanti anni, mi rende cieca e sorda. Così ammutolisco. “Jadi, so come ti senti” mi dice rompendo l’interminabile silenzio “e lo capisco, ma ho fatto tutto quello che posso. Adesso tocca a te. Devi scegliere.” Mi sorride come non lo vedevo fare da settimane, mi ba- cia sulle labbra e con un’ultima carezza si congeda senza dire altro. Lo guardo uscire dalla mia stanza e capisco che sta uscendo dalla mia vita. Penso di corrergli dietro, di stringerlo e gridargli che sono sua. Ci penso e intanto lo perdo. Ci penso ancora adesso che l’ho perso.
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  • 47. 47 La Fonte more. Il più equivoco tra i fenomeni dell’esistenza. Non sei d’accordo, mia cara? Non è colpa tua Jadi, non è colpa di nessuno… ehi non è neanche colpa mia, semmai ti venisse il dubbio! Siete fatti così, pochi grammi di materia organica e un infinito dentro. Chiamalo sentimento, anima, chiamalo come ti pare. La verità è che si tratta di qualcosa di immenso che ti porti dentro dalla nascita. Una energia potente e inquieta che non puoi contenere e non puoi sopprimere. Non puoi trattenerla. Lei ti chiede di liberarla, e te lo grida nella testa fino a farti male. Fino a impedirti di pensare ad altro. A te non resta che obbedirle. Ma poi ti rendi conto di non esserne capace. Già, proprio così, troppo faticoso. Non ci riesci! Ci provi con tutte le forze per poi scoprire che non basta mai. Che non dipende dalle tue intenzioni. Che non risponde alla tua volontà. Ed ecco servita la grande beffa, il paradosso dell’esistenza umana. A
  • 48. 48 Però, voglio svelarti un segreto. Se ci stai attenta, se provi ad ascoltarla, è lei stessa a suggerirti come farcela. Ma, bada, non è gentile. E’ la tua spina nel fianco e la tua guida scorbutica e prepotente. E al momento buono, è lei che sceglie per te. Ti costringe a cercare, con le cattive se è necessario. E mentre tu rimbalzi di qua e di là, lei aspetta di trovare il “conduttore” attraverso cui fluire. Oh si, cara. Puoi stare certa che lo farà e quando accadrà lo farà fino in fondo, lasciandoti vuota e inerte come una pila scarica. Puoi solo sperare che quel conduttore abbia di che ricambiare. Certo puoi anche resisterle, decidere di soffocarla. E forse per un po’ potresti anche farcela. Ma a che prezzo? Angoscia e tristezza. Ironico vero? Ehi, non guardarmi così, io non c’entro. Mi dispiace tanto ma funziona così: la vita è dolore, Jadi. L’amore né è la causa. L’amore ne è la cura. E’ tutto qui: un mistero tanto inflazionato quanto incompreso. La Fonte ha voluto così. Come dici? Quale Fonte? Aspetta, ci sto arrivando.
  • 49. 49 Non è facile spiegarlo perché tu lo comprenda, diamine, neanche io lo capisco fino in fondo. Ma ascolta con attenzione. Immagina la Fonte come un buco nell’universo da cui zampillano infinite scintille di luce, ciascuna con la sua traiettoria. Scintille che si proiettano in ogni direzione da sempre. Prendi adesso uno di questi infiniti lapilli, immagina di osservarlo da vicino, prova a seguire la sua traiettoria. Lo vedrai tracciare un meraviglioso arco luminoso dall’origine verso la sua ignota destinazione, fino a spegnersi quando non avrà più energia per proseguire. Così non ne resta che polvere dispersa nel vuoto. Non ne resta più nulla. Questa particella, Jadi, è ciò che tu chiami esistenza. La sua traiettoria è ciò che tu chiami destino. La vita, mia cara, è tutto ciò che accade all’interno di quella scintilla. E quanto vi accade determina la durata del suo viaggio. In definitiva, come tu scegli di usare la tua energia, così cambia la traiettoria della realtà in cui vivi. Come dici? Le altre scintille? Questa è la parte che preferisco. Per te che ci sei dentro, quella scintilla è tutto ciò che immagini possa esistere, è la tua realtà, il tuo universo. Ma esistono infiniti mondi, Jadi.
  • 50. 50 Identici alla nascita ma la cui traiettoria è affidata al caso. E’ pazzesco vero? Ma te lo immagini? Mentre tu vivi la tua esistenza e in ogni istante prendi delle decisioni compiendo delle scelte più o meno difficili, infinite versioni di te compiono le loro. E questo vale per ogni creatura della terra. Prova ora a concepire un numero grande abbastanza per quantificare ogni possibile combinazione tra ogni possibile scelta nella storia dell’umanità, ed elevalo all’infinitesima potenza. Ecco questo è ciò che accade nell’istante all’interno della Fonte. Questo è ciò che accade in ogni istante da quando la Fonte esiste. E per quanto ne sappia, esiste da sempre. Qual è il senso di tutto questo, mi chiedi? Beh, che dire… Non lo so con certezza. Probabilmente la Fonte è un dio che gioca ai dadi, un sacco di dadi. Chissà, forse è in attesa di tirare un punto che non è ancora uscito. Non mi è dato di saperlo. Ma è così che funziona. Tutto serve la Fonte, Jadi. Io, tu, ogni atomo di questo molteplice universo, esistiamo per servire la Fonte. Pensaci un momento: quella vocina interiore che ti spinge a chiederti come sarebbe la tua vita se avessi fatto una scelta diversa, non è forse il desiderio di una nuova scintilla?
  • 51. 51 Ogni volta che ti è capitato di chiedere una seconda occasione, non è forse quella convinzione che possa esistere una traiettoria diversa? E quella speranza che ti aiuta ad andare avanti, e che anche quando tutto sembra perduto, non ti abbandona mai del tutto, non è forse la segreta certezza di un nuovo inizio? La natura della Fonte è dentro di noi, Jadi. Siamo fatti della sua stessa materia, della sua stessa energia. La nostra esistenza non è conseguenza di un capriccio dell’universo, ma ne è il senso ultimo. E questo ci riporta alla ragione per cui adesso sei qui. Ha a che vedere con la tua storia. Ha a che vedere con i cancelli che vedi alle mie spalle. Ha a che vedere con la sopravivenza della Fonte stessa. Perché, amica mia, tutti noi abbiamo una missione. Tenere in vita la Fonte.
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  • 53. 53 I prescelti ono tempi oscuri, Jadi. L’energia che alimenta la Fonte si sta dissipando ad opera delle sue stesse pulsioni. Più questa si attenua e più la Fonte si produce in nuove eruzioni. Dio che gioca ai dadi, ricordi? E sta perdendo. Le traiettorie sono sempre più corte. La Fonte è vittima impotente della sua stessa natura, del suo stesso scopo. L’ostinato compito di generare mondi, ricreare universi, la sta uccidendo. Qual è il significato di tutto questo? Non lo so con certezza. Posso ipotizzare che generare per essere amati dalle nostre creature sia l’esperienza più alta di cui siamo capaci. Non trovi? Tu hai scelto di rinunciare a Yari e chissà a cos’altro per inseguire… com’è che hai detto? Il disperato desiderio di diventare mamma, giusto? E noi siamo sue creature, Jadi. Siamo fatti come lei. Insomma, io riesco a spiegarmela così e non vorrei mai spiegarmela in altro modo. S
  • 54. 54 Ma, per nostra fortuna, la Fonte ha preso, per così dire, delle contromisure. Vedila come dio che lancia una coppia di dadi truccata. E in questo lancio quella coppia, mia cara, siete tu e Yari. Ti vedo confusa. Mi spiego meglio. La Fonte si nutre dell’energia scaturita dai legami tra le sue creature. A volte, i legami che si instaurano creano un nuovo stato esistenziale in cui l’energia totale sovrabbonda la somma dei suoi singoli elementi. Purtroppo però siamo in tempi di instabilità. Forse anche la Fonte invecchia. Chi può dirlo? Sta di fatto che quasi tutti i legami ormai sono deboli, fragili e l’energia complessiva della Fonte sta digradando inesorabile. E qui entrate in gioco voi. Voi due siete speciali. Siete quelli che nell’antica lingua si chiamavano Elektitaj, significa i prescelti. Perché voi? Questa domanda non è rilevante. Come mai, tra i tanti elementi presenti in natura, soltanto due se legati insieme diventano acqua? E perché solo due, tra i restanti, uniti ai primi hanno dato alla luce quell’iniziale frammento di ciò che siamo? Le cose stanno così, tu e Yuri siete nati per una ragione superiore. Il vostro legame ha tutta l’energia necessaria a rigenerare la Fonte. Non c’è altro da sapere.
  • 55. 55 La Fonte non può obbligarti a perseguire il tuo scopo. Anzi, credo che nemmeno lo voglia. Che valore avrebbe un dono ricevuto per costrizione? Ti pare? La magia che percepivi quando eri con lui, l’attrazione irresistibile che ti portava a cercarlo sempre e quell’angoscia che ha riempito il vuoto scavato dalle tue stesse rinunce. Tutto questo, mia cara, è il modo con cui la Fonte ti urlava in faccia la tua missione. Tu e l’uomo a cui hai voltato le spalle, siete stati fatti per questo unico fine. Donarvi alla Fonte. Ma… non è accaduto. Perciò, veniamo al perché ora sei qui. Diciamo che i dadi sono stati lanciati, il primo ha già dato il punto sperato, l’altro sei tu, che hai smesso di rotolare ma sei ancora in bilico. Hai la possibilità di scegliere su quale lato cadere, Jadi. L’ultima possibilità di salvare la Fonte. Dipende da te. E questo è quanto.  Sai è buffo. Una volta lui me lo disse. Non della Fonte, naturalmente, ma mi parlò di una meta.
  • 56. 56 Era un pomeriggio, io sono seduta in postazione a lavorare. Il rumore della pioggia che sferza la grande finestra si sovrappone al mio picchiettare sulla tastiera. Nel silenzio assoluto dell’ufficio quel sommesso concerto di percussioni mi ha letteralmente ipnotizzato. Dopo non so quanto tempo, riemergo dalla mia trance e lo cerco con lo sguardo. Lo trovo lì accanto a me. Silenzioso, che fissa i vetri della finestra rapito da chissà quali pensieri. Quando era pensoso o concentrato il suo fascino rifulgeva fino ad accecarti. E ogni volta ero sorpresa dall’impulso di baciarlo e dirgli che era mio. Ma, data la situazione, questa volta mi limito a canzonarlo. “Toc toc, c’è nessuno in casa?” Lui mi guarda, con aria ancora assorta. Non dice nulla. Poi sorride. Credo di averti parlato del suo sorriso, vero? Io ricambio non sapendo bene cosa aspettarmi. “Quante probabilità avevamo noi due di incontrarci?” mi chiede. “In effetti…” gli rispondo colta un po’ alla sprovvista. “Pensaci bene. Pensa a cosa ti ha portato qui, alle condizioni in cui ci siamo conosciuti. Pensa alle mille ragioni per cui non avremmo dovuto fare ciò che abbiamo fatto. E a quanto ci costi tutto questo” “Dove vuoi arrivare?”
  • 57. 57 “Ma non capisci? Perché io e te siamo qui? Insomma perché io e te?” “E’ importante?” gli faccio io. “Si, Jadi. E’ importante per me. Tutto ha uno scopo. Tutto DEVE avere un senso.” Resto in silenzio, non sapendo cosa dire. “Qual è il nostro?” riprende lui. “Ci amiamo?” provo a rispondere. “No, quello è un sintomo. La domanda vera è: perché?” “Ti ricordi? La domanda giusta…” “Già, rammento. Quando me la farai, te lo dirò, mi dicesti” “Esatto. Se siamo insieme deve esserci una ragione. Una strada da percorrere. Una destinazione da raggiungere. Deve essere così”. Quella sua incessante ricerca di significato era la cosa che lo rendeva diverso da chiunque abbia mai conosciuto. Unico. A volte non riuscivo a seguirlo, piuttosto mi trascinava via con sé e a me non restava che lasciarmi andare. Ma ora capisco che lui lo sapeva. L’aveva sempre saputo. La sua fede nel fine ultimo era assoluta. Come la sua fiducia in me. E io l’ho tradita.
  • 58. 58
  • 59. 59 L’ultima scelta i proponi di tornare indietro? Di rimediare ai miei sbagli? No amico mio. E’ tutto compromesso. Ormai non c’è più nulla per cui tornare. Come? No, ti prego, non voglio ricordare! Mi fa troppo male! Va bene, che tu sia maledetto, ma poi basta! Quel giorno arrivai a capire il dolore che il mio egoismo gli aveva inflitto. E compresi con quanto amore lui lo aveva sopportato. Ma più di tutto mi fu chiara la fallacia dell’immagine che di lui mi ero costruita. Quella di un uomo forte, un obelisco eretto per me e che sarebbe stato lì per sempre. Volevo crederlo, mi faceva comodo crederlo. Ma lui non era così. Lui aveva bisogno di me. Era fragile, sofferente, esausto. Dopo il suo ultimatum ci sentimmo ancora. Lui non tornò mai sui suoi passi e io non feci mai la mia scelta. Così troncammo. M
  • 60. 60 Con dolorosa lentezza trascorsero, giorni, settimane, mesi. E nulla di quanto avevo sperato si realizzò. Il figlio che tanto desideravo non arrivò. La mia insoddisfazione crebbe. Mio marito restò fedele a se stesso. Io uguale. Nulla più cambiò. Tranne il vuoto che mi portavo dentro. Così, in quello che sarebbe stato il mio ultimo giorno sulla faccia della terra, decisi di telefonargli. Sono le sette e cinquanta. Ancora distesa sul letto, aspetto che mio marito esca. Sento il cancello chiudersi. Attendo ancora qualche istante. Ecco il rombo sommesso della sua auto che parte. Mi alzo, raggiungo il telefono e chiamo Yuri. Sono elettrizzata come la sera dopo la cena libanese. Voglio gridargli che lo amo. Che scelgo lui. Che sono sua per sempre. Una voce mi risponde che l’utente non è raggiungibile. Resto un po’ interdetta, non ricordo fosse mai accaduto prima. Lui c’era sempre. Lascio trascorrere un po’ di tempo, col pensiero fisso di lui. Poi richiamo. Niente. Ancora irraggiungibile. Le ore passano interminabili e i miei tentativi si infrangono contro quell’odiosa voce elettronica. Sono le quindici e trenta.
  • 61. 61 Decido di chiamare il suo ufficio. Mi risponde David, un suo collega. “Buona sera, David. Cercavo Yuri. E’ in ufficio?” Nessuna risposta. David era lì, muto. “Pronto? Mi senti?” “Si. Ecco… ehm” balbetta lasciando seguire un altro interminabile silenzio. “David, che succede?” “Scusami, pensavo lo sapessi” “Sapere cosa?” chiedo allarmata “Ecco…” “Cosa dovrei sapere?” “Ecco, lui… non c’è più” “Cosa cazzo stai dicendo?” “Ti prego, stai calma” “David, cazzo. Cosa significa che non c’è più?” “Si è tolto la vita. L’estate scorsa. Lo hanno trovato nella sua camera d’albergo con un …” Il cellulare mi scivola via dalle mani. Sento una sensazione di gelo nella testa. Vedo davanti a me il suo ultimo sorriso. Sento sul volto la sua ultima carezza. Poi, di colpo, ogni emozione svanisce. Mi sento pervadere da una calma irreale. E nella fredda lucidità del momento, capisco cosa devo fare. Esco di casa, monto in auto e parto.
  • 62. 62 Imbocco la strada che porta al laghetto. Tante volte ho fantasticato di andarci con lui. A questo fugace pensiero mi spunta un sorriso. Non ci sono mai andata con lui, ma sarà proprio lì che lo raggiungerò! Guardo davanti a me la lancetta del tachimetro che segna i cento. Centoventi. Scarto una curva a stento, evitando di poco il guardrail dell’altra corsia. Centoquaranta. Centosessanta. Finalmente scorgo lo specchio d’acqua, azzurro come non lo avevo mai visto. Poco più avanti c’è un punto in cui la strada sfiora il ciglio di una rupe che cade a picco sul lago. Lo punto. Centosettanta. Centottanta. Per qualche insana ragione sento il bisogno di sporgermi verso lo specchietto retrovisore e guardarmi. Sto ancora sorridendo. Così chiudo gli occhi… Poi, il fracasso di assi di legno che si spezzano, seguito da un interminabile silenzio. Riapro gli occhi e vedo solo acqua… e cielo. “Yuri, volo da te” sussurro. E poi il buio. Ed ora, eccomi qui. Con te che ti prendi gioco del mio dolore. Merito l’inferno e non torno indietro.
  • 63. 63 Non c’è più nulla per cui valga la pena vivere.  Tornare indietro? Quel che è fatto è fatto amica mia. Le traiettorie vanno in una sola direzione. La Fonte le genera per lasciarle andare verso il loro destino. Un destino di amore, di fede e di speranza. Ci ha messi al mondo per guardare avanti, ci ha dato i sogni per inseguirli e un’anima per crederci. E ci ha dato la forza per riuscirci. Riuscirci, mia cara, è il nostro scopo. Ed è anche ciò che mantiene in vita la Fonte. Non ti chiedo di tornare. Ti offro l’ultima chance di salvare la Fonte. L’ultima possibilità di scelta. Il cancello alla mia destra conduce in un altro mondo, un’altra traiettoria. Una in cui tu non esisti ancora e il tuo destino è tutto a compiere. Quello alla mia sinistra conduce all’oblio. Di te non resterà che polvere. La tua esistenza, come infinite prima di te, troverà la sua fine. Vedi Jadi? Anche adesso, con la minaccia che incombe su di lei, la Fonte non tradisce il suo scopo.
  • 64. 64 Ti lascia libera di servirla oppure no. A te la decisione. E questo è quanto.  Non si può sfuggire alle scelte, amici miei. Non si può vivere ignorandole. Anche non scegliere è in definitiva una scelta: quella sbagliata, come Jadi ha avuto modo di scoprire. E quando sei al termine del tuo viaggio, comunque tu ci sia arrivato, ciò che ti aspetta in fondo è ancora una scelta. L’ultima. Ragazzacci, mi dispiace tanto ma funziona così. Quale sarà la vostra prossima scelta? Non serve chiederselo, serve compierla. A me non resta che augurarvi che sia quella giusta. Nel frattempo starò qui ad aspettarvi per discuterne faccia a faccia. Ah-ah. E questo è quanto, cari miei. Come dite? La scelta di Jadi? Oh imperdonabile. Dimenticavo il finale.
  • 65. 65 Beh, siamo ancora qui, no? E se ci siete voi, c’è anche la Fonte. Voi cosa ne dite? Potrei aggiungere altro, ma questa è un’altra storia. Bon voyage mes amis
  • 66. 66